Vecchi farmaci per nuove patologie

Scritto da:
Elisa Scaringi
Durata:
1 minuto

Si chiama drug repurposing. Ed è la nuova frontiera della ricerca farmacologica. Una sorta di riciclo delle vecchie molecole messe in soffitta. Rispolverando, infatti, il vecchio arsenale di farmaci già disponibili, molti dei principi attivi potrebbero essere ricollocati per un diverso uso clinico. Con un enorme guadagno in fattore di tempo, in quanto gli effetti collaterali sono già noti, nonché di risparmio economico, visto che spesso la copertura brevettuale è già scaduta.

Enzymlogic ©
Enzymlogic ©

Ciò sta accadendo per un vecchio farmaco impiegato per la cura della schizofrenia. Utilizzato attualmente solo su cavie affette da tumore al pancreas, i ricercatori della McGill University e del German Cancer Research Center ne hanno visto gli effetti nettamente positivi. Il farmaco, infatti, inibendo un recettore della dopamina, il gene DRD2, ha permesso ai modelli animali trattati di sviluppare tumori più piccoli e con un numero di metastasi inferiore. Nuove speranze, quindi, per la sperimentazione umana su pazienti affetti da tumore al pancreas, partendo proprio dall’uso di conoscenze e strumenti, come i farmaci inibitori della dopamina, già noti a partire dagli anni Sessanta.

©
Enzymlogic ©

Sempre in campo oncologico, un grande successo nell’ambito del riciclo di vecchi farmaci si è avuto con il talidomide. Famoso negli anni Sessanta per i gravissimi effetti collaterali sui nascituri, oggi viene utilizzato con grande successo nella terapia contro il mieloma multiplo. Ma anche la comune aspirina può essere considerata un caso di drug repurposing, se solo si pensa ai risultati positivi nella prevenzione del carcinoma del colon.

©
RStonejr ©

In un tempo come il nostro, nel quale le aziende farmaceutiche hanno progressivamente preferito gli antitumorali agli antibiotici (passando dai sedici nuovi brevetti del quinquennio 1983-1987 ai cinque del 2003-2007), il riciclo delle molecole già usate non può che essere uno strumento irrinunciabile. Soprattutto se si pensa all’allarme, lanciato recentemente, del proliferare di batteri resistenti ai medicinali. L’abuso dei pazienti e l’inappropriatezza nella somministrazione ne hanno certamente acuito la drammaticità. Ma la lungaggine nella sperimentazione di nuove molecole non aiuterebbe di certo la rapida risoluzione del problema. Il drug repurposing, invece, potrebbe rappresentare una valida opportunità alla lotta contro i superbatteri, oltre che permettere ai pazienti di avere sul mercato, e in brevissimo tempo, nuovi farmaci, economici e (per così dire) ecologici.

Elisa Scarlingi