Il gene dell’ottimismo

Scritto da:
Adele Guariglia
Durata:
1 minuto

Un gruppo di ricercatori dell’Università della California di Los Angeles, tramite un articolo pubblicato in anteprima online su Proceeding of the National Academy of Sciences, ottimismohanno scoperto che alcuni tratti della personalità come l’ottimismo, l’autostima e il senso di controllo sono legati ad un gene.

Il gene in questione codifica un recettore dell’ossitocina (OXTR), un ormone che reagisce ed aumenta in risposta allo stress ed è associato a buone abilità sociali, e in una specifica posizione può presentarsi in due versioni: la variante A (adenina) e la variante G (guanina). Gli studi hanno suggerito che le persone con almeno una variante A siano più sensibili allo stress, con capacità sociali più povere e un maggior rischio di essere esposti a problemi di salute mentale.

“Sono alla ricerca di questo gene da alcuni anni, e non è il gene che mi aspettavo”,ha osservato Shelley E. Taylor, che ha diretto lo studio. “Sapevo che ci doveva essere un gene per queste risorse psicologiche.” I ricercatori hanno così capito che le persone che possiedono due A o una A ed una G, sono molto meno ottimisti, hanno poca autostima e senso di padronanza di se stessi rispetto a chi invece ha due G. “A volte le persone sono scettiche sul fatto che i geni possano far prevedere qualsiasi tipo di comportamento o lo stato psicologico. Penso che abbiamo dimostrato in modo conclusivo che lo fanno.

Alcune persone pensano che i geni siano il destino, che se si ha un gene specifico, allora si avrà un esito particolare. Non è assolutamente così. Questo gene è un fattore che influenza le risorse psicologiche e la depressione, ma c’è molto spazio per i fattori ambientali. Un buon sostegno durante l’infanzia, buone relazioni, amici e anche altri geni hanno tutti un ruolo nello sviluppo delle risorse psicologiche, e questi fattori svolgono un ruolo molto importante se le persone diventano depresse. Più geni si studiano, più ci si rende conto che molti fattori influenzano la loro espressione.” Ha così commentato Shelley E. Taylor, che ha diretto lo studio.