Scoperto l’orologio biologico che misura l’età dei tessuti umani

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Redazione
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Tutti cresciamo, ma gli scienziati ancora non capiscono il perché. Uno studio dell’Università della California ha scoperto un orologio biologico incorporato nei nostri genomi che potrebbe far luce sul motivo per cui il nostro corpo cresce ed il modo per rallentarne il processo.

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Mentre gli orologi biologici precedentemente individuati sono stati collegati a saliva, ormoni e telomeri, la nuova ricerca è la prima ad identificare un orologio interno capace di valutare con precisione l’età dei diversi organi, dei tessuti e del tipo di cellule.
Inaspettatamente, l’orologio ha anche riscontrato che alcune parti anatomiche, come il tessuto del seno della donna, invecchia più velocemente rispetto al resto del corpo.

“Per combattere l’invecchiamento, abbiamo in primo luogo bisogno di un modo oggettivamente valido di misurazione. L’individuazione di una serie di biomarcatori che controlla il tempo che passa e i suoi effetti su tutto il corpo è stata una sfida lunga quattro anni” ha spiegato Steve Horvath, professore di genetica umana presso la David Geffen School di Medicina della UCLA e della biostatistica presso la Fielding School of Public Health UCLA.
L’obiettivo è quello di inventare un orologio che riesca ad aiutare gli scienziati a migliorare la comprensione di ciò che accelera o rallenta il processo di invecchiamento umano.

Per creare questo orologio, Horvath si è focalizzato sulla metilazione, ovvero quel processo naturale che altera chimicamente il DNA.
E così è riuscito a scoprire che ogni tessuto ha una propria età, e che, ad esempio, in una donna con tumore al seno, i tessuti sani che circondano la massa tumorale sono più vecchi di circa 12 anni, mentre normalmente il tessuto del seno è più vecchio degli altri tessuti di circa 2-3 anni.

Questa ricerca, oltre a dimostrare che le cellule staminali sono tutte cellule neonate, permette in linea di principio di azzerare l’orologio biologico.
Bisognerà stabilire però se si potrà bloccare in questo modo il processo di invecchiamento oppure aumentare il rischio di sviluppare un cancro.

I risultati di questo studio sono stati pubblicati lo scorso 21 Ottobre sul Genome Biology e potrebbero offrire preziose basi per la ricerca sul cancro e sulle cellule staminali.

Redazione
4 novembre 2013