Esobiologia: la vita nell’universo potrebbe basarsi su elementi diversi dal carbonio

Tutti conosciamo, almeno per sentito dire, il carbonio; la vita sulla Terra è basata sull’elemento carbonio. In natura lo troviamo in due forme, come grafite (utilizzata per esempio nelle matite) e come diamante. E nonostante sia, tutto sommato, in piccola quantità nella crosta terrestre è stato utilizzato dalla natura per la sua stabilità, che offre la possibilità di formare catene di diversa lunghezza che, con altri elementi quali idrogeno, ossigeno, azoto formano la struttura degli organismi viventi. Avete mai bruciato l’arrosto nel forno? Ecco la parte nera è il carbonio!

Il satellite gioviano Europa ha oceani di acqua sotto una  crosta di ghiaccio. (Fonte Wikicommons)
Il satellite gioviano Europa ha oceani di acqua sotto una crosta di ghiaccio. (Fonte Wikicommons)

Ultimamente gli astronomi sono indotti a pensare che nell’universo possano essersi sviluppate forme di vita basate su una chimica diversa da quella del carbonio.

Vediamo quali potrebbero essere gli elementi candidati e di che tipo di vita si potrebbe parlare.

Partiamo col silicio: alcuni studiosi sostengono che la capacità del silicio (un componente della sabbia e del vetro) di formare catene di atomi, anche se non complesse come quelle del carbonio, potrebbe dare forma alla vita nello spazio utilizzando un solvente diverso da quello classico del nostro pianeta (nel nostro mondo l’acqua è il solvente principe che permette la maggiora parte dei processi biochimici; il citoplasma delle cellule è una soluzione acquosa) cioè l’ammoniaca. Questa ipotesi ci porterebbe a riconsiderare possibile la vita anche in quegli esopianeti che sono al di fuori delle cosiddette zone di abitabilità è cioè quelle orbite che offrono ai pianeti caratteristiche simili a quelle che hanno permesso alla terra di ospitare la vita. Il silicio peraltro è stato rintracciato spesso in meteoriti, sulla Luna e su Marte.

Ipotetici fossili rinvenuti su Marte poi scopertisi formazioni minerali (Fonte NASA).
Ipotetici fossili rinvenuti su Marte poi scopertisi formazioni minerali (Fonte NASA).

Ovviamente le forme di vita basate sul silicio apparirebbero necessariamente più rigide, vista la chimica dell’elemento, e potrebbero anche non apparire vive essendo probabilmente quasi immobili.

La tavola periodica del Mendeleev (Fonte: Wikicommons)
La tavola periodica del Mendeleev (Fonte: Wikicommons)

Azoto: gli studiosi hanno poi immaginato la vita in pianeti con atmosfere ammoniacali sotto forma di organismi (ma qui la definizione non può che essere impropria) basata sull’azoto e sul fosforo che utilizzano l’idrogeno al posto dell’ossigeno. Siamo soltanto al livello di congettura molto indefinita essendo peraltro l’azoto poco reattivo.

Altri elementi: Zolfo e cloro, molto reattivi, potrebbero formare molecole complesse in ambienti con pressioni e temperature non convenzionali, ma anche qui siamo solo a livello di ipotesi per via di meccanismi chimici ignoti e affatto prevedibili.

Elementi in plasma: alcuni esperimenti congiunti russo-tedeschi hanno dimostrato che studiando il plasma (cioè la ionizzazione di un gas) è possibile, almeno in via teorica, che particelle si organizzino in strutture elicoidali simili al DNA.

Gli esperimenti sono ancora in corso e si stanno studiando i brodi primordiali che hanno generato la vita per comprendere ancora meglio se la vita avrebbe potuto prendere strade diverse generando esseri diversi e come questo potrebbe essere accaduto altrove nell’universo.

Gli scienziati insomma hanno compreso che la vita extraterrestre potrebbe presentarsi in forme del tutto inattese e decisamente distanti dalla nostra.

Marco Ferrari
3 marzo 2014

Guida pratica all’ecologia, Matthey – Della Santa – Wannenmacher. Ed. Zanichelli

Guida pratica all’ecologia, Matthey – Della Santa
Guida pratica all’ecologia, Matthey – Della Santa – Wannenmacher. Ed. Zanichelli

Biocenosi, ecotono, ipolimnio, podzol, eterotrofia, ecco alcuni dei termini che potrete trovare ben esplicati in questo testo, datato ma ancora utilissimo, per muovere i primi passi in questa affascinante branca della scienza che è l’ecologia.

Un testo dal taglio altamente pratico “sul campo”, redatto da docenti svizzeri e finalizzato ad attività didattiche, che attraverso capitoli descrittivi degli habitat (ricchi di schemi e tavole) e metodologici per la ricerca attiva ed il campionamento degli esemplari, ci permette di raggiungere quella conoscenza minima indispensabile per comprendere le complesse relazioni ecologiche e per crearsi la mentalità adatta alla comprensione delle diverse pressanti tematiche in campo ambientale, quali ad esempio la tutela della biodiversità, a cui tutti siamo chiamati a rispondere in questo mondo dai cambiamenti repentini.

A seguire un estratto descrittivo degli habitat sottesi ai muri: «Tra i numerosi habitat che derivano dall’attività umana, il muro, nelle sue differenti forme, è ben presente sia nell’ambiente urbano che in quello rurale. Il suo studio non è un semplice esercizio di stile, ma permette di illustrare, attraverso la scelta di alcuni esempi, le differenti tappe della formazione di un suolo. Questo importantissimo fenomeno naturale avviene generalmente con questo ordine: la roccia nuda, stadio iniziale, è invasa e attaccata da una successione di specie vegetali che vi si installano progressivamente. Queste producono materia organica morta che si accumula sulla roccia nella misura in cui lo permette la sua pendenza. Questa materia organica è trasformata sotto l’azione combinata di Animali, Funghi e Batteri, e viene mescolata alla componente minerale dagli animali minatori come i Lombrichi e i Diplopodi. La formazione di tutti i suoli segue un processo di questo genere. Lo studio del muro permette di comprendere i primi stadi della colonizzazione della roccia nuda, che non potranno ulteriormente evolversi fintanto che il muro resterà in piedi, dato che la materia organica e le polveri minerali non possono accumularsi su di una superficie verticale.
Sulla base di questi concetti, si può affermare che un muro è simile a un blocco o a una parete di roccia, ed è per questo che esso appartiene agli ambienti sassicoli o lapidicoli. Inoltre, gli ambienti sassicolo e corticolo sono assai vicini tra di loro per le condizioni microclimatiche che vi regnano, per cui la flora e la fauna ritrovate sui muri e sui tronchi sono confrontabili.»

Marco Ferrari
17 febbraio 2014

Nuovo pericolo per le api italiane: rintracciati nidi di Vespa velutina

Le api italiane erano già sotto attacco a causa di un acaro parassita (Varroaspp) ma ora dovranno vedersela anche con una specie straniera invasiva, la Vespavelutina. I ricercatori la controllano da tempo perché questo insetto, introdotto in Francia dall’oriente, può avere un impatto fortemente negativo sulle api e di conseguenza sull’agricoltura. Il calabrone asiatico attacca le api da miele durante la bella stagione aspettandole all’atterraggio sul predellino dell’arnia e divorandole. A volte si osservano veri e propri assalti all’interno delle arnie.

Vespa asiatica proveniente dal sud-est asiatico. Nel 2004 è arrivata in Francia poi si è diffusa in Spagna, ora anche in Italia. (Fonte Wiki Commons)
Vespa asiatica proveniente dal sud-est asiatico. Nel 2004 è arrivata in Francia poi si è diffusa in Spagna, ora anche in Italia. (Fonte Wiki Commons)

L’imenottero è di dimensioni simili a quelle del calabrone nostrano ed è riconoscibile per il corpo scuro e la parte terminale delle zampe di colore giallo. Come tutti i vespidi è un insetto sociale e costruisce nidi con migliaia di individui. I nidi sono rintracciabili o al suolo o in rami alti sugli alberi. I primi avvistamenti si sono avuti in Piemonte ed Liguria, dove sono stati rintracciati anche i nidi (in Toscana e Lazio sono in corso controlli identificativi).

Nido, può ospitare sino a duemila vespe. (Fonte: Wiki Commons)
Nido, può ospitare sino a duemila vespe. (Fonte: Wiki Commons)

La pericolosità per l’uomo è simile a quella delle altre vespe, tenuto però conto che una specie che non viene contrastata sviluppa un notevole numero di individui, aumenta di conseguenza la probabilità di incontri con le persone. Un segnale di allarme da non sottovalutare è dato dal forte ronzio degli esemplari in volo nei pressi del nido. Nel caso di incontro accidentale con un nido è bene allontanarsi quanto prima evitando movimenti rapidi e proteggendo la cute scoperta. Ogni avvistamento dovrebbe essere riportato agli agricoltori della zona per le opportune contromisure.

L’Università di Torino ha messo a punto un leggerissimo transponder che fissato ad un calabrone catturato e successivamente liberato permetterà il rintraccio dei nidi e la loro distruzione con antiparassitari o con le fiamme.

Comunque la situazione delle api nel nostro paese diventa critica per una sequela di fattori a partire dalla varroasi, ai trattamenti antiparassitari che, anche se regolamentati, possono dare conseguenze, ed ora alla vespa asiatica che ha come fonte alimentare le api con una percentuale variabile dal 50 al 90% a seconda della stagione. Inutile rammentare il ruolo basilare delle api come impollinatrici in agricoltura ma anche come indicatori ambientali di ecosistemi in equilibrio; siamo ormai, anche in questo caso, all’esordio di una condizione di emergenza ecologica.

Marco Ferrari
16 febbraio 2014

Burle online: coltiviamo un sano spirito critico

Cucciolo di drago sotto formalina.
Cucciolo di drago sotto formalina.

Creature impossibili avvistate e fotografate, uomini falena che svolazzano nella notte, improbabili larve giganti, rettililiani dediti ai rapimenti, orde di insetti assassini, extraterrestri sezionatori, reperti archeologici inverosimili; sempre più spesso in rete vengono prepotentemente proposte stranezze e assurdità di ogni tipo accompagnate spesso da articoli ben fatti che finiscono per rimbalzare in siti di informazione attendibili.

Quando poi la burla è ben confezionata molti lettori, in buona fede, abboccano e questo significa sconfinare nella falsa scienza con tutti gli effetti negativi di un modo di pensare che ci riporta al medioevo, in cui i miti, le leggende e le peggiori superstizioni governavano le scelte.

Fortunatamente esiste un antidoto di cui tutti disponiamo: lo spirito critico.

Abituiamoci a mantenere un atteggiamento scettico di fronte a tali affermazioni e alimentiamo il dubbio sulla validità di ciò che ci propinano. Non stanchiamoci di farci domande e se possiamo informiamoci da fonti attendibili. Con l’abitudine impareremo a distinguere le notizie plausibili e ad attenerci a fatti certi. Non stanchiamoci mai di fare domande perché ci permettono di entrare nel dettaglio e di verificare se queste notizie superano una severa analisi. Sforziamoci di capire e ragionare sul reale per avere basi solide con le quali riconoscere e vagliare le notizie false, anche se ben presentate.

Non credete semplicemente ma operate una verifica indipendente dei fatti presentati. Rammentate che le scoperte incredibili esistono (e la vera scienza ce ne ha proposte ultimamente parecchie) ma abbiate sempre presente che fenomeni straordinari richiedono sempre prove straordinarie.

E il discorso potrebbe portarci anche più lontano perché, come scriveva Carl Sagan nel suo libro “Il mondo infestato dai demoni”: La pratica dello scetticismo è pericolosa per il potere costituito. Lo scetticismo minaccia le istituzioni. Se noi insegniamo a tutti, compresi per esempio gli studenti delle scuole superiori, abitudini di pensiero scettico, essi non limiteranno il loro scetticismo agli ufo, alla pubblicità degli analgesici, e a presunti personaggi vissuti 35000 anni fa che ci parlano attraverso medium. Essi potrebbero cominciare a porsi domande sulle istituzioni economiche, o sociali, o politiche, o religiose. 

Quindi occhi aperti, perché prima dell’antimateria nell’infinitamente piccolo, ci conviene scovare l’antiscienza nel nostro mondo di tutti i giorni.

Marco Ferrari
12 febbraio 2014

Insetti senza frontiere: la cimice marmorata causa di una nuova emergenza fitosanitaria

Questo insetto, di provenienza asiatica, era già stato segnalato in Svizzera, dai ricercatori dell’Istituto Federale di ricerca WSL (Eidg. Forschungsanstalt für Wald, Schnee und Landschaft) nel 2007; fu probabilmente introdotto attraverso individui celati in piante ornamentali. Si era allora ipotizzata una diffusione pandemica nell’areale centro-europeo, per via della mancanza di nemici naturali, e così è stato.

Halyomorpha halys cimice asiatica riconoscibile dai puntini arancioni sul pronoto (lo scudo posteriore al capo). Fonte Wiki Commons.
Halyomorpha halys, cimice asiatica riconoscibile dai puntini arancioni sul pronoto (lo scudo posteriore al capo). Fonte Wiki Commons.

La cimice, da poco rintracciata in Pianura Padana, è piuttosto dannosa per le piante da frutto, ornamentali e orticole. Si tratta di una specie moderatamente prolifica ma resistente e altamente polifaga.

Il problema ricalca quello delle coccinelle asiatiche di cui ho trattato in un precedente articolo, ma cosa si può fare in concreto?

Ci sono tre livelli di intervento in relazione allo stato della diffusione delle specie invasive.

Livello 1: le specie non sono ancora entrate in Italia ma se ne sospetta il rischio. In tal caso è opportuno attivare serrati controlli di frontiera sulle derrate alimentari, piante e le varie sostanze organiche che possono ospitare i diversi stadi degli insetti invasivi. Si rivela indispensabile una normativa europea, al momento allo studio, che permetta di uniformare i controlli e una rete attiva di scambio informazioni. Controlli fitosanitari anche sulle partite di legname e opportune tecniche di disinfestazione/fumigazione. Uso della quarantena per partite sospette. Il discorso deve essere allargato anche a virosi e batteriosi patogene, funghi e piante infestanti. Paesi come Australia, Canada e Nuova Zelanda hanno una normativa e una rete di controllo all’avanguardia e rappresentano un esempio da seguire.

Livello 2: le specie sono riuscite ad introdursi e iniziano ad ambientarsi. In questa situazione buona parte degli invasori non riesce ad acclimatarsi e perisce; ma comunque è necessaria una stretta sorveglianza sul campo e trattamenti mirati ai primi rintracci delle specie aliene. Evidentemente è molto più facile e meno costoso contrastare una colonizzazione agli inizi, prima dell’esplosione demografica e della diffusione radiale.

Livello 3: L’invasione non più contenibile sia per i costi proibitivi di intervento che per l’estensione degli areali interessati. Si possono tentare trattamenti contenitivi, per aree poco estese e per brevi periodi, ma che non potranno essere risolutivi essendo comunque alto il rischio di reinfestazione dagli areali vicini già contaminati. La possibilità di inserire nemici naturali limitanti, anche se è una strada che ha visto molti insuccessi, può rivelarsi un metodo più rispettoso della complessità degli ecosistemi. Occorre spesso rassegnarsi alla convivenza con la specie invasiva con tutti i problemi connessi.

Memori degli antichi che avvisavano “i greci non portano doni” è giunto il momento di attrezzarci, per quanto ci è ancora possibile, contro questi moderni cavalli di troia biologici anche perché la globalizzazione del trasporto merci non potrà che acuire il problema in futuro.

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Biosicurezza all’estero: raccoglitore per frutta che potrebbe contenere parassiti e zona sotto controllo.
Credit: Pat Heslop-Harrison

Marco Ferrari
7 febbraio 2014

Scoperto nuovo batterio estremofilo

L’incredibile adattabilità della vita anche agli ambienti più proibitivi.

Sappiamo dei batteri che sopravvivono nelle pozze d’acqua bollenti dei geyser, di quelli adattati ai ghiacci perenni, di quelli che sopravvivono a livelli salini proibitivi ma questo di cui voglio dirvi è davvero mirabile. Andiamo con ordine, sapete cos’è una camera bianca? E’ un ambiente supersterile e a pulviscolo zero dove vengono montati i satelliti e si svolgono le attività connesse alle missioni spaziali. Se è vero che portare organismi provenienti dallo spazio nella nostra atmosfera potrebbe riservare spiacevoli sorprese, è vero anche il contrario tanto che appunto è di vitale importanza evitare di esportare forme viventi con le missioni spaziali. Immaginate se i nostri esperimenti di esobiologia su Marte fossero inquinati da batteri terrestri clandestini. Per questo, in questi luoghi ritenuti sterili, non si pensava certo di rintracciare forme di vita.

Camera bianca alla Nasa. Credit: NASA
Camera bianca alla Nasa. Credit: NASA

I biologi della Nasa sono ora all’opera per cercare di capire come sopravvivano queste colonie, considerato che non vi è alcun substrato nutriente sul quale i batteri possano svilupparsi; si suppone che essi possano avere un metabolismo decisamente particolare tanto da poter essere catalogati come un nuovo genere (nella classificazione linneana il genere è il gradino superiore alla specie).

In attesa di ulteriori sviluppi non possiamo che restare incuriositi e ammirati dalla capacità delle forme di vita di adattarsi agli habitat più disparati.

Marco Ferrari
1 febbraio 2014

Il paradosso dell’ornitorinco, Ann Moyal. Ed. Mondadori

paradosso-ornitorincoZampe palmate dotate di unghie velenose, largo becco d’anatra, folta pelliccia da castoro, temperatura corporea più bassa del normale, coda piatta, carattere schivo. Questo animale ha rappresentato un vero grattacapo per gli zoologi tanto che il primo esemplare australiano giunto impagliato al British Museum venne preso per un falso.

Questo simpatico paradosso animale scatenò involontariamente su di sé una ridda di ipotesi da parte dei tassonomisti, ai quali peraltro, complicò la vita oltre misura. Pare di sentirli ancora discutere: può essere un mammifero che depone uova? Ma ci sono le mammelle! Perché ha aculei con veleno così potente nelle zampe posteriori? Ma ha pochissimi nemici! Sparge il latte in acqua per nutrire i piccoli, non può allattare nuotando! Non può essere un mammifero, deve essere un rettile oviparo! Cova le uova coprendole col becco e la coda? E’ un rettile! E’ un uccello! E’ un mammifero!

La disputa andò avanti per un secolo e fu una dura guerra di convinzioni.

Questo interessante libro ne racconta tutti i risvolti dandoci una buona lezione di umiltà perché per dirla con Huxley: “Se la scienza vuole conservare la sua forza deve mantenere il contatto col sicuro terreno dell’osservazione”.

Marco Ferrari
31 gennaio 2014