Videogiochi: ottimi effetti sulla memoria

videogameSe finora si è sempre pensato che trascorrere troppe ore davanti ad un videogioco fosse dannoso per la salute, grazie ad una ricerca statunitense condotta a San Francisco, è stato dimostrato come questo strumento sia in grado di sviluppare effetti benefici sul cervello.

Un gruppo di ricercatori californiani hanno voluto sperimentare come, al di là degli aspetti negativi legati ad i videogames, tra cui danni alla vista, dipendenza e sviluppo di una maggiore aggressività, queste tecnologie possono migliorare sia la memoria che le capacità multitasking, nonché tenere la mente viva ed in continuo allenamento.

Il segreto, come riportato dalla rivista scientifica Nature su cui è stato pubblicato lo studio, consiste nel creare giochi la cui funzione è quella di ostacolare il declino cognitivo di chi è avanti con l’età. A questo proposito, lo stesso team ha ideato un videogioco apposito, il NeuroRacer, che vede l’utente impegnato nella guida di un’auto che deve percorrere una strada ripida in salita e piena di curve. Ma non solo: dovendo eseguire più comandi allo stesso tempo, ogni volta che compare un determinato cartello stradale, è necessario cliccare un pulsante.

Per l’esperimento sono stati coinvolti alcuni volontari di età compresa tra i 60 e gli 85 anni, sia uomini che donne, che per circa un mese, 3 volte alla settimana, si sono sottoposti ad un’ora di sessione.

I dati raccolti hanno permesso all’equipe di registrare un significativo miglioramento non solo dell’attenzione, ma anche della memoria e della capacità di svolgere più azioni contemporaneamente. Risultati, questi, che sono rimasti stabili nell’arco dei 6 mesi successivi al test.

Un’interessante scoperta che, come ha sottolineato Adam Gazzaley, coordinatore dello studio, mostra come il cervello degli anziani sia decisamente più duttile di quanto si pensi. “Stimolandolo, è possibile guidarne la plasticità e migliorarne le sue funzioni” ha spiegato l’esperto, avanzando l’ipotesi che si possa arrivare ad utilizzare alcuni videogames per contrastare alcune patologie di natura neurologica e psichiatrica.

Krizia Ribotta
10 settembre 2013

L’anticorpo jolly che combatte 4 virus

MPE8Coordinata dal ricercatore italiano Antonio Lanzavecchia, l’equipe della società Humabs BioMed, una spin-off dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina (Irb) di Bellinzona, in Svizzera, ha messo a punto l’MPE8, un anticorpo particolare in grado di sconfiggere ben 4 virus. Proprio per questo, come si legge sulla rivista on-line Nature, su cui è stato pubblicato lo studio, è stato immediatamente rinominato “jolly”, in quanto sarebbe in grado di aggredire 4 virus che danno origine alle malattie respiratorie comuni, grazie alla sua capacità di legarsi alla loro struttura comune.

Si tratta del primo anticorpo che riesce a neutralizzare il virus respiratorio sinciziale (Rsv) e il metapneumovirus (Mpv), che causano nell’uomo gravi infezioni delle basse vie respiratorie, e il virus sinciziale dei bovini (Bsv) e quello della polmonite dei topi (Pvm), che come suggerisce il nome, aggrediscono gli animali.

“Abbiamo lavorato su virus che possono provocare infezioni più volte: se hanno colpito una volta, possono tornare a colpire” ha spiegato Lanzavecchia, sottolineando come questo anticorpo potrebbe essere visto come il primo passo verso un vaccino. “Siamo già al lavoro in questa direzione, ma la strada che abbiamo davanti è molto difficile. Tra un anno, ha aggiunto, potrebbero essere disponibili i primi dati sugli esperimenti, ma per trasferire queste conoscenze all’uomo sarà necessario molto tempo” ha affermato l’esperto.

La ricerca, finanziata dal Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scientifica e dal Consiglio Europeo della Ricerca, vanta della collaborazione dei ricercatori del Policlinico San Matteo di Pavia e dell’università svizzera di Losanna.

Krizia Ribotta
24 agosto 2013

Olfatto canino: nuovo protagonista nella diagnosi del tumore alle ovaie

labradorIl rapporto uomo-cane è spesso caratterizzato da forti legami e rapporti indissolubili e la sua utilità all’interno della società non intende più limitarsi alla semplice funzione di animale da compagnia ma, come nuovi studi mettono giorno su giorno in rilievo, la sua efficacia e le sue qualità possono facilmente diventare strumento di grande aiuto per l’uomo, nella sicurezza, nella vita di tutti i giorni ed anche nella diagnosi. Maestro e pioniere di questa particolare branca della medicina è stato l’ospedale di Milano (vedi articolo) nel cui staff operativo fanno parte due labrador specializzati nella diagnosi precoce di tumori e compromessi – grazie al solo fiuto – nei processi di analisi “olfattive”. Un’altra coppia, sempre di labrador, a più di 10.000km dalla terra nostrana sembra invece essersi specializzata nella diagnosi del tumore alle ovaie.

La storia di Ohin e Frank, due labrador di 50 kg, ha presto fatto il giro del web, perché questi due animali vantano di un olfatto imbattibile in grado di fiutare la presenza di un cancro ovarico. Impossibile ma vero, dato che secondo gli esperimenti finora condotti, i cani hanno individuato i tessuti con cellule di tumore delle ovaie nel 100% dei casi. In base ad alcuni effettuati preso il  Penn Vet Working Dog Center della Pennsylvania, nell’ambito di un progetto di ricerca interdisciplinare realizzato insieme all’Università, è emerso che sarà proprio l’olfatto di alcune specifiche razze canine, tra cui  i Labrador, i Golden Retriever e gli Springer Spaniel, sarà l’elemento determinante per individuare con certezza quali sono i soggetti a rischio.

Una svolta determinante, questa, visto che, al momento, il tasso di sopravvivenza per questo tipo di cancro è basso, visto che la diagnosi, nel 70% dei casi, avviene a stadio avanzato, quando purtroppo la malattia è già diffusa.

Gli scienziati del centro, grazie ad una sostanziosa sovvenzione di 80mila dollari da parte del Kaleidoscope of Hope Foundation di Madison in New Jersey, hanno immediatamente iniziato il training su un gruppo di tre cani, per far sì che questi riescano a fiutare le cellule cancerogene.

La direttrice del centro, la dottoressa Cynthia M. Otto, ha dichiarato all’emittente americana Abc: “Ora useremo il loro acuto senso dell’olfatto per individuare il primo odore del cancro ovarico, un killer silenzioso che spesso viene diagnosticato quando ormai è troppo tardi”. La donna, poi, ha fatto sapere che è fiduciosa nella scienza e che, entro due anni, “avremo cani addestrati ad identificare l’odore specifico di questo tipo di tumore. Sarà questa la prima tappa per gli scienziati, che studieranno un esame del sangue poco costoso e meno invasivo per prevenire la presenza del tumore nella fase precoce”.

Krizia Ribotta
14 agosto 2013

Sudorazione addio, arriva il decotto di salvia

salviaEssendo nel pieno dell‘estate, sia chi è costretto a lavorare in ufficio che chi si rilassa su una spiaggia da sogno, riscontra un piccolo problema: l‘eccessivo sudore.

A poco serve tamponare le goccioline che scendono dalla fronte, un cambio d‘abito frequente per evitare gli aloni e i numerosi bagni. Sia l‘afa che l‘alto tasso di umidità fanno sì che il nostro corpo soffra di una sudorazione maggiore del normale.

A questo proposito, pochi lo sanno, ma un rimedio naturale è il decotto di salvia. Questa pianta aromatica, infatti, è in grado di ridurre la produzione di sudore grazie alle sue proprietà astringenti.

Come spiega il presidente della Società Italiana di Medicina Naturale Antonio Sannia, che è anche docente di fitoterapia presso due atenei (quello di Siena e quello di Pavia, ndr): “Si porta a ebollizione un litro d’acqua, quindi si spegne il fuoco, e si mettono 10 grammi di foglie di salvia spezzettate“.

Dopodiché, prosegue l‘esperto: “Si lascia riposare il decotto, sempre a fuoco spento, per circa 10-15 minuti, avendo cura di coprire il recipiente per evitare la dispersione delle sostanze volatili. Dopo aver filtrato, si può bere una tazza due-tre volte al giorno, meglio se leggermente tiepida“.

Sannia informa anche che, per contrastare il cattivo odore, si possono aggiungere al decotto circa una decina di chiodi di garofano, i quali hanno proprietà antibatteriche ed aiutano l‘organismo a contenere quell‘olezzo tanto imbarazzante.

Il tutto grazie ad una ricetta semplice e salutare che si può tranquillamente preparare a casa.

Krizia Ribotta
23 luglio 2013

Fibre alimentari contro malattie cardiovascolari e diabete

fibre-alimentariIn base a quanto dichiarato da Albarosa Rivellese, membro della Società Italiana di Diabetologia (SID) e docente di Medicina Interna presso l’Università Federico II di Napoli, durante il 73esimo Congresso dell’American Diabetes Association che si è tenuto a Chicago, il diabete sembra avere un nuovo nemico: le fibre vegetali.

In particolare, sembra che una dieta ricca di questi elementi protegge da quelle che possono essere le alterazioni metaboliche a livello di glicemia e trigliceridi dopo i pasti. Durante periodo post-prandiale, infatti, si può verificare una condizione di alto rischio aggiuntivo sia per il diabete che per alcune malattie cardiovascolari. Come hanno sottolineato la Rivellese, l’intervallo di tempo subito dopo pranzo “può rappresentare una condizione di rischio aggiuntivo per il diabete e le malattie cardiovascolari, viste le alterazioni che si producono a livello della glicemia e dei trigliceridi”.

É quindi necessario intervenire sulla dieta, in modo semplice, apportando, ad esempio, circa 30-35 grammi di fibre al giorno, fondamentali per ridurre il rischio di sviluppare queste malattie. La lista degli alimenti più ricchi di fibre è molto varia, e comprende, tra gli altri: farina di frumento tenero, noci integrale, fiocchi d’avena, nocciole, mandorle, cioccolato fondente, carciofi bolliti, farro, pane integrale, muesli, biscotti integrali, crusca, fave, farina di segale, lenticchie, ceci, datteri secchi, prugne secche, farina di avena, cavoli di Bruxelles bolliti, prezzemolo, castagne, pane di segale, pinoli, soia, arachidi tostate e pistacchi.

Come illustrato dal professor Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di Diabetologia: “La dieta moderna è diventata più appetibile ma meno ricca di fibre. Quindi non solo mangiamo di più, ma mangiamo anche peggio, con il risultato che si ingrassa più facilmente e aumenta ancora di più rischio di obesità, diabete e malattie cardiovascolari”.

Krizia Ribotta
27 giugno 2013

Trapianto della testa: fantascienza o realtà?

trapianto-testa“Tra due anni saremo pronti per il trapianto di testa su un uomo”: così ha dichiarato durante un’intervista al settimanale Oggi, il neurochirurgo Sergio Canavero, spiegando di aver iniziato a lavorare su una nuova sperimentazione per questo specifico tipo di trapianto.

Una notizia choc che sembra riprendere le fila di quella annunciata, qualche anno fa, da un neurochirurgo americano, il professor Robert White, che dopo aver sperimentato il trapianto di testa sulle scimmie, si disse pronto per effettuarlo anche sull’uomo. Unico neo era il fatto che, purtroppo, non riuscendo a riallacciare in modo corretto i vari punti del midollo spinale, era prevista la paralisi del paziente.

Ostacolo, questo, che sembra superato alla grande da Canavero, già famoso per aver svegliato, dopo 20 anni di coma, una ragazza per mezzo dell’elettrostimolazione. In base a quanto da lui studiato, infatti, sarebbe possibile ricostruire la  continuità perduta del midollo spinale grazie ai fusogeni, degli speciali materiali conosciuti anche con il nome di sigillanti di membrana.

Un aspetto, questo, decisamente innovativo, come si legge sulla rivista scientifica  Surgical Neurology International, su cui è stato pubblicato l’intero studio nei dettagli.

Il progetto del professore italiano, denominato Heaven/Gemini (Head Anastomosis Venture with Cord Fusion), richiama fin dal nome la possibilità appunto di arrivare ad unire due diversi tratti del midollo spinale. Come spiegato dal medico, il donatore ideale del corpo  è “un individuo che ha purtroppo perso la vita per un trauma cranico puro, senza lesioni sostanziali a carico degli altri organi, o chi è stato vittima di un ictus fatale”. Il ricevente, invece, può essere “un malato affetto gravemente da una malattia neuromuscolare degenerativa. Ma anche un soggetto tetraplegico potrebbe candidarsi”.

Krizia Ribotta
21 giugno 2013

Dieta vegetariana: potrebbe aumentare le aspettative di vita

vegetarianaSe fino ad ora per qualcuno essere vegetariani sembrava una scelta non del tutto condivisa, ora potrebbe diventare una vera e propria moda. Secondo quanto dimostrato da uno studio americano condotto dalla Loma Linda University in California, sembra infatti che chi preferisce la verdura alla carne viva più a lungo.

La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Jama, svela che la dieta vegetariana potrebbe essere uno dei segreti per poter allungare la vita. Per giungere a questa conclusione, gli studiosi hanno analizzato i dati di ben circa 73mila pazienti facenti parte delle chiese  Avventiste (facenti parte di un movimento religioso che incoraggia l’alimentazione vegetariana, ndr) del Nord America, reclutati nel periodo compreso tra il 2002 e il 2007.

A tutti questi volontari è stato chiesto di compilare un questionario relativo alle loro abitudini alimentari, e si è così scoperto che il 29% di loro era vegetariano, il 15% mangiava raramente carne e pesce e l’8% era vegano.

Dopo questa prima scrematura, i ricercatori, a fine 2009 hanno controllato nuovamente i risultati, per vedere quante di queste persone fossero morte, ed è emerso che, tra i vegetariani, si sono registrati 5 decessi ogni 1000 soggetti. Negli altri due gruppi, invece, il numero sale a 7. Jama:

Niente più salmone o salsicce, dunque, in quanto causano la morte per ipertensione, sindrome metabolica, diabete mellito e cardiopatia ischemica. Malattie croniche che, stando a quanto rivelato da questo studio, sarebbero causate dal consumo di carni, siano esse di pesce, di vitello o di cavallo.

Krizia Ribotta
5 giugno 2013