Convertire le cellule grasse in cellule epatiche è possibile

Scritto da:
Maria Grazia Tecchia
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1 minuto

Gli scienziati dell’Università di Medicina di Stanford hanno sviluppato un metodo rapido ed efficace per trasformare le cellule estratte durante una normale liposuzione in cellule del fegato.

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I primi esperimenti sono stati eseguiti su topi da laboratorio, ma le cellule staminali adipose impiegate nella ricerca provenivano da una liposuzione effettuata su un essere umano, trasformate poi in cellule di fegato umano dello stesso tipo che si riesce a trovare nel corpo dei topi.
Questo metodo è sicuramente diverso da quello utilizzato per produrre cellule del fegato a partire da cellule staminali embrionali poiché quest’ultime comportano un rischio maggiore di formazione di tumori.

Il fegato è uno degli organi più straordinari del nostro corpo, riesce a filtrare e distruggere i prodotti di scarto o le sostanze tossiche per il nostro organismo che diversamente potrebbero accumularsi in alte concentrazioni pericolose per la nostra salute.
A differenza di molti altri organi, un fegato sano ha la capacità di rigenerarsi significativamente, ma ciò è difficile in un individuo con intossicazione epatica acuta o che riporta danni da alcolismo cronico o epatite virale.

Questa nuova tecnica che trasforma le cellule di grasso in cellule del fegato è adattabile all’uso per gli esseri umani e, a differenza delle cellule staminali pluripotenti indotte che si rivelano essere potenzialmente cancerogene, le cellule staminali adipose devono semplicemente essere accolte nel tessuto adiposo.
L’intero processo dura solo nove giorni dall’inizio alla fine, tempo sufficiente per rigenerare il tessuto epatico in vittime di intossicazioni epatiche acute che altrimenti morirebbero nel giro di poche settimane salvo nei casi di trapianti di fegato che, come risaputo, non sono cosa da poco e potrebbero essere rischiosi.

Una tecnica simile, che trasformava ugualmente le cellule adipose in cellule epatiche, era stata messa a punto già nel 2006 da un gruppo di ricercatori giapponesi, ma quel metodo può richiedere anche più di 30 giorni.

Maria Grazia Tecchia
11 novembre 2013