Acqua sulla Luna

lunaNon proprio acqua in verità, ma tracce di acqua, che sono state rilevate nei campioni minerali della crosta lunare prelevati durante le missioni Apollo.

Questo è quanto sostengono alcuni ricercatori della Università del Michigan, che considerano le formazioni degli altopiani lunari come residui di quelli che sarebbero stati fondali di oceani di magma, ora cristallizzati.

Le tracce di acqua rilevate all’interno dei campioni dimostrerebbero che sulla Luna era presente acqua, e che quindi questa non sarebbe andata persa sin da subito, ovvero durante la formazione del satellite terrestre come normalmente si suppone.

Questi risultati sembrano smontare la teoria secondo la quale la formazione del satellite lunare fu dovuta ad un violento impatto fra il nostro pianeta ed un altro corpo.

Le rocce, infatti, dovrebbero essere tra le rocce lunari più antiche e lasciano intendere che, durante la formazione delle formazioni lunari, sulla superficie fosse presente acqua, il che contraddice la formazione, appunto, considerata come raffreddamento di un corpo magmatico poiché, in tal caso, l’acqua sarebbe dovuta evaporare completamente ben prima della formazione delle rocce.

L’articolo, comparso su Nature Geoscience a firma di alcuni ricercatori, primo dei quali Hejiu Hui, ricercatore associato presso la Università di Notre Dame, promette che presto saranno disponibili le prove della presenza di acqua nell’ antico passato lunare., prove rese disponibili dalle numerose indagini effettuate sui campioni di materiale lunare che, nel corso degli anni, sono stati via via prelevati dalla superficie del nostro satellite.

Già nel 2008 si era aperta la strada a questa ipotesi, quando una analisi condotta su campioni prelevati dalle missioni Apollo con l’ausilio di una microsonda a aioni, aveva portato a rilevare la presenza di idrogeno in alcuni campioni.

Tale presenza, infatti, si ipotizzò potesse essere dovuta ad idrossidi, successivamente trasformati in vetri lunari.

La presenza di ossidrili diffusi su tutta la superficie lunare parrebbe confermare tale ipotesi di una antica presenza di acqua, il che significherebbe che la teoria più accreditata riguardo alla formazione della luna verrebbe smentita.

Morena Lolli
19 febbraio 2013

BMJ: la crisi della ricerca tanto raccontata dalle case farmaceutiche non esiste

ricercaSin dal 2000, le grandi aziende farmaceutiche agitano lo spauracchio della crisi. Crisi della ricerca per cui, sostengono, stanno via via esaurendo i fondi.

Due studiosi, previo un articolo sul British Medical Journal, hanno accusano invece le aziende farmaceutiche, le quali avrebbero creato in realtà il falso mito della crisi della ricerca per ottenere maggiori agevolazioni da parte degli stati di appartenenza.

La scarsità di fondi disponibili per la ricerca non è infatti frutto della crisi, ma di politiche aziendali ben precise, che investono nella ricerca in misura da 1 a 19 rispetto a quanto investono nelle campagne di marketing, la cui promozione può arrivare a rappresentare addirittura l’ 80% della spesa farmaceutica di una nazione.

Gli scienziati infatti spiegano che le aziende, in realtà, investono su progetti minori, ovvero su variazioni di farmaci già esistenti  che, con ben sostenute campagne di marketing, recano più profitto alle aziende farmaceutiche ma che, di fatto, non offrono alcun tipo di soluzione clinica che non sia già esistente sul mercato.

Un bluff, questo, che viene abbondantemente finanziato dai diversi, singoli stati che però in cambio di pesanti spese farmaceutiche hanno in realtà ottenuto farmaci che sono, per l’85.90% dei casi, apportatori di pochissimi vantaggi e, per contro, apportatori di notevoli danni alla salute dei cittadini.

Le voci sono differenti e si levano da gruppi diversi ed indipendenti di scienziati, che hanno verificato che il numero di nuovi farmaci prodotti in un anno, dal 2000 ad oggi, va da 15 a 25 nuovi farmaci l’anno, che però di nuovo spesso ben poco.

Secondo gli esperti, la correzione di questo sistema deve essere politica: un freno alla continua approvazione di nuovi farmaci che hanno ben poco valore terapeutico potrebbe essere l’unica strada per far si che le aziende farmaceutiche investano davvero in ricerca e non soprattutto in campagne marketing.

Gli stati europei spendono miliardi in spesa sanitaria, miliardi che anziché essere convertiti in ricerca di nuove soluzioni terapeutiche vengono per l’80% convertiti in campagne di marketing di farmaci che di nuovo non hanno in realtà assolutamente nulla.

Morena Lolli
16 febbraio 2013

Dal satellite CryoSat le prime valutazioni volumetriche dello scioglimento dei ghiacci nell’Artico

cryosat-esaI dati rilevati dal satellite CryoSat dell’ESA, l’ European Space Agency, ovvero l’ Agenzia Spaziale Europea, relativi allo scioglimento dei ghiacci marini nell’Artico sono stati elaborati da un team internazionale di scienziati che hanno valutato la perdita volumetrica delle masse di ghiaccio.

Il satellite ha raccolto i dati tramite invio di microonde sulle superfici ghiacciate. Le microonde, infatti, rimbalzano in maniera diversa sul ghiaccio rispetto all’acqua, ed i dati “di ritorno” hanno permesso di mappare un accrescimento del volume di acque ed una corrispondente diminuzione del volume dei ghiacci.

Dai dati rilevati dal satellite è emerso che, dal 2003 al 2012, la perdita di volume dei ghiacciai è stata continua e che i ghiacci hanno subito, in meno di dieci anni, una perdita di volume che va dal -9% invernale addirittura al 36% durante l’autunno.

Lo scioglimento dei ghiacci, risulta dai dati del satellite, è costante e, pur se in misura minore, non si ferma nemmeno durante la stagione invernale.  Non solo: la velocità nella perdita di volume è via via aumentata con gli anni e non si tratta quindi solo di una riduzione della superficie che è coperta di ghiaccio, ma di un vero e proprio scioglimento globale.

In alcune zone superficiali la copertura di giaccio è progressivamente scomparsa in alcune zone della Groenlandia, e l’aspettativa è quella di un allargamento di tale zona scoperta.

I dati rilevati dal satellite sono di grande importanza poiché confermano che lo scioglimento dei ghiacci non si limita ai soli ghiacci superficiali, ma coinvolge l’intera struttura artica. La perdita volumetrica, infatti, è l’unica che permette una valutazione corretta della quantità di acqua a temperatura molto vicina allo zero che, sciogliendosi i ghiacciai, va a riversarsi anche nelle acque limitrofe, provocando bruschi cali di temperatura delle stesse.

La perdita di volume, dal 2008 ad oggi, è stata di circa 4300 km cubi di ghiaccio, ghiaccio che si è sciolto in mare, con conseguente dissesto degli ecosistemi che hanno visto grandi e repentine variazioni di temperatura.

Non solo quindi l’innalzamento del livello delle acque, ma anche un vero e proprio cambiamento climatico per gli abitanti del mare che, in conseguenza delle condizioni così violentemente modificate, rischiano la scomparsa o, nel caso di organismi con possibilità di compiere grandi spostamenti, di andare letteralmente ad invadere altre zone di mare, con conseguente dissesto anche di altri ecosistemi.

Origine degli Etruschi: nuova indagine sui campioni biologici stabilisce che erano una popolazione italica

etruschiLe analisi effettuate dai ricercatori delle Università di Firenze e di Ferrara, smentiscono quanto scritto da Erodoto e, soprattutto, lanciano una luce sulla fine della civiltà etrusca.

La ricerca, che è stata pubblicata su Plus One, è stata coordinata dai professori Guido Barbujani, docente di genetica alla Università di Ferrara, e David Caramelli, docente di Antropologia alla Università di Ferrara ed i test sui campioni di DNA antico e i raffronti con ilDNA delle popolazioni attuali è stata svolta in collaborazione con l’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR di Milano.

Gli storici rivali dei Romani, rivela lo studio, erano una popolazione di origine italica che non è andata successivamente a scomparire, tanto che  tracce di DNA si ritrovano ancora oggi in alcune delle popolazioni toscane.

Gli Etruschi quindi non provenivano, come scriveva Erodoto, dalla Anatolia, ma erano una popolazione da tempo stanziata in Italia come sosteneva Dionisio di Alicarnasso.

Gli abitanti odierni della Toscana derivano prevalentemente da popolazioni immigrate in epoche successive, tuttavia tra gli abitanti della città di Volterra e del Casentino si ritrovano, ancora oggi, DNA identici a quelli degli Etruschi di 2500 anni fa.

Lo studio è stato reso possibile per la maggior quantità di antico DNA a disposizione, proveniente dal lavoro del gruppo di Firenze coordinato dal prof. David Caramelli su antichi reperti ossei.

Gli Etruschi quindi non si sono estinti, ma sono rimasti semplicemente in loco, tanto che una parte, seppur minoritaria, della popolazione toscana presenta lo stesso DNA.

Confrontando invece il nuovo materiale genetico di provenienza etrusca con DNA provenienti dall’ Asia, nello specifico dalla Anatoli, si ravvedono tracce di spostamenti e di migrazioni ma che sono molto precedenti al contatto della popolazione etrusca con in Romani o con la comparsa della civiltà etrusca nel secolo VIII Avanti Cristo, poiché tali migrazioni possono essere fatte risalire ad un’epoca preistorica.

Morena Lolli
12 febbraio 2013

AirPod in Italia: il primo stabilimento sarà a Cagliari

AirPod1Lo sviluppo industriale e tecnologico del secolo scorso è stato declinato con la motorizzazione di massa, cosa che rende oggi inevitabile, per declinare uno sviluppo sostenibile, mettere proprio la motorizzazione dei cittadini al centro di un virtuoso processo di miglioramento delle condizioni ambientali.

Miglioramento che non si limita ad essere una mera sostituzione  di tecnologie inquinanti con tecnologie meno inquinanti, ma che comporta un vero e proprio cambio di orizzonte.

Ci sono momenti e ci sono innovazioni tecnologiche che hanno in sé la potenzialità di fungere da traino  a processi virtuosi di miglioramento ed è importante coglierne tutte le enormi potenzialità. Una di queste innovazioni è senza ombra di dubbio la nuova AirPod, l’automobile ad aria compressa che affianca prestazioni più che accettabili ad un consumo ridottissimo, ad una alta affidabilità, alla possibilità di costruire un tessuto produttivo che sia  anch’esso uno stimolo ad miglioramento sociale ed ambientale.

La nuova AriPod, la prima automobile ad aria compressa, nasce finalmente dopo 5 anni di studio ed è ora disponibile per il mercato anche italiano.

L’AirPod nasce da un  progettato della azienda francese Mdi, che ha trovato un partner fondamentale nel colosso indiano Tata e che finalmente ora prevede la vendita dei primi modelli di  auto ad aria compressa, cui seguiranno modelli più potenti, come sappiamo da Cyril Negrè, il progettista francese che ha ideato l’auto.

Il progetto è quello di uscire inizialmente sul mercato con una city car leggera: leggera come peso, leggera come costi di consumo, leggera come prezzo.

AirPod
Dal design futuristico AirPod un mezzo 100% ecologico. Non si usura, consuma pochissimo e si muove grazie all’aria compressa. Il modello, tuttavia, è solo uno dei tanti proposti: saranno disponibili macchine a più posti, cabriolet sino ad un piccolo autobus progettato per il trasporto pubblico.

Solo 7000 euro per un quadriciclo leggero, quelli omologabili per essere guidati da 16enni ma che possono diventare vere e proprie alternative all’ auto a combustione per l’ utilizzo urbano.

Il motore ad aria compressa non si limiterà quindi all’AirPod, che è solo il primo dei mezzi leggeri, ma saranno presto in produzione diversi  modelli, dalla berlina famigliare, al minibus, al trattore, al container. Addirittura il motore è disponibile anche a parte, per poter funzionare da generatore in caso di emergenza.

I dubbi sicuramente restano molti e non sarà facile dissiparli, proprio perché attorno all’automobile si è costruito il mito del progresso anche nel nostro paese:  occorre un segno deciso, una svolta che mostri con decisione che coniugare tutela ambientale con le necessità della vita moderna, non solo è possibile, ma è facile, conveniente e vincente da molti punti di vista.

Accanto alla adozione di auto non inquinanti, infatti, si apre la possibilità di un circuito economico e sociale virtuoso che parte dalla scelta, innanzitutto, di non utilizzare concessionarie e fabbriche centralizzate, ma di installare molte piccole officine locali in cui avverrà la costruzione delle auto.

Non solo un abbattimento di costi, di consumi , di emissioni inquinanti solo per il trasporto, ma invece una rafforzamento del tessuto produttivo locale: molte piccole officine che non solo costruiranno, ma che permetteranno un rifiorire delle piccole officine dedicate alla manutenzione delle auto.

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Il bianco, così come il rosso, sono soltanto alcuni dei colori presentati dall’innovativa auto ad aria.

Un auto veicolo che non è solo un auto veicolo ma un vero e proprio modo diverso di pensare ad una mobilità nel rispetto dell’ambiente e con una integrazione economica e sociale sul territorio: prodotti nati per essere utilizzati in loco, prodotti che con il loro utilizzo rispettino l’ecosistema locale.

Uno dei punti cardine da sviluppare accanto alla nascita di officine addette sarà l’approvvigionamento anche se è ovvio che si potrà caricare autonomamente l’auto anche a casa. In questo caso i costi saranno lievemente superiori: con un solo euro, infatti, è possibile fare circa 100 km, un abbattimento dei costi di gestione che, accanto al prezzo di vendita davvero irrisorio, attorno ai 7 mila euro, rende l’ AirPod una delle novità più attese e non ci vorrà molto per vedere le city car circolare numerose anche in Italia.

Sicuramente non è l’idea di un motore ad aria compressa ad essere vincente in o innovativa in se stessa, ma è il connubio fra costo ridotto, costi di gestione davvero irrisori, possibilità di innescare un meccanismo economico virtuoso attorno alla costruzione ed alla manutenzione.

Come design, il veicolo ricorda molto da vicino la famosa Isetta disegnata nel dopoguerra dalla Iso su licenza della BMW, e che faceva 100 km orari con 3 litri. Un design mirato essenzialmente al risparmio dei costi, cosa che fece dell’ Isetta l’auto monocilindrica  più venduta di tutti i tempi con circa 170 mila esemplari, il che permise di salvare la BMW che versava in brutte acque nel dopoguerra.

La linea della AirPod richiama non a caso quella della Isetta le cui intuizioni nel design derivavano direttamente dalla aereonautica e dal design delle auto sportive, anche  se nella AirPod le ruote gemellate della versione quadriciclo sono poste nella parte anteriore anziché nella parte posteriore.

Fare il pieno resterà un operazione semplice e veloce. Potrà esser fatta nel proprio garage o in una pompa ad aria compressa apposita. Il tempo medio per un pieno? 120 secondi!
Fare il pieno resterà un operazione semplice e veloce. Potrà esser fatta nel proprio garage o in una pompa ad aria compressa apposita. Il tempo medio per un pieno? 120 secondi!

Il pieno, una ricarica del compressore della durata di 3 minuti, potrà essere fatto anche a casa dachi possiede un compressore.

Per la versione più potente, che raggiunge gli oltre 300 km  di autonomia ed è strutturata come una vera e propria auto, è previsto un piccolo motore a benzina.

I punti di forza di questa innovativa auto sono quindi: un abbattimento notevolissimo delle missioni inquinanti, ovvero la spesa energetica è solo quella della ricarica del compressore, il non utilizzo di batterie che, nelle auto elettriche, sono il punto dolente.

Da una concomitanza di problemi gravi e addirittura gravissimi, come una grande e diffusa crisi economica che, per la prima volta dal dopoguerra, torna a mettere in forse la possibilità di spostamento dei cittadini , sia per i costi dei veicoli in se stessi che per il costo esorbitante dei consumi, ed una situazione ambientale vicina al collasso per l’alto numero di sostanze inquinanti disperse nell’ambiente con la AirPod si può innescare un meccanismo virtuoso che ricalca in qualche modo il meccanismo proprio della industria automobilistica.

Non per ultima la novità "assoluta" implementata dal veicolo: si guiderà con un joystic, non saranno quindi necessarie  particolari competenze se non l'esperienza minima in piattaforme videogame!
Non per ultima la novità “assoluta” implementata dal veicolo: si guiderà con un joystick, non saranno quindi necessarie particolari competenze se non l’esperienza minima in piattaforme videogame!

La produzione il loco favorirà lo sviluppo delle diverse realtà locali, a partire dal primo stabilimento italiano che sarà a Cagliari cui seguiranno un‘ altra ventina di stabilimenti in cui le auto, ricordiamo, saranno non semplicemente assemblate ma realmente costruite.

Un’auto economica, pensata per costare poco e per diffondere sempre più una mobilità che sia il più possibile sostenibile. Il target preferenziale per il modello leggero sono senza dubbio i giovani, lo dice il joystick per la per la guida e lo dice il nome.

Unica nota negativa della versione più leggera sono le ruote gemellate davanti che offrono la stabilità di 4ruote e permettono di andare a velocità elevate, ma non offrono ovviamente la stessa stabilità di una normale 4 ruote, il che spiega anche la limitazione di velocità ad 80 km/h, molto più che sufficienti per una city car.

Morena Lolli
7 febbraio 2013

Biodiversità in silvicoltura

silvicolturaLa silvicoltura moderna è, come altre colture moderne, essenzialmente basata sulla mono coltivazione.

E’ già noto che le monocolture provocano un impoverimento del terreno ma è relativamente nuovo lo studio che una maggiore biodiversità comporta anche una maggiore produttività delle colture silvicole.

Lo studio è stato portato avanti da un gruppo di ricercatori svedesi del Dipartimento di Scienze Agrarie della Università di Goteborg e dimostra che un bosco misto, ovverossia composto da diverse specie di alberi, è in realtà più produttivo di un bosco coltivato con una sola specie di alberi.

La mono coltivazione, nello specifico svedese coltivazione di pino e di abete per legname, pur sembrando più razionale, motivo per cui è stata fatta la scelta delle monocolture, si rivela in realtà molto meno produttiva poiché un bosco misto contribuisce in diversi modi all’equilibrio dell’ecosistema, non solamente alla produzione del legno ma anche, per esempio, alla diversità biologica che arricchisce il terreno, al sequestro di carbonio, alla produzione di frutti di bosco. Questa biodiversità porta ad un maggiore equilibrio dell’intero sistema bosco, il che comporta anche una crescita maggiore degli alberi.

Il team, che per la prima volta ha condotto uno studio globale dei diversi processi ecosistemici che intervengono nella vita boschiva,  ha così dimostrato nei fatti quello che già numerose osservazioni suggerivano, ovvero che tanto maggiore è la diversità delle specie arboree che concorrono alla vita ed all’equilibrio di un sistema, anche boschivo, quanto maggiore sarà anche la vigoria e lo sviluppo dei singoli individui delle singole specie.

Lo studio, basato sui dati prodotti dalle osservazioni che sono contenuti nell’Inventario Forestale Nazionale Svedese e nell’Inventario forestale svedese del suolo, ha valutato l’importanza della presenza di diverse specie di alberi su sei diversi servizi ecosistemici: crescita degli alberi, sequestro di carbonio, produzione di frutti di bosco, cibo per la fauna selvatica, presenza di legno morto, diversità biologica della vegetazione al suolo.

Lo studio dimostra che tutti e sei i servizi aumentano in modo direttamente proporzionale all’aumento del numero di specie di alberi che compongono il bosco, incluso il servizio per cui vengono attuate le colture, ossia la crescita degli alberi da legname.

Morena Lolli
6 febbraio 2013

Carburanti dai semi di albero

Madhuca-indicaNon solo biomasse o coltivazioni per carburanti, per produrre biodiesel si possono usare anche i semi di alcuni alberi: ne parla uno studio pubblicato sull’ International Journal of Automotive Technology e Management.

Lo studio riporta che i semi di mahua e di sal hanno una efficienza che si può paragonare a quella del biodiesel, ma allo stesso tempo hanno una ridotta emissione di monossido di carbonio, di ossidi di azoto e, in genere, una produzione inferiore di idrocarburi di scarto.

I tre ricercatori principali sono i ricercatori indiani Sukumar Puhan del GKM College of Engineering and Technology ed N. Vedaraman e KC Velappan del Central Leather Research Institute,  il che spiega la scelta dei semi di albero che rappresentano proprio per l’India una grande risorsa in quanto costituiscono una biomassa non ancora sfruttata per produrre carburanti.

Utilizzare olii provenienti dai semi di albero potrebbe presentare vantaggi rispetto all’ uso di semi vegetali classici: viscosità ridotta e maggiore volatilità infatti sarebbero funzionali alla riduzione di alcuni dei problemi che vengono a tutt’ oggi incontrati in fase di produzione di biodiesel da biomassa formata da olii vegetali.

I tre ricercatori, inoltra, sottolineano nello studio la enorme quantità di semi di  mahua, ovvero la Madhuca indica, e di semi di sal, ovvero la Shorea robusta, che restano normalmente abbandonati nelle foreste.

Il seme del mahua è costituito al 70% da un nocciolo che contiene il 50% di olio. Di questo olio, è possibile estrarne dal 34% al 37%. I semi del sal, invece, possono produrre fino al 20% di olio.

Nella ricerca, i tre studiosi hanno incluso anche l’efficacia dei semi dell’ albero di neem, assieme alla raccomandazione a preferire invece il mahua ed il sal, sia perché il neem è più pregiato come legname, sia per il tempo di maturazione più lungo rispetto agli altri due alberi.

La stima fatta dai ricercatori è che dei 64milioni di ettari di terreno, 15  milioni potrebbero essere convertiti in piantagioni di mahua e sal, fornendo occupazione e impiego del territorio per produrre carburante in modo sostenibile.

Ricordiamo infatti che il mahua ha bisogno di soli 10 anni per giungere alla piena maturità e che questo potrebbe essere un modo,  altamente sostenibile, di svincolare l’ India dalla dipendenza fortissima dalle importazioni di carburante.

Giulia Orlando
4 febbraio 2013