Gli ingegneri dell’Università di Washington inventano un linguaggio di programmazione per il DNA sintetico

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Redazione
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chemical-programI chimici presto potrebbero essere in grado di utilizzare un insieme di istruzioni per programmare le molecole di DNA e farle interagire tra loro all’interno di una provetta (o una cellula); sarà un po’ come usare Python o il linguaggio Java, con lo stesso metodo che si usa nello scrivere i codici per un computer.

Il team di scienziati, guidato dalla University of Washington, ha sviluppato un linguaggio di programmazione per la chimica che dovrebbe riuscire a concretizzare gli sforzi per progettare una rete in grado di guidare il comportamento tra sostanze chimiche, un po’ come avviene per i piloti automatici alla guida delle autovetture, i robot o altri dispositivi elettronici.
In medicina, però, queste reti potrebbero servire come vettori di farmaci intelligenti o rilevatori di malattie a livello cellulare.

Professori e chimici utilizzano da sempre un linguaggio fatto di equazioni che descrivono come le miscele delle sostanze chimiche si comportano a contatto tra loro, e gli ingegneri hanno potuto sfruttare tale linguaggio come base per scrivere programmi che riescano a dirigere il movimento delle molecole sotto precise indicazioni.

Attualmente, quando un biologo o un chimico creano una rete molecolare si trovano davanti a diversi ostacoli dovuti ad un processo di ingegneria molto complesso e difficile da riutilizzare per nuovi sistemi.
Con questo metodo invece, gli ingegneri stanno cercando di creare una struttura che offra agli scienziati una maggiore flessibilità d’uso.

Gli esperti stanno cercando il modo di progettare sistemi sintetici che si comportino come quelli biologici, con la speranza che le molecole sintetiche possano sostenere le naturali funzioni del corpo. Dunque vi è bisogno di un sistema per creare molecole di DNA sintetico che varino a seconda delle loro specifiche funzioni.

In futuro queste scoperte potrebbero essere impiegate per la creazione di molecole che si autoassemblino all’interno delle cellule e abbiano la funzione di sensori che potrebbero essere in grado di rilevare anomalie o rilasciare farmaci specifici direttamente nelle cellule interessate.

Questa ricerca è stata finanziata dalla National Science Foundation, dal Fondo di Burroughs Wellcome e dal Centro Nazionale per i Sistemi Biologici ed i risultati sono stati pubblicati su Nature Nanotechnology.

Redazione
15 ottobre 2013