Vesta: asteroide o pianeta? Un corpo celeste in crisi d’identità

Scritto da:
Leonardo Debbia
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1 minuto
La mappa colorata dalla missione Dawn della NASA mostra la distribuzione dei minerali sulla superficie di Vesta. I colori dipendono dalla lunghezza d’onda della radiazione. Sono indicati i due estesi crateri, Rea Silvia e Veneneia, larghi rispettivamente 475 e 375 km.

Il primo commento di Christopher T.Russell, mentre osservava le immagini di Vesta ricevute nel corso della missione Dawn, è stato un giudizio estetico sulla bellezza di questo corpo celeste, piuttosto che una valutazione scientifica di quello che le foto mostravano.

“Vesta sembra un piccolo pianeta. La sua superficie è bella, molto più varia e diversificata di quanto ci saremmo aspettati”, ha commentato Russel che, oltre ad essere professore del Dipartimento UCLA di Scienze della Terra e dello Spazio, è anche il responsabile della missione Dawn della NASA. “Ci aspettavamo una superficie variamente colorata, ma non pensavamo che la varietà dei colori fosse così ampia, né che i colori apparissero così nitidi e i contorni così ben delineati. Non abbiamo ancora trovato oro su Vesta, ma le immagini sono già di per sé una miniera d’oro”.

Vesta è stato considerato fino ad ora un asteroide, ma la catalogazione è da ritenersi impropria. Se le sue dimensioni sono troppo piccole per poter parlare di un pianeta nano, come invece è ritenuto Cerere, considerandone le caratteristiche fisico-chimiche e la sua struttura, si dovrebbe piuttosto ritenerlo un protopianeta, cioè un corpo planetario che non ha raggiunto lo stadio di formazione di un pianeta vero e proprio. In parole povere, lo si potrebbe reputare un pianetino rimasto in una fase “embrionale”. Vesta si è formato nei primi milioni di anni di vita del sistema solare e la sua struttura interna, analoga a quella della Terra, si è costituita in maniera scalare, a strati concentrici, attraverso un processo di differenziazione che ha prodotto un nucleo centrale ricco in ferro e nichel, un mantello roccioso sovrastante di olivina e una crosta superficiale a composizione basaltica. E’ opportuno sottolineare che la presenza dei basalti era già stata accertata nel 1972 da particolari sensori applicati ai telescopi degli astronomi dell’epoca.

Situato nella fascia di asteroidi tra Marte e Giove, con i suoi 530 Km di diametro è secondo, in ordine di grandezza, solo al suo vicino Cerere, il più grande asteroide del sistema solare.  La superficie particolarmente brillante di Vesta ne fa l’asteroide più luminoso e il solo visibile anche ad occhio nudo dalla Terra, da cui dista circa 321 milioni di miglia. Ha un periodo di rotazione di 5, 342 ore e il suo asse è inclinato di 29° sul piano dell’orbita. Le temperature sulla superficie oscillano in un arco che va da -20°C a -190°C, con variazioni notevoli in funzione di diversi parametri, quali l’altezza del Sole sull’orizzonte, la sua distanza relativa, l’escursione termica tra valori diurni e valori notturni. Dagli anni Ottanta in poi furono progettate varie missioni, sia in Europa che negli USA, per studiare Vesta con osservazioni ravvicinate per mezzo di sonde, ma non ne fu realizzata alcuna fino al 2001, quando la NASA varò la missione Dawn, nominandone responsabile il professor Russell.

La sonda Dawn, senza equipaggio, fu lanciata il 27 settembre 2007, raggiunse Vesta nel luglio 2011 ed è tuttora in orbita attorno all’asteroide, a 125 miglia dalla sua superficie. Scopo della missione è la raccolta del maggior numero possibile di dati e di informazioni per una migliore comprensione dei processi che portarono alla formazione dell’intero sistema solare. Dalle immagini trasmesse dal telescopio spaziale Hubble nel 1996, Russel e il suo team di ricerca sapevano già dell’esistenza di un grande cratere su Vesta, ma sono rimasti alquanto sorpresi nello scoprire che i crateri erano invece due. Il cratere più piccolo ha un diametro di 375 Km, pari alla distanza che intercorre tra Los Angeles e Monterey, in California, mentre il più grande, denominato Rea Silvia, ha un diametro di 475 Km, paragonabile alla distanza tra Los Angeles e S. Francisco.

“Dalle prime immagini di Vesta abbiamo potuto osservare due crateri da impatto molto grandi nella regione attorno al polo sud”, ha detto Russel. “Uno risale a circa un miliardo di anni fa e l’altro ad almeno due miliardi di anni fa. L’età dei due crateri pare corrispondere a quella dei frammenti di roccia che furono originati dagli impatti su Vesta di altri corpi celesti. Dalle enormi dimensioni dei crateri si può intuire che la quantità di materiale espulso fu notevole”. “In tutta la cintura di asteroidi sono migliaia i cosiddetti “vestoidi”, le meteoriti di varia dimensione provenienti da Vesta, frammenti prodotti da quelle lontane collisioni, e molte di queste meteoriti hanno diametri considerevoli che vanno da un miglio e mezzo a cinque miglia”, afferma Russell. “Questi frammenti, proiettati nello spazio, hanno raggiunto la Terra e continuano tuttora ad arrivare. A tutt’oggi, disponiamo di oltre 200 meteoriti provenienti da Vesta che ci aiutano a ricostruirne e comprenderne la storia geologica”.

Battezzate vestoidi, hanno una composizione di tipo basaltico e sono costituite da un particolare tipo di roccia chiamato HED (acronimo dei componenti howardite-eucrite-diogenite), la cui origine è da riferirsi esclusivamente alle caratteristiche petrologiche della crosta di Vesta.  Ad oggi, le scoperte fatte su Vesta dalla missione Dawn, unitamente alle conoscenze già note, sono state così riassunte dalla rivista Science:
a) Vesta ha grandi montagne – la più grande è alta il doppio dell’Everest – che si sono formate per forti impatti sulla superficie del protopianeta. Gli scienziati ritenevano che la maggior parte di Vesta, con esclusione della regione attorno al polo sud, fosse piatta come la Luna, ma alcuni crateri al di fuori di questa regione presentano pendii molto ripidi, quasi verticali, con frequenti frane di “regolite”, lo spesso strato di detriti, pietrisco e polveri meteoritiche che ricopre la superficie.
b) La missione Dawn ha mostrato una consistente varietà di minerali venuti alla luce dagli squarci profondi prodotti dagli urti con altri corpi celesti, quali meteoriti e comete. Questo potrebbe avvalorare l’ipotesi che Vesta abbia avuto uno spesso strato interno fluido ed un oceano superficiale di magma.
c) Vesta ha un nucleo ferroso, formatosi durante il periodo in cui il protopianeta era tutto allo stato fuso, durante le prime fasi di formazione del sistema solare. Questo è stato confermato anche dalle misurazioni del campo gravitazionale di Vesta eseguite dalla missione Dawn.
La concentrazione di ferro nel nucleo conferma l’avvenuta separazione in strati mediante differenziazione, precipitazione e aggregazione degli elementi più pesanti. Questa composizione di partenza consente agli scienziati di ricostruire dei modelli del primigenio sistema solare.
d) Sulla superficie di Vesta sono visibili molti punti luminosi di varie dimensioni. Una vera sorpresa è stata la scoperta di diverse aree scure che, in una visione d’insieme con le aree chiare, danno luogo a disegni intricati molto suggestivi. Posto che la differente colorazione è in relazione con la composizione mineralogica del suolo, questo quadro testimonia il gran numero di impatti su Vesta da parte di altri corpi celesti che hanno portato in superficie materiali profondi e hanno contribuito alla formazione di strati misti di regolite, lo strato detritico superficiale.

“Sembra che un artista abbia dipinto i crateri con una buona dose di fantasia”, ha commentato Russell. Dawn ha fornito più di 20mila immagini di Vesta e immagazzinato migliaia di dati e di spettri. “Vesta ha registrato la storia del sistema solare fin dall’inizio” ha detto Russell. “Stiamo ricostruendo le origini del sistema solare e quanto è accaduto più di 4,5 miliardi di anni fa.” La sonda Dawn è dotata di una telecamera di qualità elevata, di uno spettrometro di ricerca all’infrarosso per identificare i minerali della superficie e di uno spettrometro a raggi gamma e neutroni per rilevare l’abbondanza di elementi come il ferro e l’idrogeno. Dawn è provvista anche di sonde di gravità per il mantenimento di una navigazione estremamente precisa. Lo studio di Vesta, tuttavia, è solo la prima fase della missione Dawn.

Dopo Vesta, la sonda punterà, con un viaggio di tre anni, su Cerere che, sotto la crosta rocciosa, potrebbe ospitare acqua sotto forma di ghiaccio e, forse, la vita. La navicella dovrebbe iniziare ad orbitare intorno a Cerere nel 2015, e vi si tratterrà per almeno cinque mesi. “Attualmente voglio catturare quante più immagini possibili di Vesta”, ha detto Russell, “Le analisi della sua superficie saranno certamente pronte prima dell’arrivo su Cerere”. La missione Dawn è gestita dal Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, California, sotto la direzione della NASA Science Mission e con la collaborazione di alcuni Enti spaziali europei. I membri del team di studiosi provengono dal JPL, dal NASA Goddard Space Flight Center, dal Planetary Science Institute e dal Massachussets Istitute of Technology. I partners scientifici europei sono l’ Istituto Max Planck per la ricerca sul sistema solare di Katlenburg, Germania; il DLR Institute for Planetary Research di Berlino; l’Istituto Nazionale Italiano di Astrofisica di Roma e l’Agenzia Spaziale Italiana.

Leonardo Debbia