Bob Marley ha la sua specie dedicata

Ora anche Bob Marley come Barack Obama ed Elvis Presley darà il nome ad una nuova specie animale.
La notizia è sta annunciata dal Guardian come una vera bomba al ciel sereno. L’animale a cui verrà associato il nome del cantautore è un piccolo crostaceo parassita che vive del sangue dei suoi ospiti del mar dei Caraibi. Il nome della nuova specie sarà “Gnathia marleyi”.
Il primo a scoprire questa nuova specie è stato il biologo Paul Sikkel: “Ho dato questo nome alla specie a causa dell’ammirazione e del rispetto che sento per la musica di Marley. Questa specie è un unicum nel panorama caraibico, esattamente come Marley”.
Il piccolo crostaceo vive nelle acque dei Caraibi, tra coralli, spugne e alghe. Si ciba del sangue degli altri pesci fino all’età adulta per poi riuscire a sopravvivere per altre tre settimane con le scorte accumulate.
Grazie al “Gnathia marleyi” , secondo Paul Sikkel, sarà possibile capire le malattie che colpiscono la flora e la fauna della barriera corallina

Stefano Parisi

Condannati a invecchiare ogni cellula ha il suo timer

I telomeri sono le nostre “clessidre” cellulari. Nel 2009 gli studi su di loro fruttarono il premio Nobel, e si parlò di corsa all’elisir dell’eterna giovinezza. Adesso uno uno studio italiano scopre che non si possono riparare.

Ogni singola cellula del nostro corpo è inesorabilmente condannata a invecchiare e, prima o poi, a spegnersi. Una dura legge che la natura ha marchiato a fuoco sul Dna e in particolare nei telomeri, le estremità terminali che proteggono i cromosomi. Queste sequenze funzionano come “clessidre” cellulari, una specie di timer della vita: a ogni ciclo di proliferazione della cellula i telomeri perdono un pezzettino, mano a mano che si accorciano la cellula invecchia, e quando il tempo li ha consumati significa che è arrivata al capolinea. Frenare questa progressiva erosione è una delle strade battute dalla scienza a caccia dell’elisir di eterna giovinezza, ma ora uno studio guidato dall’Ifom di Milano spiega che invecchiare è un destino ineluttabile. Gli autori hanno dimostrato che accorciarsi non è l’unica cosa che può accadere ai telomeri.

Il problema vero è che, a differenza di tutto il resto del Dna, quello dei telomeri non si può riparare. Se si rompe o si danneggia, non è prevista soluzione. La scoperta, pubblicata su Nature Cell Biology, sancisce in sintesi “l’inevitabilità delle lesioni del tempo”, riassumono i ricercatori. Lo studio è condotto da Marzia Fumagalli e Francesca Rossiello sotto la guida di Fabrizio d’Adda di Fagagna, che all’Ifom (Istituto Firc di oncologia molecolare) è responsabile del programma di ricerca ‘Telomeri e senescenza’. Al lavoro hanno collaborato colleghi dell’università di Milano-Bicocca e della New Jersey Medical School americana. Le conclusioni del team hanno implicazioni anche nella lotta al cancro. Infatti, se da un lato la senescenza segna il deterioramento di tutta una serie di funzioni vitali, a livello cellulare è anche un meccanismo che, attivato precocemente, può prevenire l’insorgenza dei tumori.

La scoperta milanese si può riassumere così: le nostre cellule non leggono il passare del tempo solo dalla ridotta lunghezza dei telomeri, ma anche dalla compromessa integrità di questi ‘cappucci’ sui cromosomi. E l’integrità dei telomeri, più della loro lunghezza, è il parametro chiave in particolare per le cellule che hanno smesso di dividersi, ad esempio i neuroni. Anche se le cellule non proliferanti non perdono i telomeri, infatti, invecchiano comunque. Allo stesso modo, frenare l’accorciamento dei telomeri non significherebbe automaticamente riuscire a restare giovani. E questo perché bisognerebbe fare i conti anche con l’irreparabilità di eventuali danni al Dna di queste seguenze.

 

Una importante implicazioni per la lotta ai tumori – Per questo i telomeri sono stati selezionati dall’evoluzione in modo da evitare che cromosomi diversi possano unirsi formando strutture aberranti. Questa scoperta sull’invecchiamento cellulare potrà avere importanti implicazioni anche per la lotta ai tumori: secondo uno studio pubblicato dall’Ifom nel 2006, infatti, la senescenza è un processo che, messo in atto precocemente, può prevenire l’insorgenza del tumore.

 

I magneti posso essere davvero utili per prevedere terremoti e valanghe?

La scoperta è sensazionale e potrà aiutare in termini statistici e probabilistici a prevedere un terremoto e studiare le valanghe. Con l’utilizzo dei magneti, i quali hanno in comune con la crosta terrestre la loro superficie non uniforme e frastagliata da forti discontinuità tra una zona e l’altra. Proprio questi domini magnetici disordinati creerebbero rotture e valanghe.

Cosa sono, come si originano i terremoti e le valanghe?
I terremoti sono rapide e brusche vibrazioni del suolo dovute alle onde sismiche originatesi in un punto più o meno profondo della crosta terrestre (repentina liberazione di energia accumulatasi nelle rocce litosferiche).
Dati di due blocchi di roccia separati da una frattura, detta faglia , e sottoposti a tensioni per lungo tempo, questi si comportano come corpi plastici, si deformano , ma non si muovono accumulando energia; ma quando la tensione aumenta e supera la resistenza per attrito, i due blocchi rocciosi si comportano come corpi rigidi e si muovono l’uno rispetto all’altro, liberando bruscamente l’energia elastica che avevano accumulato sotto forma di vibrazioni.
Queste si propagano all’interno della Terra sotto forma di onde sismiche , che, giunte in superficie, causano il terremoto e sono avvertite sotto forma di scosse.
Il punto interno alla Terra da cui si originano le vibrazioni che causano il terremoto è detto ipocentro (dal greco hypó, sotto), o fuoco del terremoto; quello sulla superficie terrestre sulla verticale dell’ipocentro è detto epicentro (dal grecoepí, sopra).
La valanga è un fenomeno naturale che si verifica quando una massa di neve o ghiaccio improvvisamente si stacca dal manto nevoso e precipita verso valle. Durante la discesa può trascinare ed accumulare altra neve ed assumere dimensioni sempre maggiori e velocità oltre i 300 km/h. Il distacco della massa di neve può essere provocato da varie cause: naturali, sciatori che percorrono il pendio, l’azione del vento, ecc..

Come, cosa hanno studiato gli scienziati e qual è stata la scoperta?
Il ricercatore che ha collaborato con un team di altri studiosi è l’italiano Gianfranco Durin presso lo studio dell’Inrim (Istituto nazionale di ricerca metrologica), che ha sede a Torino presso il Parco Colonnetti.

Gli scienziati, che hanno pubblicato la loro ricerca teoricosperimentale sulla rivista Nature Physics, affermano: “Studiando la dinamica di alcuni magneti presso l’Inrim e la ci siamo accorti che alcune proprietà sono molto generali e vanno oltre la fisica dei materiali che studiamo. In pratica ci aiutano a capire come evolvono i sistemi che noi chiamiamo complessi, come per esempio i terremoti”.
Il team, che ha misurato le valanghe che si realizzano in un sottile film di materiale magnetico, è composto da: scienziati italiani (Inrim, Fondazione Isi e Ieni-Cnr), statunitensi (Cornell University di Ithaca) e brasiliani (Centro Brasileiro de Pesquisas Físicas di Rio de Janeiro e Universidade Federal do Rio Grande do Norte di Natal) .

Le considerazioni di Gianfranco Durin alla scoperta sono state: “È strano pensare che esistano valanghe anche in materiali così piccoli e non solo sulle montagne eppure è quello che accade. I sistemi complessi si caratterizzano infatti per una dinamica fatta di eventi casuali, imprevedibili e di intensità molto variabile.Possiamo anche immaginare in modo meno macroscopico, ciò che si crea quando costruiamo un castello con la sabbia. Possiamo notare, sopra di esso, che di tanto in tanto si verificano delle piccole rotture, con piccole cascate di sabbia. È ciò che si verifica in alcuni compartimenti di magneti che studiamo nei nostri laboratori. Riusciamo a studiare questi fenomeni in dettaglio osservando le fratture che si verificano in strutture piccolissime, dell’ordine del micron e anche meno. Quando si verifica un evento di questo genere, di solito c’è una sorta di segnale in uscita che ci anticipa il segnale della piccola valanga che si verifica nel magnete. In pratica, questi studi rappresentano un approccio iniziale, che potrà permetterci poi di rivolgerci ad eventi più grandi su scala universale. Certamente forse non potremo mai predire quando accadrà la prossima valanga o il prossimo terremoto, anche se questo è quello che vorremmo. Ma, a poco a poco, stiamo comprendendo le leggi che regolano la dinamica dei sistemi complessi, al punto che possiamo affermare che i magneti nel loro piccolo ci aiutano a comprendere i grandi fenomeni, nonostante le differenti dimensioni”.

Stefano Parisi