C. reinhardtii: digerisce la cellulosa come fonte di carbonio

Le piante hanno bisogno di acqua e luce per raccogliere energia.

Partendo da questo semplice presupposto, un gruppo di ricercatori tedeschi ha dimostrato che esiste invece una pianta in gradi di utilizzare una modalità diversa di assorbimento dell’energia: non solo dalla luce tramite la fotosintesi, ma anche attraverso l’energia proveniente da altre piante.

E’ l’alga verde chiamata  Chlamydomonas reinhardtii a presentare questo duplice modo di raccogliere energia, duplice modo scoperto e chiarito in modo definitivo dal professor Olaf Kruse della Università di Bielefeld e dal suo gruppo di ricercatori. Questa scoperta potrebbe portare ad uno sviluppo fondamentale nelle ricerche legate alla bioenergia.

L’alga, oltre al normale processo di fotosintesi, utilizza per assorbire energia anche la cellulosa, che è in grado di decomporre per utilizzarne il carbonio necessario per crescere e sopravvivere.

La cellulosa infatti viene decomposta, ovvero digerita, tramite enzimi appositi che la pianta secerne. Una volta trasformata, i componenti della cellulosa così decomposta vengono trasportati nelle celle e lì fungono da fonte di energia.

Fino alla scoperta del professor Kruse e del suo team di ricercatori, si pensava che solo batteri, vermi e funghi potessero essere in grado di digerire la cellulosa di origine vegetale e di utilizzarla come fonte di carbonio: la scoperta che le microscopiche alghe verdi, piccolissimi organismi monocellulari, coltivate in un ambiente povero di anidride carbonica possono ottenere energia sfruttando la cellulosa dei vegetali vicini apre nuove frontiere.

Si sta ora studiando l’eventuale esistenza di altre alghe che abbiano lo stesso tipo di approvvigionamento energetico, poiché questa particolarità potrebbe essere molto interessante per il futuro delle bioenergie specialmente tenendo presenti le grandi quantità di rifiuti che contengono cellulosa, scarti di lavorazioni agricole che non possono essere trasformati in biocarburanti senza prima essere sottoposti ad una trasformazione e decomposizione.

Morena Lolli
10 dicembre 2012 

Dal frigorifero al letto

Il numero di bevande vendute in bottiglie di plastica è altissimo, e altissimi sono i costi, anche ecologici, dello smaltimento del PET, il materiale con cui sono fatte le bottiglie.

Una azienda Svizzera, la Christian Fischbacher, ha annunciato l’avvio di una nuova linea di produzione i cui tessuti saranno costituiti interamente di polietilene tereftalato, il PET, appunto.

L’uso dei polietileni nell’industria tessile non è una novità: il famoso Terital, ad esempio, era largamente utilizzato anche dall’industria tessile italiana, solitamente mescolato a lana o a cotone, in percentuali che variavano dal 50% al 35%.

La grossa novità è quindi che i tessuti della Azienda svizzera saranno composti interamente di PET: un vero e proprio modo di trasformare i rifiuti in risorse.

Per ottenere un metro del nuovo tessuto, occorreranno solo 4 bottiglie di plastica da due litri ed il processo produttivo sarà esso stesso sostenibile, sia per il minore utilizzo di acqua e di energia necessari, sia per la ridotta produzione di materiali di scarto.

Il tessuto prodotto, infatti, avrà una resistenza superiore a quella dei normali tessuti e, promette l’azienda, permetterà di creare morbide e resistenti lenzuola.

L’annuncio della morbidezza del tessuto così prodotto non crea stupore né scetticismo: il Pile, un altro tessuto prodotto con fibre completamente sintetiche, è ben noto sia per la sua morbidezza che per la sua resistenza,  sia per la tenuta del colore che per la sua totale irrestringibilità.

Il nuovo tessuto prodotto dalla Azienda svizzera si chiamerà Benu, il nome di una divinità dell’antico Egitto che rappresenta la resurrezione, nome di certo indovinato per un tessuto che nasce da materiale di scarto, buttato, per giungere letteralmente ad una nuova e diversa vita.

Dal frigorifero al letto: una nuova vita che, per il Benu, si preannuncia davvero comoda.

Morena Lolli
7 dicembre 2012 

Decine di anni di inquinamento: il mercurio sale

Non si sta parlando del mercurio all’interno termometri, ma di presenza di mercurio nell’aria, per la precisione nelle nebbie che, provenienti dall’Oceano, lambiscono le coste della California.

La presenza del velenoso mercurio nella nebbia, secondo alcuni ricercatori sarebbe imputabile alle diverse decine di anni di inquinamento degli oceani.

Non è ancora del tutto chiaro il meccanismo di dispersione che ha portato ad un aumento notevole del livello del mercurio nell’aria, tale da raggiungere concentrazioni che, seppur non ancora nocive, non ne sono nemmeno molto lontane. La preoccupazione è che una mancata individuazione  dei motivi di questo aumento, esponga le coste della California ad un aggravamento della situazione.

Per ora l’ipotesi più accreditata è che il mercurio provenga dalle profondità dell’oceano, che si sia poi diffuso lungo la superficie delle acque e che in questo modo, con la formazione delle nebbie oceaniche, abbia finito con il disperdersi nell’atmosfera.

Decine di anni di inquinamento, secondo i ricercatori, che hanno causato un progressivo aumento delle quantità di mercurio presenti nelle profondità oceaniche e che, prima o poi, doveva venire a galla.

Il tossicologo Peter Weiss Penzias, della Università della California Santa Cruz, che dirige la ricerca partita nell’estate del 2011, ha tenuto a precisare che la quantità di mercurio rilevata non presenta ancora le caratteristiche per essere considerato un problema di ordine sanitario, essendo nell’ordine di parti per trilione, anche perché i livelli di mercurio misurati dopo le piogge restano comunque sensibilmente più bassi.

Il mercurio viene rilasciato attraverso molte attività umane, compresa la combustione di carbone, ed in California le miniere di mercurio ne producono grandi quantità, che vengono impiegate  nelle miniere d’oro, il che porta a contaminare i bacini idrici di tutta la California.

Da qui la necessità di mantenere monitorata la situazione poiché i batteri del suolo ed i sedimenti trasformano il mercurio in metilmercurio, particolarmente tossico ed assorbibile dagli organismi ed in grado quindi di scalare la catena alimentare.

Morena Lolli
6 dicembre 2012

Tra le 700 specie di coralli, oltre un terzo gravemente minacciato

Le specie di coralli sono oltre 700 e secondo il consorzio internazionale World Conservation Union, di queste 700 specie oltre un terzo è seriamente minacciato ed il Center for Biological Diversity, una associazione no-profit, ha presentato l’elenco internazionale delle specie a rischio per spingere il Governo degli Stati Uniti ad un impegno, anche legislativo, in favore della protezione di questi complessi e delicati ecosistemi.

A minacciare i coralli sono le attività di pesca intensiva, l’inquinamento, i cambiamenti climatici e l’acidificazione degli oceani cause che, presentandosi in maniera spesso concomitante, aggravano il rischio e minacciano le specie per molte delle quali è stato richiesto il passaggio da specie minacciata a specie a rischio di estinzione, in quanto oramai perdute per oltre il 90% della popolazione, in alcuni casi oltre il 98%,  dal 1980 ad oggi.

Le specie di coralli oggetto della discussione sono 66. Oggetto di studio da tre anni di un team di scienziati del National Marine Fisheries Service, sono state portate all’attenzione del Governo statunitense dal Center for Biological Diversity che ha citato in tribunale federale il Governo degli Sati Uniti, costringendo in questo modo il Governo a prendere una decisione in merito alla protezione delle specie a rischio.

Le barriere coralline e le specie che saranno probabilmente oggetto di protezione si trovano nel Pacifico, precisamente al largo della Florida, al largo delle isole caraibiche,  delle Hawai, delle Marianne settentrionali, delle Isole Line e delle Samoa americane.

La pesca intensiva fa si che la popolazione delle alghe aumenti e spesso vada a ricoprire le barriere coralline, minacciate anche dall’inquinamento e dalle sostanze tossiche che provocano ipossia, ovvero carenza di ossigeno, nei coralli, tanto che grande parte della barriera corallina presente delle fasce sbiancate.

La citazione da parte dell’Associazione no-profit, dovrebbe costringere il Governo americano a legiferare in merito, poiché la protezione degli Oceani è compito che spetta a tutti i Governi mondali, in primis a quelli che possono in qualche modo ridurre le cause di rischio.

Morena Lolli
4 dicembre 2012

Nuove tecnologie: cobalto in sostituzione dei metalli preziosi

Frammenti di cobalto puro – 99.9% (Alchemist-hp)

Il cobalto è un minerale abbastanza comune e reperibile quindi a basso costo. Questa una delle caratteristiche che lo hanno reso protagonista di studi che ne prevedono l’applicazione in seno alle nuove tecnologie.

Il cobalto, integrato in una molecola complessa in grado di imitare le caratteristiche dei metalli preziosi utilizzati ad oggi in ambito industriale per molti processi di catalizzazione, potrebbe diventare il perno per le tecnologie verdi di nuova concezione, dalla produzione di biocarburanti al riassorbimento della anidride carbonica in eccesso.

I catalizzatori utilizzati nelle attuali tecnologie infatti, da quelli usati all’interno delle marmitte catalitiche a quelli utilizzati nel campo delle energie rinnovabili, hanno normalmente costi molto elevati trattandosi di materiali preziosi od elementi rari.

Il cobalto potrebbe dare una spinta fondamentale all’abbattimento dei costi, sia dei processi di conversione e conservazione delle energie alternative, sia dei processi di purificazione ed eliminazione delle sostanze tossiche, creando condizioni economiche favorevoli all’utilizzo di tecnologie green che vedono, ancora oggi, proprio nel costo il principale freno al loro impiego.

Una chimica sostenibile viene quindi incontro ad una tecnologia sostenibile, creando alternative non solo efficienti, ma anche economicamente vantaggiose.

La scommessa è quella di rendere le tecnologie sostenibili via via più vantaggiose, in modo che la scelta del loro utilizzo diventi non solo un vantaggio per tutto l’ecosistema, ma un vero e proprio vantaggio anche per le industrie che, al momento, proprio dai costi sono frenate.

Se nei processi di catalisi al platino, al palladio, al radio, al rutenio, potranno essere sostituite molecole che inglobano il comune e diffusissimo cobalto, la scelta delle diverse industrie non sarà solo una scelta opzionale, una scelta green di principio, ma una vera e propria scelta che anche economicamente le porterà ad essere avvantaggiate.

Se le tecnologie sostenibili costano alle aziende, infatti, il loro mancato utilizzo costa via via di più al nostro ecosistema ed il catalizzatore a base di cobalto fa sicuramente parte della soluzione.

Morena Lolli
2 dicembre 2012

Risparmio e posti di lavoro: il corretto ciclo dei rifiuti favorisce l’economia

Se tutti i Paesi europei si adeguassero alle normative comunitarie che regolano lo smaltimento dei rifiuti, le economie locali non potrebbero che trarne beneficio: un risparmio di oltre 71 miliardi di Euro e la creazione di 400 mila posti di lavoro.

Una prospettiva positiva sia per l’economia che per l’economia ambientale che emerge dal Convegno, promosso dall’Eurispes e dalla Federazione Green Economy dal titolo “Plastica e riciclo dei materiali: un’altra via è possibile”. Durante il Convegno, promosso in collaborazione con il Consorzio PolieCo, è stato presentato uno studio per un approccio a Km zero e per una economia circolare, applicate al ciclo di vita delle materie plastiche.

Dallo studio emerge che l’Italia, diversamente dagli altri paesi appartenenti alla Comunità Europea, fa ancora ricorso in modo eccessivo alle discariche, che sono nel nostro Paese la modalità più diffusa di smaltimento dei rifiuti, mentre ancora pochissime sono le iniziative rilevanti nel campo del riutilizzo, ovvero del recupero dai rifiuti di materie prime successivamente riutilizzabili.

I riciclaggio stesso, che secondo la normativa europea dovrebbe essere via via ridotto in favore del riutilizzo, rimane in Italia operativo solo a livello parziale.

I rifiuti, come spiega Gian Maria Fara, il Presidente dell’Eurispes, se inseriti in un ciclo corretto di gestione contengono in sé grandi risorse. L’Italia, non applicando la normativa europea sulla corretta gestione del ciclo dei rifiuti e non investendo sui necessari impianti di estrazione delle materie prime, si trova da un lato a dover pagare multe per eccessivo utilizzo degli inceneritori, dall’altro a pagare per  lo smaltimento di rifiuti che invece, una volta arrivati all’estero, vengono riciclati per estrarne le materie prime che poi vengono riacquistate dall’Italia.

L’Italia quindi non soltanto paga il mancato ottemperamento della normativa, ma sta, a tutti gli effetti, pagando per esportare la sua stessa ricchezza.

Morena Lolli
30 novembre 2012 

L’identità del cane

L’identità del cane – Roberto Marchesini

Questo libro del professor Roberto Marchesini, laureato in Medicina Veterinaria ed attualmente uno dei maggiori studiosi di Zooantropologia, è un testo che utilizza un approccio cognitivo ed etologico per analizzare il comportamento del cane.

Come per molti altri testi del professor Marchesini, in questo libro troviamo un modo diverso di vedere e di considerare il cane.

Il cane, che deve essere considerato altro rispetto a noi, non possiede i nostri stessi modelli cognitivi e comportamentali e quindi, dice il professore, non solo per essere capito, ma per essere rispettato, non ne deve essere toccata l’alterità rispetto a noi.

Si tratta di un libro affascinante da leggere, non solo per chi ama i cani, ma per tutti coloro che sono interessati allo studio dei modelli comportamentali umani ed animali e della interazioni fra questi mondi, ovvero tra questi modelli cognitivi, che sono profondamente diversi.

Ed è proprio nel pieno rispetto di questa diversità, nel considerare il cane in quanto cane, nel non umanizzarlo,, che si esplica il profondo rispetto per questa sua alterità, una comprensione ed una accettazione dell’esistenza di modelli cognitivi diversi dal nostro ma che, non per questo, sono meno validi o meritano meno rispetto.

Un cane, è un cane in quanto tale: non è un uomo mancato né un essere che è qualcosa di meno di un uomo. Un cane ha una sua propria identità di cane, ben definita e ben distinta dalla nostra identità di esseri umani, ed è proprio nella accettazione e nella comprensione di questa alterità, che è altro senza essere meno, che è diversa senza essere inferiore, che si esprime pienamente anche la nostra stessa identità.

Il confronto con un modello cognitivo differente dal nostro, infatti, non solo permetti di capire il modello cognitivo che non ci appartiene ma, attraverso la comprensione della alterità, ci aiuta a definire i confini che sono propri del nostro modello cognitivo, a rapportare anche noi stessi alla nostra identità.

Un libro affascinante, da leggere e da rileggere, che parlando del miglior amico dell’uomo, definisce anche l’uomo stesso.

Morena Lolli