FANS: possono favorire rischio di ictus ed infarto

farmaciSecondo un importante studio effettuato dai ricercatori inglesi del  MRC Clinical Trial Service Unit & Epidemiological Studies Unit (CTSU), presso l’Università di Oxford, è emerso che l’uso prolungato di alcuni antidolorifici appartenenti alla famiglia dei FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei, ovvero quelli dall’effetto anti-infiammatorio, analgesico ed antipiretico) può aumentare di un terzo il rischio di ictus, infarto e morte per eventi cardiovascolari.

Come dimostrato dall’equipe guidata  dal professor Colin Baigent, in collaborazione con il collega Carlo Patrono, docente di farmacologia all’Università Cattolica di Roma, alcuni di questi medicinali sono, ad esempio, il  diclofenac (usato principalmente per curare artrosi e artrite) e l’ibuprofene (usato per il trattamento dei reumatismi), in quanto inibiscono l’azione dell’enzima  COX-2.

Per giungere a queste conclusioni, l’equipe ha studiato 639 trial clinici, coinvolgendo ben 300.000 persone. Analizzando i dati dei pazienti a cui sono stati somministrati alte dosi di FANS per un periodo di tempo prolungato, è emerso che il rischio di emorragia  gastrointestinale è superiore di circa 2-4 volte, e che le complicanze vascolari aumentano rispetto a quei pazienti che non fanno uso di quei farmaci.

Come ha sottolineato Baigent: “Questi rischi riguardano le persone con artrosi o artrite che hanno bisogno di alte dosi di FANS e di una terapia prolungata. È verosimile che un breve trattamento con dosi più basse degli stessi farmaci sia relativamente sicuro”.

La ricerca, finanziata dal Medical Research Council e dalla British Heart Foundation, è stata pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet, suggerisce di informare adeguatamente il paziente circa i potenziali rischi legati a questi farmaci, consigliandogli poi quello giusto, specie nei casi in cui la terapia dev’essere di lunga durata.

Krizia Ribotta
31 maggio 2013

 

Bere acqua fa bene all’umore

acquaSecondo uno studio americano condotto dai ricercatori del University of Connecticut’s Human Performance Laboratory a Storrs, in Connecticut, una disidratazione anche lieve può influenzare in modo negativo l’organismo umano, andando ad influenzare l’umore.

Gli scienziati hanno esaminato un gruppo di 50 persone, 25 uomini e 25 donne, di età media di 23 anni, che, ogni 28 giorni, si sono sottoposti a diversi test ed esperimenti mirati all’analisi del loro livello di disidratazione. La lieve disidratazione, che corrisponde alla perdita del 5,1% del volume di liquido nell’organismo, è stata indotta da esercizi sul tapis roulant e, in alcuni casi, da pillole diuretiche, in modo da vedere cosa succedeva al variare dell’attività fisica.

L’equipe ha poi anche misurato il livello di concentrazione, di apprendimento, di ragionamento, di memoria e di umore dei volontari, monitorandoli sia a riposo, quindi in condizioni di idratazione che dopo mezz’ora o un’ora di esercizio fisico, quindi in condizione di carenza di liquidi nel corpo.

E’ stato scientificamente provato come la disidratazione possa influenzare in modo negativo non solo l’energia che le persone sono in grado di trasmettere, ma anche il loro umore. Diverse le reazioni nell’uomo e nella donna: gli uomini, infatti, hanno registrato forti sbalzi d’umore e difficoltà a livello di memoria, mentre le donne sono state soggette a stanchezza, mal di testa e difficoltà di concentrazione.

Come si legge sulla rivista scientifica The Journal of Nutrition, è fondamentale non aspettare lo stimolo della sete, in quanto quello è il primo sintomo di disidratazione, specie ora che inizia la bella stagione e che l’estate è ormai alle porte. Il consiglio di  Lawrence E. Armstrong, il ricercatore che ha guidato lo studio, nonché professore di Fisiologia Ambientale presso l’università, è di bere almeno 8 bicchieri d’acqua al giorno: due da quando ci si sveglia fino a metà mattina, due da metà mattina a pranzo, due dopo pranzo, nel pomeriggio e due dal tardo pomeriggio a cena.

Krizia Ribotta
27 maggio 2013

Oral Cancer Day 2013: un mese di visite gratuite dai dentisti aderenti

oral-cancer-dayIl tumore del cavo orale è una forma di cancro che colpisce le cellule che rivestono la bocca e che si sviluppa sulla lingua e sul pavimento della bocca stessa. Sebbene in Italia rappresenti solo il 7% dei tumori nell’uomo e l’1% di quelli nella donna, il tasso di mortalità ogni anno è sempre più alto, in quanto la diagnosi, in quasi tutti i casi, è tardiva.

Nel 75% dei casi il tumore del cavo orale è legato ad un abuso di alcol o fumo, o peggio ancora entrambi: la loro combinazione, infatti, aumenta di 15 volte il rischio di sviluppare la malattia. Altri fattori che possono favorire questa patologia sono una cattiva igiene orale e i microtraumi continui, che possono essere causati da protesi dentarie non adatte al paziente o non inserite in modo corretto, e denti scheggiati.

Inoltre sono da prendere in considerazione anche le infezioni causate dal Papilloma Virus e un’eccessiva esposizione ai raggi solari, specie in estate, in quanto possono far comparire i carcinomi alle labbra.

Per far sì che si possa prevenire in tempo il tumore del cavo orale, ecco che l’Associazione Nazionale Dentisti Italiani (ANDI) ha indetto un evento molto importante, l’Oral cancer Day 2013, che consiste nell’offrire a tutti i pazienti una visita gratuita da uno dei dentisti aderenti all’iniziativa per controllare gengive, lingua e tessuti molli della bocca.

Per un mese intero, a partire da lunedì prossimo, 20 maggio, e fino al 20 giugno, sarà possibile prenotare un appuntamento chiamando il numero verde 800-911202 o collegandosi al sito www.oralcancerday.it. Qui sarà possibile inserire la città in cui si risiede per trovare l’esperto più vicino a  casa.

Un controllo che non deve essere preso sottogamba, in quanto, come spiega  Costanza Gregorini, presidente provinciale della sede bresciana dell’ANDI: “Un’adeguata prevenzione e soprattutto una diagnosi precoce, possono fare un’enorme differenza: quando il carcinoma è rilevato e curato nella sua fase iniziale, si ottiene infatti una guarigione completa”.

Krizia Ribotta
19 maggio 2013

Aspirina come antidepressivo

aspirinaLa depressione è una patologia molto grave che spesso viene sottovalutata, in quanto i sintomi non sono così chiari ed evidenti e, proprio per questo, a volte possono essere confusi con semplice stress, nervosismo e mal di testa.

Gli sbalzi di umore, che vanno da una bassa autostima alla perdita di interesse nelle attività che di solito piacciono al soggetto, colpiscono indifferentemente sia gli uomini che le donne, e normalmente si manifesta nell’arco degli anni compresi tra i 20 e i 30, con un piccolo picco fino ai 40.

Uno studio condotto dai ricercatori australiani dell’Università di Melbourne ha dimostrato come la classica aspirina sia efficace anche come antidepressivo.

Secondo i risultati ottenuti dalle sperimentazioni cliniche guidate da Brian Dean, docente di psichiatria presso l’Università stessa, i più comuni farmaci anti-infiammatori come l’aspirina, il celecoxib, l’infliximab e gli omega 3, gli acidi grassi contenuti nell’olio di pesce, sono efficaci contro le malattie mentali, tra cui la depressione, il disturbo bipolare e la schizofrenia, le cui cause sono da ricercare in alcuni processi infiammatori nel sangue e nel cervello.

Questo perché, come affermato da Dean durante una conferenza nazionale a Melbourne sulla salute mentale, è evidente che “ci sia uno stato infiammatorio acuto nei disturbi mentali, e la buona notizia è che non è necessario sviluppare nuove medicine: possiamo destinare medicine esistenti, come l’aspirina, a nuovi obiettivi Chi avrebbe mai pensato, infatti, che uno dei più promettenti nuovi farmaci in psichiatria sarebbe stata l’aspirina? “.

Come ha illustrato il medico, infatti, molti dei disturbi mentali si sviluppano per via di alcune  lesioni nei tessuti cerebrali, che sono spesso “associate a livelli anormali di proteine legate a infiammazione, oltre che a cellule individuate nel sangue e nel cervello di pazienti”. 

Krizia Ribotta
16 maggio 2013

Infarto: quando gli omega 3 non bastano

omega-3Secondo una ricerca italiana condotta da un gruppo di studiosi dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e pubblicata sulla rivista medica New England Journal of Medicine, non tutti i cardiopatici possono fare affidamento sugli integratori a base di omega 3.

Nel caso in cui il rischio cardiovascolare è alto, infatti, sembra che l’assunzione giornaliera di un grammo degli acidi grassi polinsaturi non riduca il rischio di morte.

Lo studio, dal titolo “Rischio e Prevenzione”, ha coinvolto 12 mila pazienti, di cui il 39% donne, con età media di 64 anni , che sono stati seguiti dai medici per 5 anni. Scopo della ricerca era verificare l’influenza della somministrazione degli omega 3, e i risultati sono stati inequivocabili, come si legge sulla rivista: “Un trattamento farmacologico con omega 3 non comporta vantaggi specifici in termini di riduzione di mortalità e ospedalizzazione per motivi cardiovascolari, se se aggiunta ad una buona assistenza medica così come è disponibile nella pratica degli 860 medici di medicina generale in tutta Italia che hanno partecipato allo studio”.

La dottoressa Carla Roncaglioni, dell’Istituto Mario Negri, ha poi spiegato: “Con i suoi risultati e i suoi protagonisti lo studio può e deve essere considerato un paradigma provocatorio in questi tempi di crisi: per produrre conoscenze innovative e rilevanti, per ridurre i carichi assistenziali e aumentare l’efficienza economica non sono necessari solo tagli, ma anche progettualità capace di fare della medicina pubblica, anche quella tanto a rischio di ‘impiegatizzazione’ della medicina generale, la partner ideale di istituzioni indipendenti nel comune laboratorio di ricerca del Servizio sanitario nazionale”.

Krizia Ribotta
13 maggio 2013

Epilessia: domenica la Giornata Nazionale

giornata-epilessiaDomenica 5 maggio, verrà celebrata la 12esima Giornata Nazionale per l’Epilessia, promossa e organizzata da LICE (Lega Italiana contro l’Epilessia), supportata da numerose altre associazioni simili e indetta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il tema, quest’anno, è quello di far luce sull’epilessia, e per questo i professionisti delle U.O.C. di Neurologia-Neurofisiologia Clinica e Pediatria dell’ospedale Le Scotte di Siena saranno a disposizione per dare tutte le informazioni riguardo la patologia, sulla quale è necessario far chiarezza, visto anche l’importante progresso scientifico mirato proprio a controllare le crisi epilettiche.

Come hanno infatti spiegato Raffaele Rocchi e Giampaolo Vatti, neurologi presso il Centro Epilessia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese: “Il progresso delle tecniche diagnostiche, un uso adeguato dei farmaci e, in casi selezionati, il trattamento chirurgico permettono il controllo delle crisi nell’80% dei casi”.

Una crisi epilettica si manifesta improvvisamente, in quanto è causata da un’eccessiva nonché rapida scarica di alcuni neuroni che si trovano nella sostanza grigia dell’encefalo. I sintomi dell’epilessia, tra loro molto diversi, variano dalle convulsioni ai semplici fenomeni sensoriali che, a volte, non sono riconoscibili dalle altre persone.

La malattia, solo in Italia, colpisce circa mezzo milione di uomini, e ricercatori, scienziati e medici hanno lavorato duramente per arrivare all’ultima invenzione, che consiste in un dispositivo in grado di prevedere gli attacchi.

Secondo quanto studiato dall’equipe australiana di Melbourne, sotto la guida di Marc Cook, lo strumento in questione dovrebbe essere inserito tra il cervello e il cranio, per poter monitorare l’attività cerebrale.

Se dovesse venire brevettato, il dispositivo potrebbe aiutare tutti quei pazienti affetti da epilessia a tenere e che, per la prima volta, avrebbero una sorta di “campanello di allarme” che li avverte di quanto sta per accadere.

Krizia Ribotta
3 maggio 2013

Giornata Nazionale per la lotta alla trombosi

giornata-nazionale-lotta-trombosiSi è svolta il 17 aprile la Giornata Nazionale per la lotta alla trombosi, promossa dall’Associazione per la Lotta alla Trombosi (ALT) con il patrocinio del Ministero della Salute, della Regione Lombardia, del Comune di Milano, del CONI, della LEGA CALCIO SERIE A, dell’Associazione Italiana Arbitri (AIA), della Federazione Centri per la Diagnosi della Trombosi e la Sorveglianza delle Terapie Antitrombotiche (FCSA) e della  Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi (SISET).

La malattia, di tipo cardiovascolare, consiste nella formazione di coaguli nel sangue (propriamente chiamati “trombi”) che sono altamente dannosi per l’organismo, in quanto causano un’ostruzione parziale o temporale di una vena o di un’arteria. Le conseguenze, quindi, sull’organismo, possono essere molto gravi, ed è per questo che è importante non sottovalutare la trombosi, vista in particolare l’incidenza superiore a quella dei tumori.

In occasione della ricorrenza odierna, giunta alla sua seconda edizione, gli esperti lanciano degli appelli ben precisi, che devono essere visti non solo come consigli, ma anche come regole da attuare affinché si possa godere una vita salutare e senza complicazioni.

Come per la maggior parte, se non tutte le patologie cardiovascolari, in primo luogo, è fondamentale smettere di fumare e di bere: sigarette e alcol, infatti, possono diventare un cocktail assai potente e dannoso, in particolare se viene assunto  in un momento in cui si conduce uno stile di vita sbagliato.

Inoltre, è necessario seguire un’alimentazione corretta, e un costante movimento, al fine di togliere quella cattiva abitudine legata all’essere sedentari, pigri e senza alcuna propensione verso un’attività fisica.

É stato dimostrato, infatti, come lo sport diminuisca i fattori a rischio, e proprio per questo, molti volti conosciuti della TV e del calcio, hanno deciso di promuovere l’iniziativa. Tra gli altri, i giocatori della Roma e quelli dell’Inter, che stasera, in occasione della semifinale di ritorno di Coppa Italia, scenderanno in campo con una maglietta che richiama l’evento.

Krizia Ribotta
20 aprile 2013