Un passo avanti nella protezione di squali e mante

manta-rayIl giorno 3 marzo 2013, la Commissione Internazionale della CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora) ha dato inizio alla serie di conferenze, nelle quali si è discusso delle misure di protezione per determinate specie animali e vegetali.
La conferenza triennale, che quest’anno, per il quarantesimo anniversario, si è svolta a Bangkok dal 3 al 13 marzo, ha visto la partecipazione di circa 2000 delegati in rappresentanza di centocinquanta tra governi, organizzazioni non governative, popolazioni indigene e aziende, per discutere di settanta questioni relative alla regolamentazione del commercio di specie a rischio di estinzione e altre attività che stanno determinando la scomparsa di ambienti naturali ed esseri viventi. Il bracconaggio, la pesca eccessiva, il commercio illegale di specie selvatiche e la deforestazione continuano a distruggere interi ecosistemi marini e foreste, destando serie preoccupazioni per il futuro e la sicurezza del pianeta.

La CITES prevede una suddivisione delle specie a rischio di estinzione in tre “Appendici”, in base alla criticità della situazione nel loro ambiente naturale. Le prime due Appendici riguardano le situazioni più delicate e che necessitano di interventi più decisi: in Appendice I, infatti, sono comprese quelle specie gravemente minacciate di estinzione, il cui commercio è severamente vietato, mentre l’ Appendice II include specie che a breve termine potrebbero essere minacciate di estinzione se il commercio non venisse regolamentato da apposite leggi.

Le settanta questioni sottoposte alla Commissione esaminatrice sono state avanzate da oltre cinquanta Paesi e non hanno riguardato solo l’inclusione di nuove specie nelle Appendici, ma anche l’aggiornamento delle liste precedenti, suggerendo modifiche, trasferimenti e esclusioni di specie in virtù delle caratteristiche dinamiche delle liste e tenendo conto, in alcuni casi, dei successi ottenuti da parte della CITES a quarant’anni dalla sua nascita.
I punti salienti degli incontri hanno riguardato prevalentemente alcune specie di squali e mante, senza dimenticare problematiche relative anche a rinoceronti bianchi, elefanti, orsi polari e specie vegetali.
Il 13 marzo 2013 è un giorno da ricordare per la vita negli oceani, perché rappresenta un passo in avanti per la salvaguardia di squali e mante: è questo il giorno, infatti, in cui la commissione ha deciso di approvare la proposta di inserire in Appendice II le due specie di manta e cinque specie di squali di valore commerciale. Le specie di squalo in questione sono: lo squalo pinna bianca (Carcharhinus longimanus), lo squalo martello smerlato (Sphyrma lewini), il pesce martello maggiore (Sphyrna mokarran), il pesce martello (Sphyrna zigaena) e lo smeriglio (Lamna nasus). Il commercio di questi squali, che finora sono stati pescati principalmente per il valore delle loro pinne e in alcuni casi per le loro carni, d’ora in avanti sarà soggetto alle restrizioni della CITES in quanto a esportazione, importazione e detenzione. I Paesi che si sono battuti in maniera più significativa per l’approvazione di tali misure di protezione sono stati Colombia, Brasile e Stati Uniti, proponendo, supportando e mettendo ai voti tale proposta.
L’Ecuador si è distinto per la proposta di inserire in Appendice II le due specie di manta esistenti (Manta birostris e Manta alfredi). Le mante sono animali migratori di grossa corporatura (possono arrivare fino a 7 metri), con una crescita molto lenta e con piccole popolazioni frammentate; hanno un tasso di riproduzione tra i più bassi nell’ambiente marino, poiché la femmina dà alla luce un solo piccolo ogni due, tre anni che ha basse possibilità di sopravvivenza a causa dell’eccessivo sfruttamento. Le piastre branchiali di questo animale, infatti, sono state per anni commercializzate per il loro alto valore nel mercato della medicina cinese.

Il bilancio della quarantesima conferenza CITES è stato di cinquantacinque proposte accolte, nove rigettate e sei ritirate, oltre che la definizione di ferme misure contro i reati sulla fauna selvatica. Il meeting successivo si terrà nel 2016 in Sudafrica.

Paola Nucera
16 marzo 2013

Gli animali prevengono i terremoti?

Nei secoli si sono susseguite molte storie sulla capacità degli animali di avvertire i terremoti in anticipo rispetto all’uomo.
Le osservazioni si riferiscono ad un ampio range di specie animali, tra cui mammiferi, uccelli, rettili, pesci e insetti. Tra gli animali domestici, molti proprietari hanno riportato comportamenti inusuali, come per esempio galline che non covano più uova, mucche che non forniscono latte o api che abbandonano i loro alveari alcuni giorni o ore prima di uragani, terremoti e tsunami.
I comportamenti anomali più evidenti provengono da cani e gatti. Molti proprietari, infatti, hanno affermato di aver assistito alla stranezza nei comportamenti dei loro animali prima che la terra iniziasse a tremare, con ripetuti guaiti e latrati senza una ragione apparente o mostrando segni di nervosismo e irrequietezza.

La convinzione che gli animali avvertano preventivamente i terremoti potrebbe essersi originata nell’antica Grecia nel 373 a.C., quando, secondo un antico documento, animali come ratti, donnole e serpenti abbandonarono in massa la città di Helice alcuni giorni prima di un terremoto devastante.
In anni recenti, persistono testimonianze dello strano comportamento degli animali prima di disastri naturali e il fenomeno continua ad incuriosire l’uomo, senza che egli sia riuscito ancora a trovare un fondamento scientifico o una spiegazione concreta del fenomeno.

I Paesi che hanno maggiormente insistito sull’esplorazione del comportamento animale legato alla previsione dei terremoti sono la Cina e il Giappone: gli studiosi cinesi sono arrivati alla conclusione, però, che non tutti i terremoti causano un comportamento anomalo negli animali.
Il Giappone è uno dei paesi più famosi al mondo per la predisposizione ai terremoti: qui, la devastazione ha causato numerose vittime e ingenti danni ai beni.
I ricercatori giapponesi hanno studiato a lungo il comportamento animale, nella speranza di scoprire se essi fossero in grado di avvertire preventivamente le scosse sismiche della Terra e inserire questi segnali in un sistema di allarme generale per la previsione dei terremoti.

L’irrequietezza, i richiami vocali, l’agitazione e l’eccitazione sembrano essere le osservazioni più ricorrenti: molte persone denunciano la scomparsa del proprio animale domestico diversi minuti o giorni prima degli eventi sismici. Questi dati fanno discutere sulla possibilità che alcuni animali posseggano una sensibilità particolare ai segnali precursori dei terremoti, ma le testimonianze di questo fenomeno scientificamente attendibili sono poche: spesso si parla di semplici aneddoti riportati e catalogati come folklore e cosa avvertano precisamente gli animali continua a rimanere un mistero.
È un dato scientifico che animali particolarmente sensibili siano in grado di percepire le vibrazioni geologiche prima dell’uomo o, secondo altre teorie, i cambiamenti elettromagnetici o della pressione atmosferica, ma non esistono prove che tale sensibilità sia la vera responsabile del comportamento anomalo prima delle catastrofi. I sismologi sono molto scettici su questo argomento, così come sulla possibilità che i terremoti possano essere previsti. Ad oggi, i terremoti, infatti, sono considerati eventi improvvisi e i sismologi non hanno modo di conoscere esattamente quando e dove avverrà il prossimo.
Secondo la United States Geological Survey (USGS), l’agenzia governativa che fornisce informazioni scientifiche sulla Terra, non è mai stata fatta una connessione ripetibile tra uno specifico comportamento e l’evenienza di un terremoto. Andy Micheal, geofisico della USGS, sostiene che gli animali rispondono a così tanti stimoli, come la fame, la protezione del territorio, l’accoppiamento, i predatori, che è molto difficile controllare le variabili che determinano il segnale di allarme prima dell’evento disastroso. Negli anni ’70 l’USGS ha condotto diversi studi sulla previsione animale, ma secondo il geofisico non è stato possibile ricavarne alcun dato concreto, tant’è che da quel momento l’agenzia governativa non ha condotto ulteriori studi.

Esistono, d’altra parte, esempi in cui le autorità hanno previsto con successo un devastante terremoto basandosi in parte sull’osservazione di comportamenti inconsueti negli animali.
Nel 1975 le autorità cinesi ordinarono l’evacuazione della città di Haicheng, dove vivevano un milione di persone, solo alcuni giorni prima di un terremoto di magnitudo 7.3; solo una minima parte della popolazione fu ferita o perì durante l’evento. Se la città non fosse stata evacuata, si stima che i morti e i feriti avrebbero superato le 150.000 vittime.

Tra gli studi più recenti, vi è quello dei ricercatori del Dipartimento di Geologia dell’Università della California che si sono chiesti se un sistema di previsione dei terremoti potesse essere basato sul comportamento animale. Essi hanno raccolto i dati pubblicati nella sezione “Animali dispersi e ritrovati” sul giornale San Jose Mercury News e li hanno messi in relazione ai 224 terremoti, di magnitudo almeno 2.5, verificatisi in un arco di tempo di tre anni (1983-1985) nell’area di San Francisco. Per decine di anni, infatti, era stata avanzata l’ipotesi che nell’area a sud della baia di San Francisco, ogni qualvolta la sezione del giornale pubblicava un numero straordinariamente crescente di gatti e cani dispersi e ritrovati, aumentava la probabilità che si verificasse un nuovo terremoto; questa ipotesi si basava sull’idea che gli animali domestici che lasciano la propria casa, un posto normalmente sicuro e comodo, fuggivano a causa di un disturbo o pericolo proprio prima del terremoto.
Il motivo più probabile che disturba il comportamento normale dell’animale potrebbe essere un fenomeno elettromagnetico. Sappiamo che altri animali sono già in grado di utilizzare questo genere di informazioni: i piccioni e le oche si orientano con il campo magnetico terrestre usando piccoli cristalli di magnetite all’interno di organi di senso collocati nel capo e anche alcuni batteri, i tonni e i salmoni possiedono simili cristalli di magnetite. L’ipotesi del comportamento animale, verificata nello studio dei ricercatori californiani, era basata sull’assunto che cani e gatti potessero avvertire disturbi magnetici precursori del terremoto da sette a dieci giorni prima dell’evento.
I ricercatori hanno applicato test statistici sui dati a disposizione, ma non hanno trovato alcuna correlazione temporale positiva tra il numero di animali persi/trovati e gli eventi sismici dell’area in quegli anni.
Lo studio ha suggerito, dunque, che non è possibile costruire un sistema di previsione di terremoti basato su questo tipo di dati, ma sono necessarie ricerche fondate su prove più accurate e ipotesi più caute.
Nuove ipotesi potrebbero affrontare il problema da un diverso punto di vista e riuscire a trovare la giusta strada per utilizzare i dati relativi al comportamento animale, già utili in molti altri campi; di certo, è importante continuare a tentare di realizzare un valido sistema di prevenzione che possa mettere in allerta preventivamente la popolazione e salvare numerose vite.

Paola Nucera

Il contributo delle immagini satellitari al censimento dei pinguini imperatore

Pinguini imperatore (Aptenodytes forsteri).

Un recente studio, pubblicato questo mese sulla rivista PLoS ONE, rivela che esiste un numero doppio di pinguini imperatore in Antartide, rispetto agli studi precedenti effettuati su questa specie. La ricerca è frutto di una collaborazione tra il British Antartic Survey, l’Università del Minnesota (National Science Foundation), lo Scripps Institution of Oceaonography e l’Australian Antartic Division.

Lo studio, condotto da un team internazionale di esperti, ha utilizzato la tecnologia della mappatura satellitare per stimare il numero di pinguini di ogni colonia intorno alla linea di costa dell’Antartico. Fino ad oggi, la risoluzione delle immagini da satellite non era tale da consentire una precisa individuazione dei pinguini, ma grazie all’utilizzo di immagini satellitari VHR (Very High Resolution) e della tecnica del pan-sharpening i ricercatori hanno aumentato la risoluzione delle immagini, riuscendo a differenziare i vari elementi del paesaggio ghiacciato in prossimità delle colonie, ovvero gli uccelli, il ghiaccio, le ombre e le aree di defecazione della specie stessa; successivamente, essi si sono serviti di griglie e di fotografie aeree per calibrare le analisi.

L’uso di queste nuove tecnologie nello studio delle popolazioni è particolarmente significativo per animali come i pinguini imperatore che vivono in zone remote della Terra e con temperature che scendono anche al di sotto dei -50°C.
Il geografo responsabile del progetto Peter Fretwell del British Antartic Survey (BAS) ha espresso la sua soddisfazione per essere stati capaci di localizzare e indentificare un grande numero di pinguini imperatore: i 590,000 uccelli, infatti, sono risultati il doppio rispetto alle stime previste di 270.000-350.000 esemplari e questo censimento rappresenta il primo effettuato dallo spazio.

Le popolazioni di pinguini imperatore (Aptenodytes forsteri) rappresentano un importante indicatore ambientale per i cambiamenti climatici, per via della loro stretta relazione con i ghiacci dei mari antartici. Questi uccelli dal piumaggio bianco e nero creano un contrasto perfetto con il ghiaccio sul quale vivono, rendendosi chiaramente visibili dalle immagini satellitari; tale caratteristica ha permesso ai ricercatori di analizzare un totale di 44 colonie di pinguini lungo la costa antartica, incluse 7 nuove colonie precedentemente non valutate.

Il co-autore del progetto Michelle LaRue dell’Università del Minnesota sostiene che le implicazioni di questo studio sono di vasta portata perché ora avremo la possibilità di applicare questi metodi per altre specie poco conosciute nell’Antartico, per rafforzare le ricerche sul campo e fornire informazioni accurate per stabilire azioni di conservazione. Inoltre, le nuove tecniche possono permettere di condurre le ricerche in tutta sicurezza ed efficientemente con un basso impatto ambientale, arrivando a determinare le stime di un’intera popolazione di pinguini.

Attualmente, la preoccupazione per gli scienziati è che in alcune regioni antartiche, il riscaldamento anticipato della primavera stia guidando verso una perdita di ghiacci, che costituisce l’habitat per i pinguini Imperatore, rendendo le colonie più a nord maggiormente vulnerabili ad ulteriori cambiamenti climatici. Secondo il biologo Phil Trathan, ricercatore del progetto, lo studio ha evidenziato che le colonie di pinguini imperatore saranno seriamente influenzate dal cambiamento climatico, pertanto un censimento accurato, diffuso sul continente e ripetuto regolarmente aiuterà a monitorare attentamente gli impatti dei futuri cambiamenti su questa specie icona dei ghiacci.

Paola Nucera

Riserve marine in viaggio con le specie da salvare

La città canadese di Vancouver ha ospitato dal 16 al 20 febbraio il meeting annuale della AAAS, la società americana che promuove la cooperazione internazionale tra le scienze. L’appuntamento del 2012, di uno degli eventi scientifici più importanti in America, ha visto un susseguirsi di seminari e interventi di ricercatori e scienziati che hanno presentato i loro studi più recenti. Tra questi, la ricerca più innovativa nel settore della conservazione è stata quella presentata dal Prof. Larry Crowder dell’Università di Stanford per la realizzazione di un nuovo tipo di riserve marine protette.

Secondo l’opinione di diversi ricercatori è necessario istituire aree marine protette “mobili” per tutelare le specie oceaniche a rischio di estinzione: non più, quindi, limitate porzioni fisse di oceano in cui applicare le ferree regole anti pesca, poiché non riflettono il reale comportamento dinamico di alcune specie oceaniche.

La grande quantità di dati raccolti tramite la tecnica di radio-tracking, infatti, suggerisce di ricercare nuovi approcci per la conservazione degli organismi negli oceani. Il Prof. Crowder, coordinatore scientifico del Center for Ocean Solutions, sostiene che meno dell’1% dell’oceano è attualmente protetto e i parchi marini esistenti tendono ad essere realizzati intorno ad elementi fissi come barriere coralline o montagne sottomarine. Gli studi di radio-tracking, che forniscono dati spaziali sugli animali, però, indicano che molti organismi come pesci, mammiferi marini, tartarughe, uccelli marini e squali sono correlati a caratteristiche oceanografiche non legate a un punto fisso. Queste specie seguono percorsi e correnti che sono in relazione alle stagioni, dall’estate all’inverno, di anno in anno, in base a cambiamenti climatici oceanografici come El Niño o le fasi di variabilità climatica del Pacifico.

Secondo Crowder e altri biologi marini, la sfida oggi è quella di provare a creare un sistema di riserve marine che siano dinamiche, così come le creature che esse hanno il compito di proteggere.
Lo spunto per formulare questa nuova ipotesi è giunto dall’enorme quantità di dati provenienti dai progetti di marcatura e identificazione. Tutte le principali specie vengono “tracciate” per ampie distanze, usando strumenti incredibilmente sofisticati. Molte delle innovazioni che hanno migliorato le prestazioni e le funzioni dei telefoni cellulari sono state incorporate nei dispositivi di localizzazione di ultima generazione. Questi dispositivi non registrano solo gli spostamenti degli animali, ma rimandano informazioni anche sulle condizioni dell’oceano.

Kristin Hart, ricercatrice di ecologia presso la US Geological Survey sostiene: “Ora possiamo posizionare sensori multipli in un singolo dispositivo e quando si aumentano le prestazioni della batteria con elementi come i pannelli solari, si è creata l’opportunità incredibile di vedere cioè che sta facendo un animale in molteplici dimensioni e per lunghi periodi di tempo”. Secondo l’ecologa, che al meeting ha mostrato alcuni dei più piccoli dispositivi attualmente in uso, la dimensione è particolarmente importante quando si vogliono avere risposte sulle abitudini degli individui giovani o di quelli molto veloci come i tonni, evitando di creare ingombro all’animale con strumentazioni troppo grandi e impacciate o influenzarne il comportamento.

Oggi sappiamo come si comportano le specie marine nei confronti delle upwellings, ovvero le correnti che portano alla risalita delle acque profonde, e come gli organismi vadano in cerca di nutrienti attraverso la rete alimentare stabilita in queste condizioni dell’oceano. Questo tipo di eventi possono verificarsi e poi terminare o spostarsi. Per questo motivo, secondo il Prof. Crowder e i suoi collaboratori, le riserve marine future dovranno riflettere questo dinamismo e non essere determinate unicamente da coordinate geografiche su una mappa.

Paola Nucera

Perché le mangrovie sono importanti per gli squali balena

Negli ultimi mesi del 2011, un gruppo di quasi 300 volontari ha portato a termine un programma di rimboschimento di mangrovie, piantando circa 10.000 esemplari a Donsol, la porzione meridionale dell’isola filippina di Luzon. Quello che fino a pochi anni fa era un povero villaggio di pescatori, basato esclusivamente su attività di agricoltura e pesca tradizionali (e non sostenibili), oggi rappresenta uno dei luoghi più emozionanti per l’incontro tra l’uomo e la vita marina, nel totale rispetto della natura.
Dal 1998, anno in cui è stata vietata l’uccisione degli squali balena, infatti, Donsol ha sfruttato la presenza di questi “giganti gentili” per attrarre turisti e offrire loro l’occasione di immergersi e nuotare con i pesci più grandi esistenti. Questa forma di turismo ecosostenibile, insieme alla bellezza del luogo, ricco di vegetazione tropicale e spettacolari magie notturne di lucciole, ha creato un equilibrio tra la sopravvivenza dello squalo balena e il sostentamento dei pescatori, i quali, stagionalmente, vestono i panni di vere e proprie guide che accompagnano i turisti nei luoghi di avvistamento del gigante e lo tutelano facendo rispettare le regole dell’incontro.

Le mangrovie sono un elemento caratteristico del paesaggio di Donsol e sono piante di importanza vitale per la natura di questo luogo, non solo perché rappresentano il rifugio delle lucciole, che sono indicatori della salute degli ecosistemi, ma anche perché alimentano la crescita del plancton, alimento principale degli squali balena.
Raul Burce, a capo del WWF-Philippines Project, sostiene che gli squali balena si riuniscono a Donsol proprio per la grande quantità di plancton. Il plancton consuma i nutrienti portati dai fiumi ancora non inquinati di Donsol, tra i pochi habitat dove le lucciole ancora prosperano. Perdere le mangrovie significherebbe anche perdere le lucciole.
Gli squali balena, conosciuti come butanding in tagalog, la lingua locale, possono spostarsi anche per migliaia di chilometri in acque tropicali alla ricerca delle correnti di plancton. A Donsol, nel periodo compreso tra gennaio e maggio, le acque dei fiumi sono ricche di nutrimento e gli squali si riuniscono a decine. Se uno dei componenti di questo delicato ciclo venisse a mancare, anche gli altri seguirebbero la stessa sorte. La presenza di fiumi privi di inquinamento, necessari per la sopravvivenza delle lucciole, infatti, è legata alla fioritura del plancton, senza il quale gli squali balena migrerebbero altrove.
Il turismo naturalistico ha apportato una modifica radicale a Donson, dove si calcola che da dicembre 2010 a giugno 2011 abbiano nuotato con i “giganti gentili” un totale di 24.191 visitatori locali e stranieri. L’ufficio per il turismo di Donsol ha stimato che nella sola stagione 2010 siano stati prodotti 2.3 milioni di dollari provenienti dalle attività turistiche relative ai tour per incontrare la magia di squali balena, lucciole e mangrovie.
Per tali ragioni, la sezione filippina del WWF, il mese scorso, ha promosso una grande attività di rimboschimento delle mangrovie, immettendo 10.000 piantine nel Barangay di Sibago a Donsol. Le mangrovie (in tagalog bakawan) costituiscono uno degli habitat marini più produttivi, capaci di generare 500 kg per ettaro di cibo all’anno. Esse assorbono quantità significative di diossido di carbonio, che è il maggiore responsabile dei cambiamenti climatici. La spessa copertura vegetale che creano protegge le comunità costiere dalle violente tempeste di vento e onde generati dai tifoni; le tipiche radici labirintiche costituiscono un rifugio ideale per pesci e invertebrati e si ancorano ai sedimenti favorendo l’assorbimento di tracce di metalli pesanti; limitano, inoltre, l’erosione costiera e prevengono la contaminazione dell’acqua salata nell’entroterra. Perfino le foglie cadute rappresentano cibo e tane per gli animali.

Oltre a minacciare l’industria del turismo, la perdita delle foreste di mangrovie espone le comunità che vivono sulla costa al rischio di alluvioni, ad una più veloce erosione della spiaggia, alle intrusioni saline e ai danni provocati dalle tempeste che si intensificano di anno in anno. Quasi il 75% della copertura vegetale originaria è già stata persa a causa della trasformazione di porzioni di foresta in stagni di pesci e gamberetti a scopo di lucro. Il rimboschimento di mangrovie mira a rimediare questi danni. Secondo il vice-presidente e capo esecutivo del WWF-Philippines Jose Ma.Lorenzo Tan, la chiave di tutto è l’equilibrio: senza di esso la produttività dei nostri sistemi naturali crolla e solo trovando l’equilibrio tra la conservazione e lo sviluppo si può assicurare la sostenibilità.

Paola Nucera

Le salamandre conoscono la matematica

La capacità di discriminazione numerica negli animali potrebbe essere comparsa nel corso dell’evoluzione molto prima di quanto gli scienziati credessero.salamandra L’Università della Louisiana, grazie ad uno studio condotto da Claudia Uller a Lafayette, ha analizzato le capacità numeriche della salamandra rossa (Plethodon cinereus). All’animale è stata sottoposta una scelta tra due tubetti contenenti due e tre moscerini della frutta: la salamandra ha dimostrato di preferire il contenitore con un numero maggiore di moscerini, balzando sul tubetto dei tre insetti.

L’esperimento ha evidenziato la capacità di questi anfibi di differenziare tra un numero piccoli di oggetti. Studi precedenti hanno dimostrato che i primati sono in grado di riconoscere la quantità più grande tra due oggetti forniti, se al di sotto dei quattro,  senza nessun addestramento. I bambini, infatti, scelgono la ciotola con più biscotti; le scimmie, ugualmente, si avvicinano al secchio con più spicchi di frutta. La sorpresa, secondo Uller, è che gli anfibi “falliscono allo stesso modo di bambini e scimmie” quando gli oggetti diventano più di tre, generando confusione.

Alan Leslie, che lavora sullo sviluppo del cervello umano alla Rutgers University di Piscataway, in New Jersey, sostiene che esiste un limite riguardo al numero di oggetti che possono essere analizzati per volta. La porzione del cervello che focalizza l’attenzione, infatti, sembra che non possa trattare con più di quattro oggetti. L’inserimento delle salamandre nella lista degli animali dotati di capacità matematiche naturali rivela che alcune nozioni numeriche si sono evolute almeno ventotto milioni di anni fa. Marc Hauser, studioso di matematica dei primati alla Harvard University di Cambridge, in Massachusetts, concorda che il processo potrebbe essere più antico di quanto pensassimo.

Ma Hauser e Leslie mettono in guardia sul fatto che potrebbero essere coinvolti diversi processi nella percezione di anfibi e primati. Nelle scimmie, per esempio, alcune cellule della corteccia prefrontale del cervello rispondono a oggetti singoli e altre a paia di oggetti. Le salamandre potrebbero essere influenzate dal volume fisico dei moscerini o dall’insieme di odori che percepiscono. Secondo Leslie potrebbe essere una sorta di meccanismo rudimentale che è stato mantenuto nell’evoluzione oppure potrebbe essersi evoluto indipendentemente come per l’occhio.

Paola Nucera

I mammiferi con più partner hanno maggiori possibilità di sopravvivenza?

Secondo uno studio effettuato nelle riserve naturali del Ghana, le specie mammifere che vivono con un solo partner sono più soggette a estinguersi rispetto a quelle che si accoppiano con molti più individui. La scoperta deriva Cercopithecidaedallo studio condotto dall’ecologo Justin Brashares dell’Università British Columbia di Vancouver e fornisce un importante dato che potrebbe rimettere in discussione le priorità di conservazione. Per la prima volta, infatti, si mette in relazione l’accoppiamento con l’estinzione.

Molte specie, di cui non credevamo di doverci preoccupare, stanno per essere interessate dal problema dell’estinzione come risultato del loro comportamento”, afferma l’ecologo. Brashares ha scoperto che specie come il bufalo, per esempio, in cui pochi maschi monopolizzano il gruppo di femmine, sono in aumento, mentre altre, come le antilopi monogame del genere Madoqua (o dik-dik) sono in declino. Questa è una scoperta allarmante, perché la conservazione tende a focalizzarsi su specie più grandi e carismatiche, come il bufalo. Tali animali si riproducono molto più lentamente e necessitano di aree più ampie per sopravvivere, fatto che le rende apparentemente più vulnerabili.

Non è ancora chiaro perché la monogamia pone le specie a rischio di estinzione. Secondo Brashares, un’ipotesi potrebbe essere che se tutti gli animali vivessero in coppia, nel momento in cui un animale viene ucciso, non ci sarebbero maschi “spaiati” per colmare il vuoto e le femmina rimarrebbe senza compagno e senza possibilità di riprodursi. Un’altra ragione potrebbe essere rappresentata dal fatto che i piccoli gruppi sono una preda più facile per i cacciatori. Nel caso dei Colobi (primati della famiglia Cercopithecidae), la situazione si aggrava maggiormente, in quanto se un maschio monogamo perde di vista la sua compagna, va subito alla sua ricerca, spesso con conseguenze fatali. “I cacciatori mi hanno riferito che se uccidono la femmina, possono catturare facilmente anche il maschio”, afferma l’ecologo.

Brashares ha analizzato i dati del censimento nel corso degli ultimi 30 anni, durante i quali gli animali del Ghana hanno subito pesantemente le conseguenze della caccia e della deforestazione. Egli ha messo in relazione la probabilità che una specie possa scomparire da una delle sei riserve del Ghana con fattori come l’estensione della riserva e per quanto riguarda le abitudini dell’animale, la sua dieta, le dimensioni e il comportamento. Il più importante fattore di rischio, e in passato quello meglio conosciuto, è risultato l’isolamento geografico dell’animale. Le popolazioni isolate, infatti, hanno meno probabilità di essere rafforzate da nuovi individui provenienti dalle aree vicine. Al secondo posto tra le variabili che influenzano maggiormente la loro sopravvivenza, vi è la vita sessuale delle specie.

È un dato affascinante e potrebbe essere reale”, afferma l’ecologo William Sutherland dell’Università dell’East Anglia di Norwich, Regno Unito. Egli ritiene che siano necessari ulteriori studi per confermare tale scoperta e capire se questi animali meritano realmente un’attenzione particolare nella conservazione. Secondo l’ecologo inglese, infatti, le femmine senza compagno sarebbero rare anche nelle specie monogame ed è improbabile che ci sia una carenza di maschi che minacci la loro sopravvivenza, ma se questo venisse smentito da successive ricerche bisognerebbe riconsiderare le azioni di conservazione.

Sutherland non ha dubbi sul fatto che i conservazionisti stanno iniziando a realizzare che la conoscenza del comportamento è fondamentale per capire la probabilità di estinzione. Anche altri tratti comportamentali, come per esempio se gli animali possono sopravvivere solo in grandi gruppi o come influisce il comportamento sociale sulla trasmissione di malattie, potrebbero avere in futuro importanti conseguenze per preservare le specie.

Paola Nucera