Gravidanza: il feto impara a distinguere le lingue già nell’utero

fetoIl titolo dell’articolo riassume perfettamente quanto scoperto da una ricerca condotta negli Stati Uniti e in Europa e pubblicata sulla rivista Acta pediatrica.

Lo studio, che ha coinvolto 40 neonati nati da appena circa 30 ore, si tenuto a Tacoma (USA) e a Stoccolma (Svezia) e ha dimostrato come la capacità di distinguere le lingue straniere dalla lingua madre possa essere acquisita dal feto quando è ancora nell’utero. I bambini appena nati, o venuti alla luce nel giro di poche ore, riescono infatti a distinguere i suoni dei vari idiomi proprio perché in grado di assorbire i diversi linguaggi durante la gravidanza.

Come spiega Patricia Kuhl, la co-autrice dello studio: “Questo è il primo studio che dimostra che il feto impara in epoca prenatale i suoni dei discorsi nella lingua materna, prima dunque di quanto si pensasse”. Questo perché i meccanismi cerebrali e sensitivi dell’udito si sviluppano intorno alla 30esima settimana di gestazione, e nelle ultime 10 settimane di gravidanza il feto ascolta perfettamente i discorsi della madre.

Proprio su questo dato si sono basati gli esperimenti condotti in entrambi i Paesi: quando i bambini erano ancora nel reparto di maternità, sono stati fatti sentire loro alcuni suoni nella loro lingua madre e altri in lingue straniere. L’interesse verso i suoni è stato poi messo a confronto con il tempo impiegato a succhiare un ciuccio collegato ad un computer per rilevare appunto le varie reazioni.

Dai risultati è emerso che i neonati rispondevano agli stimoli con un tempo di suzione del ciuccio più o meno lungo, in base alla familiarità o meno dei suoni. Quando ascoltavano una lingua straniera, succhiavano più a lungo.

Krizia Ribotta
3 gennaio 2013

Foglie di asparagi per depurare il fegato dall’alcol

asparagiUn recente studio condotto dall’Università di Jeju, nella Corea del Sud, e pubblicato sul Journal of Food Science ha dimostrato come gli asparagi aiutino a difendere le cellule del nostro fegato dagli eccessi di alcol che buttiamo giù nel nostro corpo.

Vale la pena analizzare l’argomento proprio in questi giorni di festa, con l’ultimo dell’anno ormai alle porte e con una voglia matta di divertirsi, anche per mettere in pratica il detto: “Chi non si diverte a Capodanno, non si diverte tutto l’anno”. Divertimento che con il passare degli anni si è sempre più trasformato in un consumo smisurato di bevande alcoliche.

Sebbene il consiglio sia quello di non bere troppo, per chi non vuol comunque rinunciare al piacere di una prolungata bevuta con amici o in famiglia, vengono in soccorso gli asparagi. Le loro foglie, infatti, contengono una precisa combinazione di amminoacidi e minerali che, in seguito ad un’analisi attenta degli scienziati, hanno dimostrato la capacità di agire sulle cellule epatiche con effetti benefici.

Attraverso precisi studi di laboratorio, l’equipe ha messo sotto lente di ingrandimento questi elementi presenti sia nei germogli che nelle foglie e li hanno comparati, osservando gli effetti biochimici che si verificano sulle cellule del fegato umane e dei topi.

Mangiare le foglie di asparago prima di bere aiuta non solo a ridurre lo stress ossidativo che l’alcol provoca sul fegato, ma anche a ridurre i postumi della sbornia il mattino successivo, in quanto hanno un effetto antimicotico, antinfiammatorio e diuretico.

B.Y. Kim, il ricercatore che ha coordinato lo studio, ha infatti spiegato: “Le sostanze tossiche presenti nelle cellule sono state significativamente ridotte in risposta a un trattamento con estratti di foglie e germogli di asparagi”.

Krizia Ribotta
29 dicembre 2012

Farmaco ad ampio spettro: la soluzione per curare più forme di tumore

farmacoDa anni si cerca di trovare una cura ad ampio spettro contro il cancro, ma l’impresa sembrava davvero ardua. Il progetto è stato accantonato fino ad ora, quando, per la prima volta, tre aziende farmaceutiche hanno deciso di lavorare insieme per produrre un nuovo tipo di farmaco in grado di agire contro alcuni tipi di tumori.

Questo prodotto agisce sull’aberrazione che coinvolge uno dei geni fondamentali nella crescita del cancro, e potrebbe essere visto come la soluzione per una vasta gamma di tumori, tra cui quello al seno, alla prostata, al fegato e ai polmoni.

L’arma di difesa, ovvero il nuovo farmaco ad ampio spettro, ha il compito preciso di rianimare la proteina p53 nelle cellule tumorali, le quali, per sopravvivere, ne disabilitano la funzione. Se la scoperta degli oncologi dovesse essere ottimale, con l’inibizione della p53 si causerebbe la morte delle cellule tumorali, il cui ciclo di vita si concluderebbe come quello di una cellula normale.

Le tre aziende farmaceutiche coinvolte, la Merck, la Roche e la Sanofi, sembrano far gara per sviluppare ognuna la propria versione del farmaco, con la speranza che, una volta assunto, questo possa effettivamente riuscire nella missione per cui è stato realizzato. Così facendo, potrebbe rivelarsi il trattamento giusto per combattere il 50% di tutti i tumori esistenti e quelle nuove rare forme finora trascurate, per via della mancanza di cure. Infatti, come hanno sottolineato i ricercatori coinvolti e le autorità di regolamentazione federali, nessuna casa farmaceutica ha mai condotto nessuno studio clinico di un farmaco in grado di funzionare per così tanti tipi diversi di cancro.

“Questo è solo un assaggio del futuro delle cure contro il cancro, mi aspetto che l’organo da cui il cancro si è sviluppato sarà meno importante in futuro rispetto al bersaglio molecolare, che diventerà quindi il target più importante”, ha orgogliosamente spiegato il dottor Otis Brawley Webb,  primo ufficiale medico e scientifico dell’American Cancer Society.

Krizia Ribotta
26 dicembre 2012

Sindrome premestruale: la causa è da ricercare nella melatonina

sindrome-premestrualeLa cosiddetta sindrome premestruale, che in alcuni casi si manifesta nella sua forma più grave, meglio conosciuta come Disturbo Disforico Premestruale (PMDD, che colpisce circa il 3-8% delle donne), è un disturbo dell’umore che solitamente compare circa una settimana prima dell’arrivo del ciclo mestruale.

Tra i vari sintomi tipici di questo disturbo ci sono ansia, nervosismo, malumore e depressione. Spesso le donne hanno anche difficoltà a prendere sonno, soffrendo di insonnia e, di conseguenza, risultano poi affaticate e stanche.

Da anni si cerca di risalire al perché avviene questo cambiamento in alcuni casi davvero “drastico”, ma le ragioni, purtroppo, non sono ancora del tutto chiare. Per questo, i ricercatori canadesi del Douglas Mental Health University Institute, sotto la guida della dottoressa Diane B. Boivin, hanno condotto uno studio molto interessante che aveva come obiettivo quello di trovare, appunto, le cause di questo fenomeno.

La ricerca ha coinvolto sia le donne affette da PMDD che quelle sane: tutte sono state sottoposte a due visite mediche nell’arco di 24 ore, una durante la fase pre-ovulatoria (ovvero quella follicolare) e l’altra durante la fase post-ovulatoria (luteale) del ciclo.

Il risultato ha evidenziato che, alla base di questa sindrome, vi è un’alterazione nella secrezione della melatonina, l’ormone il cui compito è quello di regolare i ritmi biologici dell’organismo. I campioni di sangue raccolti durante i due monitoraggi, infatti, hanno chiaramente mostrato come i ritmi della melatonina variassero nell’arco di una giornata, e di come i valori registrati nella prima visita fossero diversi da quelli della seconda.

Com’è facilmente deducibile, sono state riscontrate delle differenze significative tra i due gruppi di donne: quelle affette da Disturbo Disforico Premestruale, rispetto a quelle sane, hanno visto ridursi drasticamente i livelli di secrezione di melatonina durante le ore notturne e durante la fase luteale sintomatica.

“È evidente che la comprensione dei meccanismi e la fisiopatologia specifica del PMDD può aiutare a migliorare i trattamenti (tra cui i due approcci farmacologici e non farmacologici) per questa malattia”, ha spiegato, concludendo il comunicato stampa il dottor Ari Shechter, coautore dello studio.

Krizia Ribotta
23 dicembre 2012

Lucrare sui tumori altrui: una vera e propria “mania”

leucemia-mieloideLa disperazione dei pazienti affetti da tumori non conosce limiti: dalle medicine alle cure più strambe, dai santoni, alle grazie. Tutto pur di guarire. Ma, come purtroppo si sa, non si può tornare sani dall’oggi al domani, e le cure non piovono dal cielo.

Nonostante questo, sono sempre di più coloro che, volendosi giocare il tutto per tutto, si buttano letteralmente nelle mani di qualche santone  che si improvvisa tale solo per il semplice scopo di spillare soldi a qualcuno a cui la morte sta tentanto di strappare la vita. Sembra paradossale, ma è così.

In Italia, a lanciare l’allarme, è stato il ginecologo Salvo Di Grazia, che ha aperto un sito internet, “Medbunker, le scomode verità”, in cui smonta le svariate cure alternative che gli utenti gli sottopongono per un parere. Si va dalle tisane al miscuglio di non-si-sa-cosa, dal bicarbonato al veleno dello scorpione. Di Grazia scrive: “Si calcola – anche se è molto difficile fare stime precise – che circa mille italiani si sono avvicinati a questi rimedi, prescritti da finti o ex medici che fanno del denaro il loro unico credo. Insensibili alla condizione di disperazione che vivono i malati di tumore”.

Il problema è che, oltre ad essere completamente inutili e molto costose, queste terapie alternative possono essere anche dannose. Come spiega il ginecologo: “In Italia non è mai stata fatta una stima anche perché chi fa ricorso a questo tipo di medicine quasi sempre lo nasconde, anche per vergogna. Parliamo comunque di un mercato milionario. Esistono due stime fatte all’estero: una in Australia dove si calcola un giro d’affari di 2,3 miliardi di dollari australiani l’anno e un’altra in Usa che stima un mercato legato a queste terapie vicino ai 34 miliardi di dollari l’anno. Il boom è proporzionalmente legato alla diffusione di Internet. Sul web esistono siti dove vengono pubblicizzati questi rimedi anticancro miracolosi e forum dove centinaia di persone ne esaltano l’efficacia”.

Krizia Ribotta
20 dicembre 2012

Figlio in provetta, ma quanto ci costi?

fecondazioneLa fecondazione assistita in Italia ha raggiunto cifre da capogiro: chi desidera un figlio in questo modo può arrivare anche a pagare più di 15.000 euro. 15.600, per l’esattezza, nella regione Lombardia, somma che corrisponde più del doppio di quella che viene chiesta, ad esempio, in Emilia Romagna. Qui ci si aggira intorno ai 6.900 euro, la metà di quella che sembra essere la media nazionale, pari a 12.300 euro.

Ovviamente la commissione d’inchiesta ha immediatamente fatto un’indagine per capire il margine di errore e i disavanzi sanitari, in quanto stanno girando troppi soldi, se si considera che il rimborso medio nazionale delle varie ASL ammonta a meno di 2.000 euro, 1.934.

Secondo le statistiche effettuate 6 anni fa, nel 2006, la procreazione assistita in Italia coinvolgeva oltre 20 mila coppie l’anno e alimentava un mercato di 400 milioni di euro, che al giorno d’oggi è vertiginosamente incrementato. Tra analisi, farmaci, visite e trattamenti, vengono spillati sempre più soldi a quelle coppie che non desiderano altro che un figlio. C’è chi è disposto o ha la possibilità di permettersi quelle cifre, e chi invece preferisce orientarsi verso l’estero, visti i costi decisamente più contenuti. É proprio il caso di dire: “Paese che vai, tariffe che trovi”, visto il dislivello che c’è anche solo a livello europeo.

Krizia Ribotta
16 dicembre 2012

Scoperti i microRNA in grado di riparare un cuore malato

Secondo quanto emerso dallo studio coordinato da Mauro Giacca, direttore dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) di Trieste, sembra che i microRNA, ovvero alcune piccole molecole di RNA dotate di funzione regolatoria, siano in grado riattivare le cellule del cuore, stimolando quindi la riparazione cardiaca.

La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica “Nature”, offre risvolti molto importanti nell’ambito farmacologico, in particolare nel campo delle patologie cardiovascolari, considerate la principale causa di mortalità al mondo. Come spiegano infatti gli autori, tra cui Ana Eulalio, Miguel Mano, Lorena Zentilin e Serena Zacchigna, ricercatori dell’ICGEB e Matteo Dal Ferro e Gianfranco Sinagra, del Centro Cardiovascolare dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Trieste: “Alcuni di questi microRNA sono proprio quelli che sono normalmente attivi durante lo sviluppo embrionale, ovvero quando il cuore si forma, ma la loro funzionalità si ‘spegne’ immediatamente dopo la nascita”. Questo perché i mammiferi, purtroppo, durante l’evoluzione della specie, hanno perso tale abilità, che è stata invece conservata sia dalle salamandre che dai pesci.

Gli studiosi, tramite uno screening robotizzato, hanno analizzato la funzione di tutti i microRNA codificati dal genoma umano, scoprendo che sono ben 40 quelli in grado di stimolare la  proliferazione delle cellule adulte del cuore. Somministrati quindi ad un cuore che ha subíto un infarto, i microRNA in questione sono in grado di rimettere in moto la replicazione dei cardiomiociti e, di conseguenza, riescono a stimolare la riparazione del danno contribuendo alla formazione di nuove cellule cardiache, senza il bisogno di quelle staminali.

Per questo motivo, tali microRNA potrebbero venire sviluppati per studiare e produrre dei farmaci in grado di riparare le parti danneggiate del cuore dei pazienti reduci da infarto o con scompenso cardiaco.

Krizia Ribotta
6 dicembre 2012