Il suolo come archivio delle modificazioni climatiche ed antropiche dell’ambiente Alpino

Scritto da:
Filippo Favilli
Durata:
1 minuto

L’ambiente Alpino riflette una lunga storia di modificazioni dovute ai cambiamenti climatici e ai movimenti dei ghiacciai dalla fine dell’Ultimo Massimo Glaciale (tra 20000 e 11500 anni fa) e il periodo Olocenico. Questi eventi hanno plasmato il paesaggio, specialmente tramite i movimenti dei ghiacciai, che hanno avanzato o si sono ritirati in risposta ad un clima più freddo o più caldo, fino a renderlo come noi lo vediamo oggi. I ghiacciai sono ottimi indicatori ambientali e rispondono repentinamente anche a lievi oscillazioni climatiche. Il movimento dei ghiacciai negli ultimi millenni può essere identificato dalla posizione attuale delle morene (sedimenti raccolti dal ghiacciaio durante la sua avanzata e lasciati in seguito al suo ritiro, vedi foto a lato), le quali hanno fornito la base su cui le condizioni atmosferiche hanno agito per la formazione di ciò che noi oggi vediamo come suolo. Ogni minimo accumulo di sostanza organica (semi, animali morti, deiezioni, foglie ecc) nei sedimenti deposti, ha contribuito allo stabilirsi delle piante, accelerando cosi la degradazione chimico-fisica dei sedimenti stessi. E’ un processo che si autoalimenta e che procede, nel tempo e senza ulteriori disturbi, ad una maggiore profondità. Ogni suolo che si è sviluppato sui sedimenti lasciati dai ghiacciai può essere considerato rappresentativo delle varie fasi glaciali/interglaciali (fasi fredde/fasi calde) a cui è stato sottoposto l’ambiente nei millenni della sua evoluzione. La formazione di un suolo è sempre un processo molto lento. Nell’ambiente Alpino, la formazione di un tipico suolo (a lato, un Podzol sviluppatosi nelle Alpi orientali a 2100 m s.l.m.) richiede almeno tra i 500 e i 1000 anni. Ogni suolo, oltre ad essere tipico per il micro ambiente in cui si è sviluppato, racchiude in sé una enorme quantità di informazioni che permettono all’”investigatore ambientale” (il geo-cronologo) di ricostruire, anche con un buon livello di dettaglio, la storia naturale di un certo ambiente. L’accumulo e il tipo di sostanza organica, le proprietà chimiche e fisiche, la presenza di carboncini derivati da incendi (charcoal) e ogni altra caratteristica, fa di ogni suolo una componente unica e irripetibile di un certo ambiente. Questi cambiamenti climatici, a volte repentini, che hanno caratterizzato l’ambiente Alpino negli ultimi 20000 anni, hanno influenzato la composizione delle specie vegetali. Ad esempio, dopo il primo ritiro dei ghiacciai dopo il Massimo Glaciale, durante il periodo chiamato “Oldest Dryas” (circa 18000 anni fa), le Alpi erano caratterizzate da specie di tundra e di steppa come Dryas octopetala L., Ephedra L., Artemisia L.. I successivi periodi caratterizzati dall’alternarsi di fasi più calde e più fredde hanno visto il progressivo stabilirsi delle specie vegetali che al giorno d’oggi sono le più tipiche dell’ambiente Alpino di alta montagna come Larix decidua L., Pinus cembra L., Juniperus sp. L. and Picea abies L.. Dato che ogni ecosistema forestale ha il potenziale di bruciare in seguito a periodi molto secchi e/o ad incendi causati dalla mano dell’uomo, il suolo raccoglie le parti delle piante trasformate in carbone, aggiungendo, cosi, un’ulteriore componente per la ricostruzione della storia naturale di un certo ambiente. Tramite l’estrazione, l’identificazione (a lato, frammento di carbone di Larix decidua L. con gli anelli di accrescimento ben visibili) e la datazione al Carbonio 14 dei frammenti di carbone è possibile ricostruire un quadro di come è cambiata la vegetazione a seguito dei cambiamenti climatici e degli incendi causati dall’uomo, aggiungendo, di fatto, nuove ed importanti notizie sulla storia naturale dei nostri ambienti.

Filippo Favilli