Clima: due “bambini” irrequieti fanno il bello e il cattivo tempo nell’Oceano Pacifico

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Oceano Pacifico: El nino e La nina.

La NASA comunica che dai satelliti meteorologici Jason-1 e Jason-2  è stato osservato che il fenomeno della “Nina” ha raggiunto il suo picco d’ intensità l’8 gennaio scorso. L’immagine, tratta da Sciencedaily e riportata nella figura di alla sinistra, è riprodotta sulla media dei dati registrati negli ultimi dieci giorni antecedenti tale data. In giallo e in rosso sono evidenziate le aree dove la superficie del mare è più alta del normale e si hanno acque calde, mentre il blu ed il viola indicano le aree dove la superficie marina è più bassa del normale e si hanno acque fredde.

Il verde indica le condizioni vicine alla normalità.

Nell’Oceano Pacifico è stato così accertato un raffreddamento delle acque i cui effetti già si avvertono e che influenzeranno nella prossima primavera il clima dei Paesi affacciati sulle due coste.

Ma esaminiamo in dettaglio la dinamica del fenomeno.

Per avere una più ampia visuale, dobbiamo rifarci ai movimenti delle masse d’aria sul Pacifico che caratterizzano la cosiddetta “Circolazione di Walker”.

Normalmente, lungo la fascia equatoriale, l’Oceano Pacifico è più caldo nella parte occidentale (coste del Sud-Ovest asiatico). Dalle coste indonesiane l’aria calda e umida si innalza nell’atmosfera fino a raggiungere anche i 12 Km. di altezza. Durante la salita cede calore, si raffredda e ritorna verso Oriente, ridiscendendo sulle coste americane fredda e asciutta. A contatto della superficie marina, si riscalda di nuovo e rifluisce verso occidente, chiudendo così il ciclo.

Questo andamento ciclico fu scoperto nel 1969 e venne chiamato “Circolazione di Walker” in onore del fisico inglese che ne studiò un aspetto particolare, l’ENSO (El-Nino-Southern-Oscillation), comunemente conosciuto come “El Nino”, una variazione che esporremo più avanti.

Lo spostamento di masse d’aria appena descritto trova corrispondenza nelle acque oceaniche: di norma, sulla  parte occidentale del Pacifico confluisce una massa d’acqua proveniente dalla parte orientale, quella su cui insiste l’alta pressione creata dall’aria fredda discendente. Il livello del mare ad Occidente risulta quindi essere più alto di 60-70 cm rispetto alle coste americane.

Per quanto riguarda il clima, questo è caratterizzato da umidità e tempeste ad Ovest, con uragani e tifoni sulle coste indonesiane, mentre è secco e asciutto ad Est, con notevole siccità sulle coste americane (California, Perù, Cile).

Allorché si ha una variazione di temperatura del mare superiore a 0,5°C, questa situazione può invertirsi o accentuarsi: ecco allora iniziare l’ENSO, il fenomeno di cui si parlava sopra: nel caso di riscaldamento delle acque si ha la fase El Nino; nel caso di raffreddamento, la fase La Nina.

Se la temperatura del mare aumenta, si verifica il blocco della circolazione di Walker: le acque calde e l’aria umida viaggiano verso Est, portando precipitazioni intense e uragani sulle coste americane.

Se la temperatura del mare diminuisce, si ha un’accentuazione della circolazione di Walker.

Le correnti d’aria e di acqua fredda vanno verso Occidente, le precipitazioni si riversano con violenza su Indonesia e Australia e il livello marino sulle coste orientali si innalza fino ad un metro di altezza.

Il fenomeno dell’ENSO ha un andamento ciclico, in media ogni 5 anni, ma una periodicità incerta (dai 2 ai 6 anni), quindi una scarsa prevedibilità. Prende il nome “El Nino” (il bambino, in spagnolo) in riferimento al Bambino Gesù, perché solitamente il fenomeno inizia nel periodo natalizio. Analogamente, la fase inversa è stata chiamata La Nina (la bambina).

Le cause scatenanti non sono ancora chiare e sono tuttora in fase di studio, anche se, come si è visto, perché il fenomeno si verifichi risulta determinante la temperatura dell’Oceano.

Il climatologo Bill Patzert del Jet Propulsion Laboratory, California Institute of Technology, ha così commentato le osservazioni dei satelliti Jason:

“Le condizioni sono mature per un inverno piovoso e tempestoso nel Pacifico nord-occidentale e un inverno secco, relativamente senza piogge nella California meridionale, nel Sud Ovest e nella fascia meridionale degli USA. Dopo più di un decennio di anni asciutti sullo spartiacque del fiume Colorado e in America Sud-occidentale e solo due anni di piogge normali dei trascorsi sei anni nella California sud-occidentale, la carenza d’acqua è in agguato. Questa Nina potrebbe acuire ancor più la siccità del Sud-ovest già riarso e potrebbe anche peggiorare le condizioni che hanno alimentato i recenti incendi”.

Ovviamente queste oscillazioni termiche non hanno effetti soltanto sul clima ma coinvolgono anche gli esseri viventi. I ritmi di risalita di pesci dalle acque profonde vengono alterati e di questo risentono le popolazioni costiere che hanno la pesca e l’industria ittica in genere come loro attività economica fondamentale.

Inoltre, è di qualche giorno fa la notizia pubblicata sulla rivista on-line Pnas che due studiosi, Jeffrey Shaman della Columbia University e Marc Lipsitch dell’Harvard School of Public Health, hanno messo in relazione l’insorgenza di pandemie con gli episodi della fase La Nina. Sono stati studiati gli effetti che i cambiamenti delle correnti marine e dei venti hanno sulle rotte migratorie degli uccelli, spesso portatori di nuovi ceppi influenzali, ed è stato osservato che lo sviluppo delle quattro epidemie di influenza più recenti  (1918, 1957, 1968 e 2009) sono state precedute da episodi di  bruschi raffreddamenti del Pacifico in concomitanza con la fase La Nina.

Leonardo Debbia

Cambiamenti climatici: la Terra si sta riscaldando? Sì. No. Forse.

Leggendo gli articoli scientifici pubblicati finora sull’argomento, si resta sconcertati.

La Comunità Scientifica, infatti, non è mai apparsa tanto divisa: da una parte si schierano i “catastrofisti”, dall’altra gli “scettici”. Eppure si conoscono sia gli effetti del fenomeno (temperatura dell’atmosfera in crescita, ghiaccio artico in diminuzione costante negli ultimi 30 anni), sia l’insieme dei fattori. Ma sul fattore-principe del riscaldamento, quello determinante, e in quale direzione possa evolvere il fenomeno vi è il disaccordo più completo.

Per i “catastrofisti” la causa predominante è il fattore antropico, cui si deve l’elevata emissione di CO2 e degli altri gas-serra nell’atmosfera, i  principali responsabili dell’aumento della temperatura, con la prospettiva di una Terra a temperatura più elevata e priva di calotte glaciali.

“Balle!” – si contesta dalla parte avversa – “Periodi ben più caldi ce ne sono stati anche in un recente passato (periodo caldo medievale), sebbene l’attività antropica fosse notevolmente limitata rispetto all’attuale, sia per la qualità che per la quantità di gas emessi.
“Già i primi sapiens hanno innescato il processo del global warming” si ribatte, di contro, radicalizzando la questione.
“Ma il rapporto CO2/ temperatura non è ancora dimostrato!”.
E via con le argomentazioni a pro dell’una o dell’altra ipotesi.

Ma allora – ci chiediamo noi – se sono in disputa scienziati autorevoli, studiosi di chiara fama, dove sta la verità? Ci avviamo verso una glaciazione, come ci si aspetterebbe seguendo i criteri astronomici chiamati in causa da taluni (cicli di Milankovitch, inclinazione dell’asse terrestre, precessione degli equinozi) o il ghiaccio polare si scongelerà davvero esclusivamente per colpa nostra entro il 2100 o addirittura, stando ai più pessimisti, entro il 2020?

  Per studiare le modificazioni del clima è stata istituita la IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) che ha stimato in circa 0,74 °C l’aumento della temperatura superficiale della Terra durante gli ultimi 100 anni. Ma è proprio all’interno di questo organismo che discutono e si affrontano duramente i sostenitori delle due diverse posizioni. Tra i “catastrofisti”, in prima linea J.T.Hansen, della NASA. Tra gli “scettici”, altri nomi illustri: il premio Nobel Kary Mullis e il fisico dell’atmosfera Fred Singer.

  Ma prendiamo in esame due fenomeni, oggetto di osservazioni e relative dispute: la diminuzione del ghiaccio artico e la percentuale di CO2 nell’atmosfera.

Per quanto riguarda il ghiaccio artico, secondo la NASA siamo oggi ai minimi storici: una diminuzione del 12% per decennio dal 1979 in avanti, con un’estensione minima di 4,33 milioni di Km quadrati raggiunta lo scorso 9 settembre. In una pubblicazione su Nature del novembre scorso il geografo canadese C. Kinnard afferma che la diminuzione del ghiaccio marino artico, rilevata da satelliti e studiata dal suo team, non ha precedenti negli ultimi 1450 anni. Kinnard è convinto assertore della causa antropica quale fattore principale, però non esclude affatto altre concause, quali l’effetto-serra e i raggi cosmici che avrebbero effetto sulle correnti marine. Secondo Kinnard, le conoscenze attuali non permettono di prevedere se il riscaldamento della Terra costituisca una tendenza anomala o sia da considerarsi nell’ambito di una variabilità naturale.

Riguardo i gas-serra, il rapporto fra CO2 e temperatura non è a tutt’oggi accertato, come detto sopra. Uno studio del matematico italiano Roberto Vacca, ad esempio, rileva che la  temperatura degli ultimi 30 anni si è innalzata sì, ma non velocemente né proporzionalmente all’aumento di CO2, che è stato solo di 2,2 ppm (vedi grafico qui allegato).

Addirittura, afferma Vacca, tra il 1940 e il 1976, mentre la CO2 aumentava costantemente, la temperatura atmosferica diminuiva; e analogamente veniva riscontrato un andamento indipendente delle due variabili nel periodo 1961-2003 nell’area del Mauna Loa.

Secondo alcuni l’aumento di CO2 nell’aria sarebbe responsabile di un aumento di 4-5° della temperatura atmosferica nei prossimi 50 anni che provocherebbe lo scioglimento di masse enormi di ghiaccio al Polo Nord e in Antartide (J.T. Hansen e D.A.Lashhof.), mentre secondo altri la CO2 inciderebbe solo per il 15% del totale delle emissioni di gas e vapori che stanno alla base dell’effetto-serra.

Recentemente è stata rivalutata poi l’influenza dei raggi cosmici, attribuendo loro una importanza determinante per l’irraggiamento solare, la circolazione delle correnti marine e la consistenza dei ghiacci (Kinnard).

Concludendo, non sappiamo se ci debba aspettare in futuro una Terra più calda e priva di ghiacci polari.  In questa questione, si deve anche tenere conto degli interessi che stanno dietro alle varie correnti di pensiero, interessi che dovrebbero essere estranei alla speculazione scientifica ma che purtroppo sono in gioco, anche se non si può disconoscere che vi siano indubbiamente studiosi schierati in buona fede e seriamente convinti delle proprie posizioni.

Ci si conceda un’ultima considerazione, che sembrerebbe ovvia ma che spesso ovvia non è. Non si dovrebbe sposare aprioristicamente una tesi e cercare argomentazioni per validarla. Nella ricerca è vero il contrario: cercare varie strade, tralasciando quelle impraticabili e operare sempre con prudenza. Visioni unilaterali possono portare a conclusioni non valide. In un sistema complesso, multifattoriale quale è il clima, il dubbio è necessario. Si deve giocoforza tener conto di tutti i fattori e della loro influenza, non tralasciandone alcuno; o non ci sarà certezza. E a proposito di certezze, parlando di clima, quanto vicini al vero possono essere i modelli matematici? Ci pare quanto mai opportuna la conclusione di Roberto Vacca:
“I modelli matematici devono essere usati con prudenza. Prima di essere validati non danno certezza alcuna e nella climatologia a lungo termine non abbiamo validazioni.”

Leonardo Debbia