Dalla parte degli animali. Marc Bekoff. Ricca Editore

“Dalla parte degli animali”, un titolo che potrebbe ricordare uno spot animalista. Ed effettivamente è un testo animalista, ma nella migliore accezione del termine. Senza nulla togliere all’etica che c’è dietro questo movimento, spesso è animata da sentimenti soggettivi che portano ad antropormizzare gli animali, perdendo così la meravigliosa essenza dei loro istinti, dei loro comportamenti e dei loro adattamenti. Qui non c’è alcuna forma di fanatismo o di interpretazione soggettiva, si ammira la Natura con sano spirito critico e con un approccio scientifico e professionale.
“Dalla parte degli animali”, pur mantenendo una sana etica di base, ci immerge in una lettura squisitamente etologica, pregna di osservazioni e considerazioni scientificamente valide, spesso riscontrabili su riviste internazionali. D’altronde l’autore americano Mark Bekoff è uno dei maggiori Etologi comportamentali esistenti, con oltre quasi 180 pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali, oltre che Professore di Biologia Organismica all’Univerisità del Colorado. Insomma, un Animalista vero e con i titoli adatti a fregiarsi di questo epiteto troppo spesso inflazionato e svilito.

Scordatevi il classico e stereotipato freddo scienziato che, un po’ aridamente, si specchia nella bellezza dei studi, questo testo è scritto da una persona di Scienza che non cela le sue emozioni, che si commuove quando racconta certi aneddoti, che si ritrova a rimanere estasiato dinnanzi alla spettacolarità di alcuni comportamenti.
In “Dalla parte degli animali” si parla un po’ di tutto ciò che gravita attorno all’Etologia: rituali di accoppiamento, soggettività nella scelta del partner, gioco tanto tra i cuccioli, quanto tra gli adulti, cooperazione, tristezza, amore, rabbia, nutrizione (ecc ecc). I soggetti sono sempre loro, gli animali: si passa dagli scimpanzé ai pinguini, passando per topi, delfini, cani, coyote…
Il suo fine è il dimostrare come anche gli animali non umani siano esseri senzienti in grado di provare forti emozioni. Fine raggiunto splendidamente!
I riferimenti bibliografici che rimandano a studi di suoi autorevoli colleghi sono numerosi nel testo, sebbene, come dovrebbe fare qualsiasi scienziato competente, egli non si tiri indietro quando ritiene che determinate conclusioni possano essere errate e vadano criticate.

Pro: Cervello, cuore e conoscenza, tanta conoscenza, si intersecano in questo affascinante testo, arricchendo il nostro bagaglio culturale grazie a spiegazioni semplici e intuitive. Un punto di partenza tanto per chi studia tali argomenti, quanto per chi si definisce “animalista” e vorrebbe ampliare i propri orizzonti.
Oltretutto scoprirete perché ama cosí tanto spostare la sua amata “neve gialla” che tanto lo ha fatto sentire “strano” agli occhi dei non addetti ai lavori, sentimento che spesso proviamo anche noi Naturalisti.

Contro: Non vi aspettate né un romanzo né un testo universitario: si tratta di una serie infinita di brevi aneddoti racchiusi in numerosi paragrafi che spaziano su varie tematiche di stampo etologico ed ecologico. Un’assenza di linearità nella narrazione tuttavia solo apparente, essendo gli argomenti ben definiti e chiari per il lettore.

Andrea Bonifazi

Guida ai Coleotteri d’Europa. V. Albouy, D. Richard. Ricca Editore

Coccinella, Scarabeo Rinoceronte e Cervo volante. Chi non è particolarmente avvezzo a tematiche entomologiche, generalmente riconduce l’intero ordine Coleoptera a queste poche specie, talvolta aggiungendo le Lucciole, il Punteruolo rosso o qualche Cerambice. È comprensibile questo approccio: non tutti siamo esperti di entomofauna e spesso si tende a sottovalutare la ricchezza di un dato taxon. Il caso dei Coleotteri è emblematico: nonostante le specie più “celebri” si contino su due mani, l’ordine è ricco di specie. Ricchissimo. Ricco più di quanto non potremmo lontanamente immaginare!
Di circa 4 milioni di specie di Insetti esistenti, tra descritte e da descrivere, 400000 sono Coleotteri, di fatto una specie ogni 10. Di questi, 20000 sono stati segnalati in Europa e 12000 sono presenti in Italia. Pensare di conoscerli tutti è impensabile, anche perché molte specie sono identificabili solo attraverso lo studio di particolari strutture sessuali o, addirittura, attraverso indagini molecolari… approcci decisamente inapplicabili sul campo.
Ma serve un punto di partenza!

La copertina del testo

La guida “Guida ai Coleotteri d’Europa”, edita dalla Ricca Editore, rappresenta proprio lo start per iniziare uno studio approfondito dei Coleotteri che possiamo osservare non solo durante le nostre escursioni, ma anche nelle nostre abitazioni. Un testo straordinario che rappresenta l’anello di congiunzione tra un manuale da campo e un testo altamente specialistico. Quasi 800 specie rappresentate da figure a colori in altissima definizione, corredate da schede complete di ecologia e distribuzione, il tutto in accordo con le più aggiornate checklist e revisioni tassonomiche.
Ma non solo: il testo è introdotto da una corposa sezione, lunga oltre 40 pagine, in cui vengono poste le basi per la lettura anche da parte di un neofita. Anatomia, sviluppo, rapporti con l’uomo, aneddoti storici, importanza ecologica e protezione sono trattati in questa lunga e completa introduzione, aprendo a chiunque il meraviglioso mondo dei Coleotteri.
Per terminare, un lungo elenco di riferimenti bibliografici che, oltre a corroborare la serietà del testo, forniscono spunti di ricerca per i più appassionati.
Un mondo a 6 zampe racchiuso in un elegantissimo volume tascabile.

Esempio di testo

Pro: Un testo bello, completo, elegante e facilmente utilizzabile da chiunque. Un acquisto semplicemente imprescindibile per tutti coloro che amano gli Insetti, ma importante anche per chi vuole avvicinarsi per la prima volta a questo variopinto mondo.

Contro: Trovare dei contro è difficile, ma, come già specificato, è doveroso ricordare che non sono riportate TUTTE le specie presenti in Europa, ma solo una selezione delle più rappresentative, comuni o ecologicamente rilevanti. D’altronde sarebbe stato impossibile riunirle tutte in un unico volume.

Andrea Bonifazi

Animali fantastici… ma dove trovarli? Spesso basta un libro di Zoologia

Fantàstico: agg. [dal lat. tardo phantastĭcus, gr. ϕανταστικός]. Creato dalla fantasia, che è frutto di fantasia, o in cui ha parte prevalente la fantasia.
Questa è l’autorevole definizione che la Treccani dà a un termine che usiamo spesso: fantastico. Una parola dalle mille sfaccettature, che nel contempo può indicare sia qualcosa di incredibilmente bello, sia qualcosa di surreale, frutto di qualche pindarico volo della nostra mente. Fantasia e razionalità spesso cozzano… o almeno questa è l’impressione che si può superficialmente avere. Il pittore e poeta inglese William Blake sosteneva che “Ciò che è oggi dimostrato fu un tempo solo immaginato“, mentre lo scrittore americano Tom Clancy asseriva che “L’unica differenza tra la fantasia e la realtà è che la fantasia deve avere un senso“. Insomma, fantasia e realtà sono due facce di una stessa medaglia e la stragrande maggioranza di ciò che viene “creato” con intenti fantasy e surreali ha in realtà un corrispettivo in Natura. Ciò avviene così frequentemente che riuscire a inventare ex novo qualcosa di assurdo, grottesco o apparentemente irreale è impresa quasi impossibile: in Natura c’è già tutto… e anche di più!

Nella letteratura e nel cinema, fantasia e fantascienza sono evergreen sempre apprezzati, ma se uniti a qualche saga di culto, il successo è assicurato: emblema di quest’ultimo caso è “Animali fantastici”, spin-off nato da una costola di Harry Potter e partorito sempre dalla geniale mente della britannica J. K. Rowling.
Newton Artemis Fido Scamandro, Newt Scamander nella trasposizione cinematografica, è un “magizoologo” (quanta bellezza in questa parola) ed ex impiegato del Ministero della Magia nell’ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, una sorta di CITES in salsa fantasy. Per comprendere la sua personalità, la ricetta è semplice: basta prendere 3 bicchieri di Linneo e mescolare con 2 cucchiai di Harry Potter, quindi aggiungere Darwin q.b., una spolverata di Sheldon Cooper e un pizzico di Forrest Gump. Essenzialmente un Naturalista nerd con occasionali spunti di sana follia. Le creature fantastiche che questo Zoologo con la bacchetta alleva sono il fulcro sia dei libri che dei film. Tantissimi animali apparentemente frutto della vulcanica mente della Rowling si alternano sul grande schermo, lasciando sbigottiti dinnanzi a una fantasia così galoppante. Ma di fantastico non c’è poi così tanto: per quanto possa sembrare assurdo, tutti gli animali fantastici hanno un corrispettivo pressoché identico in Natura! La genialità è stata il “riassemblarli”, ma di inventato c’è ben poco, basta sfogliare un libro di Zoologia per addentrarsi in un mondo multiforme e variopinto molto più incredibile di quanto non si possa immaginare.
Di seguito, alcune schede che mostrano come realtà e fantasia abbiano spire che si penetrano reciprocamente, rendendo arduo scindere con fredda razionalità ciò che esiste da ciò che è un mero parto mentale. D’altronde, come dice il buon Newt, “Non ci sono creature strane … solo persone miopi“.

Snaso (Niffler)

Uno Snaso è una creatura magica inglese con l’abitudine di scavare in profondità per cercare tesori, senza disdegnare gioielli e preziosi vari che avidamente tende a “rubare” in giro.
Ad ispirare questo animale è stato Tachyglossus aculeatus, mammifero conosciuto come “Echidna Istrice” e diffuso in Australia, Tasmania e Nuova Guinea. Si tratta di animali monotremi, cioè in grado di deporre le uova e covarle in una sacca cutanea ventrale detta incubatorio, di fatto un marsupio naturale… d’altronde ricordate dove lo Snaso nascondeva i gioielli?

Lo Snaso e l’Echidna.

Asticello (Bowtruckle)

Un Asticello, noto anche come Serviente, è una creatura che custodisce gli alberi, tendenzialmente pacifica e in grado di comunicare con gli esseri umani. Ha piccole dimensioni e un “aspetto vegetale”, con zampe brune che assomigliano a radici o rametti… una creatura davvero difficile da scorgere se adagiata su una pianta!
Non vi ricorda nulla? Esatto, è una descrizione assolutamente calzante con quella di molti insetti, tra i quali i più noti sono i fasmidi, artropodi conosciuti come “Insetti stecco” per via della loro criptica morfologia. Ma non sono gli unici maestri del camouflage: anche se meno noti, come non citare gli ortotteri appartenenti alla famiglia Proscopiidae? Tra loro spicca Pseudoproscopia latirostris, specie diffusa in Perù e dall’aspetto così buffo che non può non essere stata di ispirazione alla Rowling.

Asticello e i simpatici ortotteri.

Celestino (Billywig)

Il Celestino è un insetto dal colore blu zaffiro le cui ali sono fissate in cima alla testa e girano così in fretta che vola vorticando. All’estremità del corpo è presente un lungo pungiglione.
Capire con certezza quale sia stata la specie che l’ha ispirato non è semplice, ma sicuramente tra le più somiglianti c’è l’Imenottero Thyreus nitidulus (conosciuto con l’intrigante nome “Neon Cuckoo Bee”), un’ape parassitica diffusa in Australia e in Nuova Guinea.

Celestino e l’Ape parassitica.

Demiguise

Il Demiguise è una creatura erbivora e pacifica, con grandi occhi neri e tristi. Se si sente minacciato, è in grado di rendersi invisibile; può inoltre predire il futuro. La sua pelle ha un grande valore commerciale in quanto il pelo può essere filato per creare i ricercatissimi Mantelli dell’Invisibilità.
La somiglianza (e soprattutto gli occhioni tristi) fanno pensare a un mammifero appartenente alla famiglia Lorisidae, probabilmente Nycticebus coucang, specie conosciuta come “Loris lento della Sonda” e diffusa nel Sud-Est Asiatico. Come il suo corrispettivo fantasy, secondo le tradizioni locali anche il lori può essere portatore di buone novelle o di sventure. A Giava questi animali sono conosciuti con il nome di muka (“la faccia”) e sono ritenuti forieri di malattia, morte o disgrazia; inoltre, si pensa che siano sempre tristi poiché rappresentano una porta aperta sull’aldilà, essendo così in grado di vedere gli spiriti inquieti dei defunti. Anche loro sono cacciati in quanto la loro pelliccia è considerata medicamentosa, tanto che c’è un ricco commercio illegale legato a questa specie.

Demiguise e il Lori.

Graphorn

Il Graphorn è una creatura molto aggressiva e dalle imponenti dimensioni. Ha gobba, lunghe corna e zampe con quattro dita. La sua pelle violacea respinge quasi tutti gli incantesimi, essendo più dura di quella di un Drago.
Nonostante l’aspetto pachidermico, è probabilmente frutto di un collage di più specie, perlopiù invertebrati: basti osservare i tentacoli che si dipartono dalla bocca, simili a quelli di uno cnidario o di un cefalopode. Ma ciò che spicca maggiormente sono le corna… come non notare l’incredibile somiglianza con le larve di Citheronia regalis, grossa falena diffusa in Nord America? Sebbene sia tra i bruchi più grandi conosciuti (supera i 15 cm di lunghezza) e nonostante sia dotato di lunghe spine, è totalmente innocuo.

Graphorn e il bruco di Citheronia regalis.

Swooping Evil

Lo Swooping Evil è uno dei tanti “animaletti domestici” di Newt… più un’arma che un puccioso, in effetti. Il suo aspetto è una sorta di collage che un unisce pipistrelli, rettili e lepidotteri, mentre la sua dieta è encefalofaga, nutrendosi di cervelli umani. Quando a riposo, si richiude su se stesso in un involucro verde, così che possa essere successivamente lanciato in battaglia come se fosse un Pokémon in versione noir.
Nonostante le dimensioni e il capo “pipistrellesco”, la fonte di ispirazione più plausibile è il lepidottero ninfalide Morpho peleides, bellissima farfalla conosciuta come “Morfo blu” diffusa in America centrale e meridionale. Il fatto che si richiuda in un involucro verde pressoché identico alla crisalide della suddetta specie avvalora questa ipotesi.

Swooping Evil e la farfalla Morpho peleides sia allo stadio di crisalide che adulta.

Murtlap

Il Murtlap è un aggressivo topone rosa e glabro, caratterizzato da una serie di tentacoli che gli crescono lungo la schiena e che ricordano un grosso anemone. Si racconta che queste appendici, se messe in salamoia ed ingerite, siano in grado di proteggere da incantesimi e maledizioni. Occhio: un eccessivo uso provoca la crescita di peli viola nelle orecchie di chi se ne ciba!
La specie che l’ha ispirato è senza dubbio Heterocephalus glaber, un roditore noto come “Talpa senza pelo” diffuso in alcune zone desertiche dell’Africa orientale, dove vive in gallerie sotterranee. Insomma, un Murtlap dopo la ceretta sulla schiena.

Murtlap e l’Eterocefalo glabro.

Occamy

L’Occamy è una grossa e variopinta creatura bipede che ricorda un serpente piumato. Depone uova dal guscio d’argento, quindi dal notevole valore commerciale. Ha inoltre la capacità di riempire totalmente il luogo in cui si trova, riducendo le proprie dimensioni fino ad entrare in una piccola teiera o ingrandendosi fino a riempire un’intera stanza.
Difficile dire con certezza quale sia stata la specie d’ispirazione, ma sono notevoli le somiglianze con Opisthocomus hoazin, uccello noto come “Hoatzin” e diffuso in Sud America in un’area geografica che copre i bacini del Rio delle Amazzoni e del fiume Orinoco. Così come la controparte fantastica, anche questa specie ha un aspetto molto primitivo: ricorda infatti Archaeopteryx o i dinosauri piumati ritrovati in Cina. Tra le sue caratteristiche più particolari c’è la coppia di dita artigliate presenti sul margine delle ali dei suoi pulcini, utile stranezza morfologica che gli permette di arrampicarsi sui rami; questi ultimi sono anche capaci di nuotare.

Occamy e l’Hoatzin, entrambi sia pulcino che adulto.

Kelpie

Il Kelpie è un demone acquatico di grosse dimensioni in grado di assumere differenti sembianze, anche se molto spesso ha l’aspetto di un cavallo ricoperto di alghe.
Sebbene tra le fonti di ispirazione ci siano sia il Mostro di Loch Ness, sia l’omonimo spirito maligno vivo nel folklore delle antiche leggende celtiche, la morfologia trae libera ispirazione da Phycodurus eques, pesce signatide noto come “Dragone foglia” diffuso nelle acque delle acque costiere dell’Australia e della Tasmania. I più attenti avranno notato che la famiglia a cui appartiene è la stessa dei più noti cavallucci marini, il che spiega la testa del Kelpie. Oltretutto, il nome è un chiaro rimando al Kelp, grosse alghe brune diffuse in molti mari e oceani che ricoprono il corpo di questa creatura; tale caratteristica ricorre anche nelle protuberanze dall’aspetto vegetale presenti in P. eques.

Kelpie e il Dragone foglia.

Matagot

Il Matagot è un minaccioso gattone che non attacca a meno che non sia provocato (n.d.r.: evitate di farlo!). In Francia, sono utilizzati dal Ministero della Magia per svolgere lavori umili, come l’ausilio al personale della sala spedizioni e la sicurezza di vari altri dipartimenti.
Ad ispirare queste creature è stato sicuramente il Canadian Sphynx, una pregiata razza di gatto originata da una naturale mutazione del gatto domestico.

Alcuni Matagot e lo Sphynx.

Riportare tutte le creature citate sarebbe stato arduo, così che ho preferito soffermarmi su quelle la cui origine reale era di più difficile identificazione senza un solido background di conoscenze zoologiche. Chiaramente non bisogna dimenticare le altre bestie fantastiche la cui origine è decisamente più intuituva: Erumpent è un rinoceronte, Nundu è un giaguaro, Thunderbird è probabilmente un’aquila arpia, Zouwu è un leone, Leucrotta è un alce… ma non finiscono qui le creature di “Animali fantastici”!

L’immaginazione è linfa vitale per gli esseri umani, ma scoprire che spesso la fantasia trae libera ispirazione dalla realtà è… fantastico!

Andrea Bonifazi

Sitografia

http://it.harrypotter.wikia.com/wiki/Harry_Potter_Wiki
https://www.pottermore.com/
http://www.potterpedia.it/

Sulle tracce dei nostri antenati in Italia… Flavia Salomone, Luca Bellucci, Giorgio Manzi. Edizioni Espera

Ecce homo!
Un’esclamazione che spontaneamente viene da pensare una volta terminata la lettura di questo breve testo che ci accompagna in un viaggio lungo 2,5 milioni di anni.

Ecco l’uomo!
Un processo evolutivo lungo, complesso e ramificato che culmina con Homo sapiens. Il nostro caro Homo sapiens. Insomma, noi.

“Sulle tracce dei nostri antenati in Italia” è un libro sintetico, ma che aiuta ad avere una visione completa della nostra storia evolutiva, permettendo anche ai più piccoli di superare la classica struttura schematica che dalla scimmia arriva a noi “esseri umani sapienti”. Quasi fosse un piccolo atlante di Antropologia, partendo dai primi rappresentanti del genere Homo, viene dedicata una scheda tecnica ad ogni specie che ha posto un tassello nell’enorme puzzle evolutivo che si è concluso (per ora) con la nostra affermazione sul pianeta Terra. Considerando parametri quali ecologia, etologia, abilità, principali caratteristiche fisiche, dieta e distribuzione geografica, in poche pagine sono cosí riassunte le differenze dei vari Homo, partendo da H. antecessor e arrivando a H. sapiens.

La copertina del testo

Ma non è tutto: ad arricchire il testo e a renderlo ancor più contestualizzabile, viene proposto il capitolo dal titolo “C’era una volta il Lazio”, dove viene ricostruita un’affascinante cronistoria della regione che ospita la Capitale: viaggiando tra ammoniti e ittiosauri, e, dopo essersi districati tra eruzioni vulcaniche ed ere glaciali, si salta rapidamente a mammut, mastodonti e gazzelle, arrivando sino a noi. Sono così citati alcuni dei principali rinvenimenti paleontologici e antropologici effettuati tra le province laziali: sapere che presso la Sedia del Diavolo (quartiere Trieste) sono stati trovati i resti di un elefante antico o che un cranio di un nostro antenato è stato rinvenuto a Ceprano (Frosinone) renderà le nostre passeggiate a Roma e dintorni ancor più affascinanti.

Conclude il libro un’utile rassegna dei principali musei a tema paleontologico/antropologico/archeologico in cui è possibile ripercorrere attivamente queste incredibili tappe evolutive.

Pro: Viaggiare nel tempo e conoscere i nostri antenati non è mai stato così divertente e immediato. Grazie a uno stile semplice e spumeggiante e a simpatiche illustrazioni, gli autori (tra cui un “mostro sacro” come Giorgio Manzi) ci accompagnano nell’Italia che fu. Un testo indicato soprattutto ai più giovani lettori, ma fruibile da tutti grazie all’irreprensibile serietà scientifica che incornicia il tutto. Assolutamente consigliato!

Contro: Nonostante il libro sia serio e completo, non ci si deve aspettare un trattato universitario, il target a cui è indicato sono pur sempre i lettori più giovani. Il focus su luoghi noti del Lazio lo rende fondamentale per chi vive in questa regione, ma potrebbe risultare meno immediato per chi non conosce adeguatamente queste zone.

Andrea Bonifazi

Tutti lo temono, ma pochi lo hanno provato: intervista a un ragazzo morso dal “Ragno violino”

Come ogni anno, tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate si parla tanto, tantissimo, forse troppo del celeberrimo “Ragno violino”, poco simpatico Aracnide appartenente alla specie Loxosceles rufescens.
Cavalcando la dirompente ondata della paura e delle fobie, così come viene fatto di prassi anche in altri ambiti (politici, sociali, economici… ecc ecc), i mass media diventano gli artefici dell’incontrollata diffusione di un pandemico allarmismo che ha come epicentro il piccolo ragno.
Indubbiamente velenoso (ma lo sono praticamente tutti i ragni) e potenzialmente pericoloso, L. rufescens viene apostrofato dai media quasi come un Belzebù a 8 zampe: stando agli articoli che “arricchiscono” le pagine dei principali quotidiani nazionali, il “Ragno violino” viene sovente dipinto come perennemente aggressivo, diffuso in qualsiasi anfratto delle nostre abitazioni, dotato di acuminate e potenti zanne in grado di infliggerci morsi sempre in grado di paralizzarci, di lasciarci cicatrici enormi e incurabili, spesso mortale se non si amputa l’arto colpito. Insomma, un piccolo mostro che dedica la sua vita in attesa di prede umane da atterrire e annientare senza alcuna pietà, ma bastano un minimo di logica e di raziocinio per comprendere che la descrizione che ne danno sia decisamente eccessiva, fuorviante e più pericolosa del ragno stesso, considerando il potenziale allarmismo che è in grado di generare.
Ma non c’è dubbio che sia una specie da non maneggiare, il suo morso è mortale solo in rarissimi casi in soggetti con altre patologie, ma senza dubbio può rivelarsi pericoloso, soprattutto in soggetti allergici.
Quest’oggi ho il piacere di intervistare Rocco Scorrano, vittima qualche anno fa del morso del temuto “Ragno violino”, così da avere un riscontro diretto delle conseguenze che si possono avere in un soggetto adulto e sano.

Esemplare maschio di Loxosceles rufescens (Ph. Antonio Serrano)

Buongiorno Rocco, è un piacere scoprire che, nonostante le informazioni che vengono diffuse dai media, tu sia “sopravvissuto” al morso e soprattutto non abbia riportato danni gravi. Quando e come hai avuto questo incontro ravvicinato con L. rufescens? Il morso è stato involontariamente causato da te o sei stato aggredito?

Venerdì 19 giugno 2015 a Parabita (in provincia di Lecce), verso le 11.00 della mattina, sono stato morso da questo ragno velenoso. È salito nei jeans lasciati nottetempo su una sedia vicino al muro e, dopo averli indossati, quando mi sono seduto sul sedile dell’auto, il ragno è rimasto schiacciato, così che ha morso ripetutamente dietro il ginocchio.

Hai capito subito di essere stato morso proprio dal celebre “Ragno violino”? Come hai reagito?

All’inizio non lo conoscevo, lo avevo visto in casa tante volte, ma non sapevo nulla della potenziale pericolosità del suo morso. Dopo quattro ore dall’evento avevo capito che qualcosa non andava in quanto si era formato un livido e la zona era dolorante, non mi era mai capitata una cosa del genere e ho fatto una prima foto per documentare l’evolversi della situazione.

Il segno lasciato dai morsi rispettivamente dopo 4 e 8 ore (Ph. Rocco Scorrano)

Anche se immagino che i giorni, se non le settimane, successive al morso siano più dolorosi del momento stesso in cui si viene morsi, cosa hai provato nel mentre?

È proprio così, nel momento del morso non si sente quasi nulla! È più un fastidio, come una leggerissima scossa elettrica…! Le cose si sono aggravate quasi subito: infatti dopo altre 4 ore dalla formazione del livido è incominciata a salire la febbre, arrivando a oltre 39° C, e il dolore è diventato molto intenso (il veleno stava incominciando a necrotizzare i tessuti). Mi sono recato al Pronto Soccorso di Casarano, dove hanno deciso di ricoverarmi.

La ferita peggiora: ecco gli effetti dopo 24 e 100 ore dal morso (Ph. Rocco Scorrano)

Successivamente che cure hai dovuto fare? Quanto è durato il decorso ospedaliero?

Mi hanno tenuto 4 giorni in ospedale, hanno somministrato anticoagulanti antibiotici e cortisonici che ho continuato per una quindicina di giorni, più Betadine® (un unguento disinfettante) e fisiologica sulla ferita; successivamente anche una pomata (Iruxol®, un unguento indicato nella detersione e nella successiva cicatrizzazione di lesioni di origine ulcerativa, necrotica o traumatica), ma la ferita si è trasformata in escara (n.d.r: porzione di tessuto andata incontro a fenomeni necrotici e ben delimitata dal circostante tessuto sano) e, visto che dopo più di 4 mesi non guariva, hanno asportato chirurgicamente l’escara ed è vi stata praticata la cruentazione (n.d.r.: tecnica chirurgica consistente nel provocare il sanguinamento di tessuti sui quali si vogliono fare attecchire innesti o di superfici che si vogliono far saldare insieme mediante una cicatrice o un callo osseo).

Le cure mediche danno i loro frutti: ecco la ferita dopo 4 e 5 mesi dopo il morso, compresa l’asportazione chirurguca del “tappo” e la cruentazione della ferita (Ph. Rocco Scorrano)

Oggi hai ancora segni evidenti del morso o ripercussioni fisiche di altro genere?

È rimasta solo una bella cicatrice che per fortuna, essendo situata dietro al ginocchio, non si nota.

Dopo il lungo decorso ospedaliero, della ferita rimane solo una bella cicatrice, senza ulteriori ripercussioni sulla salute del ragazzo (Ph. Rocco Scorrano)

Hai particolari allergie o problemi che in qualche modo hanno aggravato gli effetti del morso?

No, nulla che io sappia.

Sei stato quindi involontaria vittima del morso di una “piccola celebrità” che di certo ti ha lasciato un brutto ricordo. Ad oggi hai fobie particolari riguardo i ragni? O pensi anche tu che, considerando la tua esperienza, i media spesso si rivelino esagerati e pericolosamente allarmisti?

No, nessuna fobia, è stato solo un sfortunato caso. Pensa che vivendo in campagna ho casa infestata dai ragni violino, ma ho imparato a scuotere scarpe e vestiti primi di indossarli. Non è un ragno aggressivo, morde solo se schiacciato, altrimenti preferisce la fuga!

Cosa consigli di fare qualora si venga morsi? E come consigli di comportarsi onde evitare di incorrere nella tua stessa esperienza?

Mi sono informato, si consiglia di fare degli impacchi di ghiaccio per 10 minuti con pausa di altri 10 minuti. Se possibile, fare delle foto o catturare il ragno che ha morso, serve per identificarlo. Successivamente andare subito in pronto soccorso e riferire l’accaduto.

Grazie mille per la tua disponibilità e in bocca al lupo per il futuro… anzi, in bocca al ragno!

Grazie!

Risposte chiare e lucide che senza alcun dubbio non sottovalutano o sminuiscono gli effetti del morso di questo Aracnide, ma nello stesso tempo aiutano a smorzare l’allarmismo diffuso dai mass media. D’altronde si tratta di una specie abbastanza comune in Italia e spesso ospite delle nostre abitazioni, se davvero fosse aggressivo e letale come viene descritto da tanti pseudogiornalisti, ogni anno verrebbero registrati centinaia di casi mortali, mentre in cronaca si segnalano solo isolati e sporadici casi spesso causati da involontarie disattenzioni di noi umani. Insomma, è necessario prestare attenzione qualora questi ragni venissero rinvenuti nelle nostre case e, in caso di morso, è obbligatorio contattare un medico, ma nello stesso tempo non ci si deve lasciar prendere dal panico: Loxosceles rufescens c’è sempre stato e, probabilmente, ci sarà anche dopo di noi, tanto vale imparare a conviverci e possibilmente cercare di non infastidirlo.

Intervista a cura di Andrea Bonifazi

C’era una volta… Homo. Viaggio nel tempo alla scoperta delle nostre origini. Flavia Salomone. Edizioni Espera

Ai grandi si deve raccontare la Scienza, ai piccoli si devono raccontare le favole.
O almeno questo è ciò che molto comunemente e, forse quasi involontariamente, si tende a fare, inculcando nei piccoli Naturalisti delle erronee concezioni sulla Natura, sull’evoluzione, sulla Zoologia, sull’Antropologia (…).
Certo, è più facile attirare l’attenzione di un bambino parlando di Peppa Pig, Suzy Pecora e Rebecca Coniglio, ma si tende talvolta ad estremizzare alcuni concetti naturalistici, rischiando di allontanarsi troppo dalla realtà: si hanno così bimbi che credono che gli animali di fattoria vivano come le persone, che il pollo nasca già inscatolato o che i dinosauri non siano mai esistiti.
Ma i bambini diventano adulti… ed è così che nascono i terrapiattisti, ma anche coloro che credono che la Terra esista più o meno da 5000 anni o quelli che non sanno che il nostro pianeta Terra ruota intorno al Sole.

La copertina del testo

Ma come si fa a conciliare informazioni scientifiche corrette e importanti con il necessario divertimento di un bambino? Semplice: grazie a un buon testo divulgativo!
Utilissimo in tal senso è “C’era una volta… Homo” di Flavia Salomone, divulgatrice con un background da Antropologa: un libro sintetico scritto con uno stile vivace adatto ai Naturalisti più giovani, ma utile per rinfrescare qualche concetto anche nei più grandi.
Un viaggio che ripercorre le principali tappe evolutive che hanno portato all’evoluzione dell’essere umano, partendo dai primi ominidi fino a Homo sapiens. Oltre a schede che permettono di inquadrare le varie specie sotto aspetti cronologici, geografici, morfologici, ecologici ed etologici, il testo è arricchito di paragrafi su “casi studio” come Lucy, il bambino di Taung o la mamma di Ostuni. Questi ultimi sono raccontati con uno stile narrativo in prima persona in modo da permettere al giovane lettore di conoscere più intimamente questi “celebri personaggi”.
Conclude il testo una schematica scheda intitolata “I numeri di Homo sapiens“, illustrando alcuni dati straordinari che ci riguardano da vicino, partendo dal numero di specie di batteri che abbiamo nell’intestino e arrivando alla lunghezza del DNA.
Tre domande potrebbero sintetizzare i contenuti di questo libro: Chi siamo? Da dove veniamo? Quando è nato il linguaggio?

Pro: Con uno stile frizzante e diretto, l’autrice prende per mano i Naturalisti più piccoli, accompagnandoli in un affascinante viaggio lungo 7 milioni di anni, ma riassunto abilmente in poche pagine. Le illustrazioni, minimaliste e semplici come solo un bambino potrebbe fare, aiutano a immergersi più facilmente nella lettura.

Contro: È un testo serio e accurato, ma pur sempre indirizzato a un pubblico giovane. Insomma, non aspettatevi un trattato di Antropologia, ma un libro che ci guida in maniera semplice e diretta tra argomenti che difficilmente un bambino avrebbe altrimenti modo di apprendere.

Andrea Bonifazi

L’abito non fa il monaco… e neppure il sesso: come riconoscere “Riccio maschio” e “Riccio femmina”

La nomenclatura zoologica non è solo un virtuosismo dialettico, è un mezzo che serve per fare ordine e chiarezza tanto nel linguaggio informale quanto in quello scientifico. Tuttavia è prassi comune identificare una specie affidandosi solo al suo nome comune, spesso identico in quelli che potrebbero essere comodamente definiti “colloquiali complex di differenti taxa”. Si ha quindi la specie “serpente”, la specie “orso”, la specie “chiocciola”, la specie “lucertola”, la specie “riccio di mare”. Nomi chiaramente molto generici e fuorvianti non in grado di identificare univocamente uno specifico taxon.
Proprio il caso del “riccio di mare” è particolarmente emblematico: nel linguaggio informale, questo nome comune identifica pressoché tutti gli Echinodermi Echinoidei che possiamo osservare lungo le nostre coste, da Arbacia lixula a Paracentrotus lividus, passando per Sphaerechinus granularis, Psammechinus microtuberculatus, Echinocardium cordatum e Cidaris cidaris, tutte specie nelle quali potremmo imbatterci tanto durante lo snorkeling quanto durante una tranquilla passeggiata in spiaggia.
A complicare ulteriormente la distinzione tra questi taxa contribuisce addirittura… il loro ciclo vitale!
Infatti è prassi comune considerare maschi i ricci di colore nero (Arbacia lixula) e femmine quelli di altro colore, dal violetto al marroncino (Paracentrotus lividus), entrambi molto comuni nell’infralitorale superiore.
In realtà si tratta di due specie differenti, entrambe a sessi separati, quindi esemplari femmine sono presenti anche nel “Riccio maschio” ed esemplari maschi nel “Riccio femmina”.
Una convinzione molto radicata in chi non è del settore, assumendo quasi i tratti di una vera e propria leggenda metropolitana. In realtà questo fraintendimento è puramente di natura alimentare: durante il periodo riproduttivo, infatti, P. lividus presenta uova di qualità più pregiata ed è molto più ricercato rispetto ad A. lixula, tanto da essere comunemente considerato l’unico in grado di produrle, venendo così associato esclusivamente al sesso femminile.

Esemplare aperto di Paracentrotus lividus con le gonadi mature ricolme di uova (© Marco Busdraghi)

Eppure riconoscerli non è difficile: il “Riccio maschio” ha aculei sempre neri, un dermascheletro leggermente depresso di un colore rosa disomogeneo, può raggiungere un diametro di 8 cm e ha un’apertura orale molto ampia; di norma lo si può trovare sino a 40 metri di profondità su superfici rocciose sia orizzontali che verticali generalmente prive di vegetazione in quanto esso stesso contribuisce a ripulirle, essendo un vorace brucatore. Una sua particolarità è l’avere pedicelli aborali privi di dischi adesivi, così che non è in grado du ricoprirsi di alghe, sassi e frammenti di Molluschi, come invece avviene in P. lividus. Ha un lungo periodo riproduttivo, con picchi riproduttivi nel periodo estivo.

Esemplare di Arbacia lixula , o “Riccio maschio”, fotografato in ambiente naturale (© Andrea Bonifazi)

Il “Riccio femmina”, invece, presenta aculei di color violetto scuro, brunastri o verdi, un dermascheletro subcoconico di un omogeneo colore verde chiaro, ha un diametro di circa 7 cm e ha una piccola apertura orale; lo si può trovare fino ad 80 m di profondità su fondali rocciosi ricoperti di alghe, ma anche nelle praterie di Posidonia oceanica. Si riproduce primariamente da Aprile a Settembre, con picchi estivi.
Differenze morfologiche e necessità ecologiche molto marcate che evidenziano come queste due specie raramente siano osservabili in uno stesso ambiente, implicitamente mostrando come non si tratti di divergenze causate solo dal sesso.

Esemplare di Paracentrotus lividus, o “Riccio femmina”, fotografato in ambiente naturale (© Andrea Bonifazi)

Per quanto riguarda l’Italia, la pesca del “Riccio di mare” attualmente è regolata dal decreto ministeriale del 12 gennaio 1995. Tale normativa, varata dall’allora Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali on. Adriana Poli Bortone, stabilisce che:
– La pesca del riccio di mare è consentita a pescatori subacquei professionisti e sportivi, che possono effettuarla solo per immersione e manualmente, utilizzando attrezzi da raccolta limitati all’asta a specchio e al rastrello;
– Il pescatore professionista non può catturare giornalmente più di 1000 esemplari; al contrario, il limite giornaliero per il pescatore sportivo è fissato in 50 ricci;
– La taglia minima di cattura del riccio di mare è non inferiore a 7 cm di diametro totale compresi gli aculei.
Inoltre, dal primo Maggio e fino al 30 Giugno è in vigore il fermo biologico della pesca al riccio di mare (art. 4 del D.M. 12 gennaio 1995), periodo in cui è vietato pescare, detenere, trasbordare, sbarcare, trasportare e commercializzare tali Echinodermi in qualunque stadio di crescita, fattispecie severamente sanzionate dal D.lgs n° 4 del 9 gennaio 2012.

Differenti dermascheletro di ricci di mare: da sinistra Arbacia lixula,Paracentrotus lividus ed Echinocardium cordatum (© Andrea Bonifazi)

Il rischio sanzioni è elevato e forse sarebbe meglio limitarsi ad ammirare questi animali vivi nel loro ambiente naturale piuttosto che tagliarli a metà e mangiarli da vivi. D’altronde sono chiamati “frutti di mare”, ma non sono mele o pere che vanno colte dall’albero, sono stupendi animali molto importanti nell’equilibrio dei nostri sistemi costieri.

Andrea Bonifazi

Bibliografia

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