Macchie solari in calo? Ma che freddo fa!

Scritto da:
Leonardo Debbia
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Da tempo gli scienziati sono dell’opinione che l’aumentato numero di inverni più freddi sia direttamente correlato con l’attività del Sole e particolarmente con le macchie solari.

E’ di questo parere anche Mike Lockwood, meteorologo dell’Università di Reading, nel Regno Unito, in riferimento alla particolare rigidità degli inverni europeo e americano del 2009, ripetutasi quest’anno; rigidità associata alla bassa attività solare iniziata già negli anni ’80.

Lockwood ha studiato l’andamento delle macchie solari negli ultimi 9mila anni ed ha scoperto che l’attività solare ha un andamento ciclico con un periodo di  400 anni: per 300 anni tende a crescere e nei 100 anni successivi tende a diminuire.

Il numero delle macchie ha andamento ciclico undecennale, con un massimo e un minimo.

Il ciclo fu scoperto nel 1845 dall’astronomo dilettante tedesco Heinrich Schwabe sulla base di osservazioni durate decenni, anche se era già stato intuito in precedenza dall’astronomo danese Christian Horrebow. Il numero delle macchie è strettamente connesso con l’attività del Sole e con l’intensità della radiazione: maggior numero di macchie significa una maggiore attività solare.

Il più recente periodo di bassa attività solare si è registrato dal 1620 al 1720, in corrispondenza del cosiddetto “Minimo di Maunder”, quel periodo caratterizzato da inverni particolarmente rigidi che coinvolsero tutta l’Europa e che coincise con la totale sparizione delle macchie dalla superficie del Sole.  Dal 1720 l’attività solare riprese quindi ad aumentare fino agli anni ’80 del XX secolo.

Andamento ciclico dell’attività solare – Grafico del numero di macchie solari negli ultimi 400 anni
Andamento ciclico dell’attività solare – Grafico del numero di macchie solari negli ultimi 400 anni.

 

Dal 1720 l’attività solare riprese quindi ad aumentare fino agli anni ’80 del XX secolo.

Dal 1985 infatti, riferisce Lockwood, ricordando l’inverno rigido di quell’anno, l’attività del Sole ha nuovamente ripreso a diminuire, in accordo con la diminuzione del numero di macchie solari; andamento che dal 2004 in poi ha subìto un’accelerazione.

Ci si avvia quindi verso un nuovo “minimo di Maunder”? Gli studi di Lockwood lo affermano e prevedono il raggiungimento di questo minimo tra una cinquantina d’anni.

Ma cosa sono in realtà le macchie solari?

Macchie solari
Macchie solari.

Sappiamo che le macchie solari corrispondono ad aree della superficie del Sole in cui la temperatura è più bassa (circa 4mila gradi Kelvin) del resto della stella (5-6mila gradi) e che appaiono come zone più scure, chiaramente visibili anche con telescopi di scarsa potenza, tanto è vero che i primi ad osservarle, ad occhio nudo, furono gli astronomi cinesi nel primo millennio d.C.

Si tratta in effetti di vere e proprie tempeste elettromagnetiche, perturbazioni originate dall’intenso campo magnetico del Sole che in queste aree impedisce la risalita dei gas e del calore dall’interno della stella, provocando la formazione di zone più fredde e più scure.

Si deve precisare che l’intensità solare che influenza il clima terrestre non dipende però tanto dalla quantità di radiazione ricevuta dalla Terra quanto dalla energia che le macchie solari  trasmettono e quindi dal numero di queste.

Solo nel 2009 un team di fisici americani e tedeschi dell’NCAR (National Center for Atmospheric Research) del Colorado, è riuscito a interpretare un secolo di correlazioni tra attività solare e clima terrestre, giungendo a spiegare le complesse interazioni tra radiazione solare, atmosfera e correnti oceaniche.

Per quanto riguarda l’emisfero boreale, oggi sappiamo che periodi di bassa attività solare sono accompagnati dalla formazione di un anticiclone stazionante sull’Europa centrosettentrionale, al cui bordo meridionale fluiscono correnti gelide che da Nord-Est trascinano verso Sud-Ovest masse imponenti di aria fredda cui dobbiamo l’abbassamento delle temperature delle ultime settimane.

Secondo Lockwood una scarsa attività solare blocca le “jet streams”, le correnti a getto, i veri e propri fiumi d’aria che scorrono nella stratosfera, appena al di sotto della troposfera, a 7-12 km di quota e a velocità comprese tra i 150 e i 300 Km orari da Ovest verso Est.

Ogni emisfero ha due correnti, una che scorre alle alte latitudini ed una, meno intensa, subequatoriale. Quando nel nostro emisfero quest’ultima viene “bloccata”, cessano di spirare i venti caldi da Ovest e sull’Europa arrivano i venti gelidi dell’Est. Questo si è verificato anche durante il minimo di Maunder.

Ma cosa causa questo “blocco”?

Il blocco della corrente a getto è provocato dalla quantità di radiazione ultravioletta proveniente dal Sole che la riscalda . Il riscaldamento deriva dalla trasformazione di Ossigeno biatomico che sotto l’azione dei raggi ultravioletti si trasforma in Ozono (Ossigeno triatomico). Questa è una reazione esotermica, che sviluppa calore e questo calore scalda la corrente a getto, che si “frantuma” in più rami.

Come conseguenza, i venti caldi occidentali non arrivano più sull’Europa, lasciando il posto all’afflusso di aria fredda dall’Artico e dalla Siberia.

Leonardo Debbia