Dengue la febbre emorragica in rapida diffusione

L’inverno molto mite che ci siamo lasciati alle spalle e le temperature in rialzo di questi giorni (anche di sei / sette gradi oltre le medie stagionali) favoriranno non poco lo sviluppo delle zanzare. Assieme a questi ditteri si ipotizza anche un incremento delle malattie virali connesse alle punture quali la Dengue.

Si tratta di una malattia infettiva causata da un virus, ne esistono diciamo così quattro “varianti” (DengueVirus1, 2, 3, e 4), l’infezione di una variante comporta l’immunità per quella sottospecie (grazie alla relativa risposta immunologica) ma non per le altre tre e la possibilità di ammalarsi anche di una variante diversa aumenta i rischi di complicazione.

Il virus utilizza la zanzara Aedes aegypti, che è possibile riconoscere dalle bande bianche sulle zampe e dalle linee sul torace. L’insetto è originario dell’Africa, ma da tempo è giunto anche in Italia.

Zanzara Aedes aegypti (Wikipedia)
Zanzara Aedes aegypti (Wikipedia)

La Dengue (dall’arabo “stanchezza”) esordisce con febbre, mal di testa, mialgie oltre ad eruzioni cutanee simili al morbillo, a volte si presentano anche emorragie talvolta con esisti anche mortali.

Non disponendo di vaccini antivirali la terapia è limitata all’idratazione del corpo, con lo scopo di contrastare gli effetti della perdita di liquidi.

Ciclo vitale (Credit Biogents)
Ciclo vitale (Credit Biogents)

 Come si può notare nel ciclo vitale sopra riportato, l’unica profilassi è quella di ridurre, per quanto possibile, le raccolte d’acqua in cui si sviluppano le larve; basti pensare che è sufficiente anche la poca acqua di un sottovaso quale quella dei vostri fiori in terrazza. Consigliabili inoltre i repellenti a base di piretroidi e le tende antizanzara. I luoghi dove non si può limitare la presenza di acqua (piscine, canali, ecc.) possono essere trattati con il Bacillus thuringiensis israelensis; si tratta di un batterio larvicida che produce delle tossine letali per le larve delle zanzare risparmiando gli altri organismi e naturalmente anche l’uomo.

 

Alcuni studi di diffusione entomologica ipotizzano che le zanzare (ad esempio quella tigre Aedes albopictus), grazie alle variate condizioni climatiche del continente europeo, giungeranno a breve anche nel nord europeo arrivando fino in Inghilterra (Interface – Journal of the RoyalSociety).

Diffusione della Dengue, dati 2008 – (Fonte WHO)
Diffusione della Dengue, dati 2008 – (Fonte WHO)

Aedes aegypti e le malattie trasmesse da questo insetto sono un tipico esempio degli effetti del riscaldamento globale associato agli scambi sempre più numerosi di merci e persone.

Sul fronte della lotta a questa malattia, al momento, sono in corso studi che prevedono l’allevamento di maschi della zanzara geneticamente modificati, da lanciare poi massivamente sul campo, in modo da generare uova fecondate destinate ad abortire o a dare luogo a tare genetiche (individui atteri ovvero senza ali), limitando così drasticamente le popolazioni di zanzare. Studi sul campo in Brasile, il paese con la più alta diffusione della Dengue, hanno dato buoni risultati.

Marco Ferrari
11 aprile 2014

Verso la pillola per imparare più velocemente

Gli scienziati stanno mettendo a punto farmaci per migliorare le capacità del cervello.

pillole

Il principio attivo si chiama donepezil e viene in genere utilizzato per trattare il morbo di Alzheimer. Il farmaco è un inibitore della colinesterasi e agisce aumentando la quantità di acetilcolina a livello delle terminazioni nervose. Il farmaco si è dimostrato in grado di migliorare la memoria in pazienti con disturbi delle funzioni intellettive.

Alcune sperimentazioni hanno dimostrato che il donepezil permette al cervello di apprendere nuove abilità più velocemente e con minore sforzo, similmente a come da bambini si apprendono meglio le lingue rispetto all’età adulta.

Esito di risonanza magnetica al cervello. La neocorteccia, sede delle funzioni cognitive, è la parte più esterna. (Fonte: Wikicommons)
Esito di risonanza magnetica al cervello. La neocorteccia, sede delle funzioni cognitive, è la parte più esterna. (Fonte: Wikicommons)

Takao Hensch, un professore di biologia cellulare di Harvard, ha scoperto che i farmaci comportamentali come donepezil possono aiutare il cervello dei bambini nei cosiddetti “periodi critici” dello sviluppo  (i periodi durante la prima infanzia, quando il cervello è in rapida crescita). 

La struttura del cervello rispecchia l’evoluzione: tronco encefalico per le funzioni vegetative, nuclei della base per la motricità, sistema limbico per le emozioni, e corteccia. (Fonte Pharmastar)
La struttura del cervello rispecchia l’evoluzione: tronco encefalico per le funzioni vegetative, nuclei della base per la motricità, sistema limbico per le emozioni, e corteccia. (Fonte Pharmastar)

Hensch e i suoi colleghi hanno anche scoperto che il valproato, un farmaco antiepilettico, può aiutare gli adulti con scarse competenze in musica a meglio distinguere le note musicali. Lo studio è controverso sia per via del campione ridotto dei soggetti studiati, che potrebbe essere non significativo, sia per il fatto che alcuni soggetti potessero avere una qualche predisposizione verso la musica essendo di fatto agevolati; nondimeno un certo miglioramento pare essere stato comunque apprezzato.

Altri studi su bambini affetti da ambliopia (un’alterazione della visione dello spazio che viene a manifestarsi inizialmente durante i primi anni di vita) hanno dimostrato l’efficacia del donepezil nel miglioramento nella percezione degli stimoli visivi.

La ricerca di Hensch è uno degli esempi più interessanti di come la nostra comprensione della plasticità cerebrale stia migliorando. Fino a circa venti anni fa, gli scienziati pensavano che dopo aver raggiunto la pubertà la struttura del nostro cervello fosse ormai poco plasmabile; ma studi più recenti hanno dimostrato che il nostro cervello continua ad essere flessibile per tutta la vita, anche se non nella misura dei primi anni di vita.

“Il cervello non perde la sua plasticità con l’invecchiamento”, ha spiegato Hensch, “diciamo che in determinati momenti e condizioni rallenta la sua adattabilità”; in modo particolare nel caso di stress ambientale e sociale, e tali effetti possono essere anche profondamente deleteri.

Questa categoria di farmaci funzionano agendo su molecole, quali serotonina e acetilcolina, che con l’avanzare dell’età possono subire variazioni. La supplementazione, in sostanza, permette al cervello di “ricablarsi” meglio elaborando più efficacemente gli stimoli.

Una critica mossa a questi studi è il timore che spingendo chimicamente sulle capacità intellettive si possano causare dei “sovraccarichi cerebrali” dovuti ai farmaci; il rischio temuto è che migliorando le prestazioni intellettive si possa, d’altra parte, rendere più percettive le persone ai fattori di stress per via, appunto, dell’aumentata sensibilità. E l’ipersensibilità potrebbe comportare disagi mentali.

Forse allora aveva ragione Schopenhauer quando sosteneva che genio e follia hanno qualcosa in comune.

La NASA invita i cittadini a collaborare sul monitoraggio dei cambiamenti climatici

Il cambiamento climatico è ormai una realtà con la quale convivere tanto che la NASA ha approntato, grazie a joint venture con NOAA, Google, agenzie governative e molti altri partner anche privati un sito ricco di dati, aggiornamenti e notizie utili per fornire informazioni sulle situazioni in tempo reale, le tendenze e anche per la gestione delle emergenze. Il sito, ancora in fase di prova, e fortemente voluto dal Presidente Obama si occuperà in prima battuta dell’effetto climatico sul livello del mare, che coinvolge direttamente anche le coste americane.

Successivamente il sito si dedicherà all’analisi dell’aumento delle temperature globali, alla circolazione oceanica con relativi effetti costieri, venti, nubi e aerosol dispersi, influenza dell’anidride carbonica atmosferica, allerta meteo per cicloni, tsunami e in genere le emergenze che coinvolgano pesantemente le popolazioni, come ad esempio l’uragano Sandy.

L’uragano Sandy visto dallo spazio (Wikicommons)
L’uragano Sandy visto dallo spazio (Wikicommons)

Attraverso l’analisi dei fenomeni, dei grafici, delle serie storiche e delle proiezioni di sviluppo climatico, oltre che all’aiuto diretto dei cittadini che potranno fornire utili informazioni sotto forma di raccolta di dati, si potranno aiutare moltissime persone a comprendere le dinamiche climatiche ed i rischi che si possono correre.

Il percorso dell’uragano Sandy (Wikipedia)
Il percorso dell’uragano Sandy (Wikipedia)

Sarà così possibile approntare le opportune difese per la tutela delle popolazioni e sul lungo periodo costruire infrastrutture adatte alle situazioni di rischio.

Il nostro pianeta è in continuo cambiamento, è bene essere vigili.

https://www.data.gov/climate/

Marco Ferrari
26 marzo 2014

Capire come montagne e fiumi rendono possibile la vita

Gli scienziati della Stanford University hanno ideato un paio di equazioni matematiche che meglio descrivono come la topografia e la composizione geologica di un paesaggio influenzano il processo mediante il quale l’anidride carbonica viene trasferita agli oceani o immagazzinata all’interno della Terra.

Gli studiosi hanno per molto tempo sospettato che il cosiddetto ciclo del carbonio fosse il fautore di un clima favorevole alle condizioni di sviluppo della vita, perché aiuta a regolare le concentrazioni atmosferiche di CO2, un gas serra che agisce intrappolando in atmosfera il calore del sole. Questo ciclo pare abbia anche giocato un ruolo importante nel lento scongelamento del pianeta nelle fasi di post glaciazione, ove i ghiacci erano arrivati a ricoprire l’equatore trasformando il pianeta in una palla di ghiaccio.

Kate Maher della Stanford University regge due tipi di terreno diversi. Il terreno a sinistra è giovane, scuro, e composto da minerali chimicamente più reattivi. Il campione a destra è vecchio e composto da minerali meno reattivi, quali le argille. Credit: Matthew Rothe
Kate Maher della Stanford University regge due tipi di terreno diversi. Il terreno a sinistra è giovane, scuro, e composto da minerali chimicamente più reattivi. Il campione a destra è vecchio e composto da minerali meno reattivi, quali le argille. Credit: Matthew Rothe

Le condizioni per lo sviluppo della vita sulla Terra sono state favorite, in parte, dal trasferimento dell’anidride carbonica dall’atmosfera del pianeta al suo interno roccioso e viceversa. Ora gli scienziati di Stanford hanno messo a punto un paio di equazioni matematiche che meglio descrivono come la topografia, la composizione litologica e il movimento dell’acqua attraverso il paesaggio influisce su questo processo di riciclo vitale.

“Le nostre equazioni suggeriscono che i diversi paesaggi abbiano la capacità di regolare il trasferimento di anidride carbonica”, ha detto Kate Maher, assistente di Scienze Geologiche e Ambientali, che ha sviluppato le equazioni insieme con la collega Page Chamberlain. La ricerca, che è stata sostenuta dalla National Research Foundation, è apparsa sulla rivista Science.

Il ciclo del carbonio inizia quando i vulcani rilasciano anidride carbonica nell’atmosfera. La CO 2 poi si mescola con l’acqua piovana e cade sulla Terra come acido carbonico. Sulla terra, l’acido carbonico erode chimicamente i silicati esposti sulla superficie terrestre e causa il rilascio di elementi come calcio e magnesio, che vengono poi dilavati nell’oceano. Nel corso di milioni di anni, questi elementi si trasformano in rocce, come il calcare. Quando la dinamica della tettonica a zolle spinge poi il fondo marino giù nel mantello terrestre, il carbonio viene rilasciato di nuovo come CO 2, che viene scaricato nell’atmosfera attraverso le eruzioni vulcaniche, completando così il ciclo.

Le equazioni sviluppate da Maher e Chamberlain analizzano quindi l’alterazione geologica generata dal ciclo del carbonio. La quantità di effetti che si verifica dipende da diversi fattori: uno è la composizione del terreno. Suoli più vecchi, che sono già stati alterati si sciolgono più lentamente rispetto ai terreni fatti di roccia recente. “I suoli esposti al clima nel corso del tempo, diventano sempre meno chimicamente reattivi”, afferma Maher. “L’erosione da parte di agenti fisici, che spesso si verifica nelle regioni montane, riempie il terreno di minerali reattivi.”

Un’altra considerazione è relativa al tempo che impiega l’acqua a transitare attraverso il suolo, una variabile che gli scienziati chiamano “tempo di percolazione”. Più tempo passa più l’acqua piovana che scorre attraverso i terreni accentua il fenomeno del dilavamento. Il tempo di percorrenza del fluido è a sua volta influenzato dalla topografia del paesaggio; l’acqua tende a scorrere più lentamente attraverso una superficie piana rispetto ad un declivio in discesa.

Ciclo classico del carbonio (Fonte Wikipedia)
Ciclo classico del carbonio (Fonte Wikipedia)

Nel mondo reale, questi diversi fattori interagiscono in modo complesso. Essi potrebbero lavorare insieme per accelerare il processo di invecchiamento, o potrebbero opporsi a vicenda per rallentare il processo stesso. Ad esempio, considerando le precipitazioni che cadono su una montagna, a causa della gravità, l’acqua può fluire più rapidamente attraverso la montagna, riducendo così il tempo di percorrenza del fluido. Tuttavia, i suoli in zone montuose tendono ad essere più giovani e quindi più ricchi di elementi come calcio e magnesio, e di conseguenza sono più reattivi e facilmente alterabili. La combinazione tra il flusso dell’acqua e la reattività dei suoli modula il fenomeno erosivo. Maher e Chamberlain sostengono che questi limiti sono importanti per il mantenimento di livelli di CO 2 in un range accettabile per mantenere le temperature adatte per la vita.

Le equazioni potrebbero migliorare la comprensione degli scienziati del ciclo del carbonio integrando lo studio delle interazioni tra i fattori geologici e idrologici che influenzano la litosfera. Prima di tutto, gli scienziati tendono a studiare l’influenza della topografia e dell’idrologia separatamente. “Il nostro lavoro fornisce un quadro quantitativo che lega insieme molte osservazioni qualitative degli ambienti atmosferici moderni, ma anche fornisce nuove ipotesi su come questi processi possano lavorare insieme”, ha detto Maher.

Attualmente Maher e Chamberlain stanno utilizzando i dati relativi alle caratteristiche dei fiumi di tutto il mondo per adattare e migliorare le loro equazioni.

Marco Ferrari 
19 marzo 2014

Megalodonte: il più grande squalo mai esistito

Riproduzione del Megalodonte presso il Museo di Calvert, USA (Fonte: Calvert Marine Museum)
Riproduzione del Megalodonte presso il Museo di Calvert, USA (Fonte: Calvert Marine Museum)

Un documentario Discovery Channel dal titolo Megalodon: the shark monster that lives  ha ipotizzato che vi siano ancora, nelle profondità oceaniche, esemplari vivi di Megalodonte, un gigantesco squalo preistorico lungo pare oltre 15 metri e dal peso stimato in circa 40 tonnellate, estintosi 2,6 milioni di anni fa. Nel documentario si lasciava credere che, in qualche modo, vi fossero prove dell’esistenza odierna della creatura e pareva vi fosse anche del credito all’ipotesi da parte della comunità scientifica.

Biologi marini ed esperti hanno però smentito l’esistenza di prove certe della sopravvivenza dello squalo ai giorni nostri, anche nelle acque di profondità dove le fonti di cibo sono minori. Inoltre non si sono mai verificati avvistamenti di squali di tali dimensioni in caccia (da non confondersi con avvistamenti di grandi cetacei o squali elefante) e non ultimo il fabbisogno stimato di un Megalodonte pare fosse di svariate tonnellate di cibo al giorno, il che impedisce di non lasciare tracce.

I titoli di coda del documentario, a ben guardare, indicavano comunque che si trattava di docu-fiction (documentaristica fantastica) ma uno spettatore disattento poteva essere ingannato.

Questo ci conferma come debbano essere valutate con spirito critico tutte le fonti.

Stima delle dimensioni del Megalodonte comparate a squalo balena e bianco (Fonte Wikipedia)
Stima delle dimensioni del Megalodonte comparate a squalo balena e bianco (Fonte Wikipedia)

Le uniche prove certe che abbiamo sono i denti fossili (oltre alle vertebre) che, similmente agli squali odierni, venivano cambiati a rotazione svariate volte durante la vita (una bocca di squalo poteva contenerne oltre 300). L’apertura mascellare era superiore ai due metri con una pressione del morso di oltre 10 tonnellate sufficiente per frantumare qualsiasi scheletro. Pare certo, inoltre, che lo squalo fosse anche in grado di attaccare le balene dell’epoca. La diffusione del Megalodonte era notevole in quanto sono stati ritrovati denti fossili in molti mari diversi a conferma del suo successo evolutivo.

Dente fossile di Megalodonte. Il termine significa “dente gigante” (Fonte Wikipedia)
Dente fossile di Megalodonte. Il termine significa “dente gigante” (Fonte Wikipedia)

I denti fossili ricordano per forma quella degli squali bianchi, infatti il nome scientifico del grande squalo è Carcharodon megalodon (in sinonimia con Carcharocles megalodon), il che lo imparenterebbe col moderno squalo bianco Carcharodon carcharias,  ma alcuni paleontologi credono che le somiglianze siano dovute al processo di evoluzione convergente per cui linee di evoluzione diverse, che vivono nello stesso ambiente, possono nel tempo maturare similitudini.

Ricostruzione di mascella di Megalodonte
Ricostruzione di mascella di Megalodonte

Le ipotesi di estinzione più accreditate riguardano il raffreddamento dei mari a seguito di una glaciazione con conseguente riduzione del numero di prede, anche se ultimamente si sta valutando la possibilità che l’estinzione sia stata causata dall’avvento di predatori più efficienti e competitivi.

Marco Ferrari

Bibliografia

Pimiento, C., & Clements, C. F. (2014). When did Carcharocles megalodon become extinct? A new analysis of the fossil record. PLoS One, 9(10), e111086.

17 marzo 2014

Resistenza agli antibiotici: nuovo approccio per il trattamento delle infezioni del tratto urinario

Batteri. Fonte CDC
Batteri. Fonte CDC

Un potenziale nuovo approccio per il trattamento delle infezioni delle vie urinarie, che colpiscono milioni di persone ogni anno, è stato pubblicato sull’ACS ‘Journal of Medicinal Chemistry. Si tratta dei cosiddetti antagonisti FimH, che sono composti non antibiotici ed eviterebbero il crescente problema dei batteri resistenti agli antibiotici.

Beat Ernst e colleghi spiegano che gli antibiotici sono il trattamento cardine per infezioni del tratto urinario. I batteri, però, stanno sviluppando resistenza agli antibiotici comuni, con l’emergere di “superbatteri” che sopravvivono a parte dei nuovi più potenti antibiotici. Così, gli scienziati hanno deciso di provare un nuovo approccio: lo sviluppo di sostanze che colpiscono i fattori di aggressività dei batteri, inibendo la loro capacità di attaccarsi alla parte interna della vescica urinaria.

Quindi, i microbi non sono in grado di lanciare infezioni e inoltre questa nuova classe di antimicrobici, si pensa, induca una minore pressione selettiva e, pertanto, riduca il fenomeno della resistenza. Gli scienziati descrivono lo sviluppo di molecole anti-adesione che interferiscono con la capacità di adesione dei batteri alle cellule della vescica umana. 

La più potente delle sostanze, un mannoside, (una combinazione tra mannosio e sostanze organiche non glicidiche) ha impedito lo sviluppo dell’infezione nei topi per circa otto ore. Nello studio di trattamento in vivo, una dose molto bassa di 25 mg per topo ha ridotto la quantità di batteri nella vescica degli animali di quasi 10.000 volte, che è paragonabile al trattamento antibiotico standard con ciprofloxacina.

Marco Ferrari
10 marzo 2014

Linneo in soffitta: nuovi metodi di classificazione genomica dei viventi

Nelle scienze della vita è d’uso, ormai da trecento anni, utilizzare il sistema di classificazione proposto dal naturalista svedese Linneo.

Il principio utilizzato, per dare un ordine alle diverse forme di vita, fu quello di riunire le specie utilizzando le caratteristiche morfologiche; ma utilizzare le sole somiglianze ha comportato continue revisioni della classificazione stessa oltre che accese dispute accademiche. La confusione era spesso il compagno di viaggio del biologo che tentava di classificare nuove forme di vita.

nomenclatura
Fonte: IPRASE

Se pensate che esistono circa un milione di specie note di insetti, definire genere e specie di un esemplare relativamente raro, anche dopo anni di studio e manuale a chiave dicotomica alla mano, resta sempre un’impresa (spesso ci si accontenta della famiglia…).

Lepidotteri. Fonte Wikipedia
Lepidotteri. Fonte Wikipedia

Ma oggi con le nuove tecniche di mappatura genetica si possono determinare con precisione le discendenze filogenetiche e gli studiosi del Virginia Tech Institute hanno proposto un nuovo sistema di nomenclatura dei viventi utilizzando appunto il genoma degli esseri viventi. Questa idea è stata da poco pubblicata su PLoS ONE (si tratta di una rivista internazionale che fa capo ad una no-profit org. di scienziati).

L’albero della vita.
L’albero della vita.

Lavoro da fare ne resta parecchio anche perché non si dispone di una mappatura genetica di tutti i viventi ma la strada appare interessante. Questo procedimento viene di fatto già utilizzato come uno dei metodi di classificazione per i virus (che sarebbe difficile trattare come gli organismi viventi).

Una definizione genomica permette di identificare un battere, un fungo, un animale o pianta a livelli di precisione notevolissima permettendo un confronto immediato con gli organismi già mappati e portandone ad una collocazione certa, oltre che offrire una visione profonda del profilo evolutivo. La modalità di denominazione proposta inizia con il campionamento ed il sequenziamento del DNA dell’organismo; la sequenza viene poi associata ad un codice univoco che permette di inserire l’essere tra i suoi simili in maniera precisa. Si tratta davvero di un microscopio genomico che riserverà molte sorprese ai tassonomisti.

Sequenza di DNA. Fonte Wikipedia
Sequenza di DNA. Fonte Wikipedia

Occorre precisare comunque che il sistema linneano è talmente radicato nel mondo scientifico che il nuovo metodo di classificazione a sequenza genomica non potrà che affiancarsi a quello convenzionale, permettendo di illuminare gli ancora tanti punti oscuri che accompagnano lo studio dell’evoluzione.

Marco Ferrari
7 marzo 2014