Doha: deludente la prima settimana d Conferenza sul Clima

Le emissioni inquinanti dei paesi sviluppati mettono a rischio l’intero ecosistema terrestre.

I cambiamenti climatici, l’innalzamento della temperatura terreste dovuto all’effetto serra, richiedono misure drastiche, sia in materia di riduzione di emissioni inquinanti, sia in materia di misure per effettuare interventi salva clima. La comunità scientifica già da tempo ha segnalato che la situazione sta divenendo via via sempre più difficoltosa.

Le aspettative con cui l’Africa, che soffre di un aumento delle aree desertiche proprio in virtù di questi cambiamenti climatici, è giunta alla Conferenza di Doha erano alte, ma durante la prima settimana le risposte dei paesi ricchi sono state deludenti.

Nessuna netta decisione in merito alla riduzione delle emissioni inquinanti, nessuna presa di posizione precisa riguardo agli impegni economici presi  per aiutare i Paesi più poveri a far fronte ai devastanti effetti dei cambiamenti climatici, impegni che non vengono adeguatamente rispettati.

Secondo il Presidente del Comitato Direttivo del PanAfrican Climate Justice Alliance, Agostino Njamnshi, la sopravvivenza del contenente africano dipende dall’impegno dei paesi più ricchi, responsabili delle emissioni che provocano i cambiamenti climatici, dei quali devo assumersi la responsabilità ed ai quali devono porre rimedio, senza farlo gravare sulle nazioni più povere che subiscono gli effetti ma non sono responsabili del danno.

Il PanAfrican Climate Justice Alliance, riunisce oltre 300 Associazioni non governative africane che si battono per il raggiungimento di accordi equi e che, in occasione della Conferenza sul Clima di Doha, si attendevano risposte che almeno per ora,  passata la prima settimana di conferenza, ancora non sono state date.

La situazione dell’Africa è preoccupante: non solo per l’inquinamento e per i suoi effetti lungo la catena alimentare che sono diffusi in tutto il mondo, ma anche e soprattutto, data la gravità e l’urgenza del problema, per l’aumento insostenibile della temperatura, che fa si che si creino sempre più stati di gravissima siccità.

La situazione dell’Africa è ovviamente resa più grave a causa della impossibilità economica di acquisire le tecnologie atta sia a mettere un freno che a gestire le spaventose conseguenze del surriscaldamento del nostro pianeta.

Giulia Orlando
5 dicembre 2012 

Fotosintesi potenziata

Le energie alternative, prime fra tutte l’energia solare, incontrano nella loro diffusione ed applicazione freni che sono principalmente di natura economica.

Per rendere più vantaggioso, anche in termini energetici, lo sfruttamento della energia solare, un gruppo di ricercatori del CNR di Bari ha creato e sperimentato un nuovo  un sistema di fotosintesi, molto più efficace rispetto a quelli fino ad oggi sperimentati.

Già da tempo infatti, attraverso la combinazione di elementi naturali e di molecole sintetiche, i ricercatori sono riusciti a potenziare ed a rendere più funzionale il processo di fotosintesi. Ma ancora l’efficacia non è soddisfacente, principalmente per le difficoltà di inserire l’antenna sintetica nel processo naturale di fotosintesi e nel lucus giusto, atto ad assorbire e a contenere l’energia emessa per il tempo necessario alla sua trasformazione.

Il cuore dell’apparato fotosintetico di un batterio è stato combinato con una molecola di origine sintetica che è in grado di assorbire luce in maniera più efficiente. Il funzionamento della fotosintesi,  infatti, è identico per tutti gli organismi che si alimentano attraverso l’assorbimento di luce solare: in superficie troviamo le  proteine e i pigmenti che svolgono la funzione chiave di “catturare” la luce e di incanalarla al centro effettivo di trasformazione, dove viene poi convertita in energia attraverso la scomposizione della molecola che, liberando un elettrone, produce un residuo di carica elettrica positiva.

E’ chiaro che per poter essere utilizzabile, lo stato di carica positiva deve poter essere mantenuto a lungo. Per prolungare la durata della carica, normalmente vengono utilizzati, accanto al cuore di fotosintesi naturale, i quantum dots, ovvero un sistema artificiale di assorbimento luce, costituito da nanostrutture realizzate con materiali semiconduttori.

I ricercatori del CNR di Bari hanno invece utilizzato, in luogo delle nanostrutture, composti  organici che possono essere naturalmente integrati con il cuore fotosintetico, senza alterarne il funzionamento e permettendo quindi di inserire questa sorta di antenna artificiale direttamente dei siti desiderati, tali da massimizzare l’efficacia della reazione.

Giulia Orlando
2 dicembre 2012

Ecomafie: il traffico illegale di legname minaccia il polmone verde terrestre

Risale al 1990, negli Stati Uniti la legge che regolamenta il traffico di fauna locale, una misura necessaria per sopperire alla via via crescente deforestazione che minaccia il polmone verde della terra.

La normativa è di introduzione relativamente recente nella Unione Europea e solo  nel 2008 è stata ampliata, includendo anche legno e carta.

Il regolamento della UE prevede protocolli specifici per le importazioni e si è messo a punto un piano per l’applicazione delle normative e per il regolamento del commercio dei prodotti che rientrano nel settore forestale.

Il protocollo ha, al centro, anche il controllo del traffico illegale del legname che occupa una percentuale oscillante dal 15 % al 30 % del traffico globale.

Le ecomafie internazionali sono entrate con forza nel traffico illecito del legno, con cifre che si attestano dai 100 ai 300 miliardi di dollari l’anno. Le specie oggetto di traffico illecito sono principalmente specie tropicali, il che contribuisce a far letteralmente scomparire intere foreste.

La difficoltà nel riconoscere i legnami rende difficile tracciarne la vera provenienza e rende più facile quindi la possibilità di sfuggire ai controlli. A fronte dei miliardi di dollari che ogni anno le ecomafie intascano, tanto che il traffico illecito di legname è diventato la terza fonte di introiti del traffico delle mafie internazionali, pochissimo  ovviamente spetta a chi vende gli alberi in zone che offrono condizioni di vita difficoltose: Amazzonia, Sud Est Asiatico ed Africa Centrale sono le zone vittime delle ecomafie, ma la progressiva riduzione del polmone verde terrestre rende, in realtà, vittima tutta la biosfera.

Secondo la direttiva europea, ogni paese dell’UE dovrà, entro il 2013, avere una unità di controllo. In Italia, ovviamente, tale unità di controllo fa capo al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

Al momento, sono in fase di  studio strumenti adeguati, che permetteranno di riconoscere la provenienza del legname e di verificare quindi la legittimità del passaggio di frontiera.

Giulia Orlando
29 novembre 2012 

Effetto serra: gas ad un nuovo massimo storico

Il rapporto dell’Organizzazione Metereologica Mondiale rivela che nel 2011 la concentrazione di CO2 ha raggiunto il record di 390,9 parti per milione, contro le 280 parti per milione dell’era preindustriale.

In continuo aumento, le emissioni di CO2 non sono però le uniche a salire: protossido d’azoto e metano sono anch’essi in continuo aumento. L’effetto è quello di un aumento del 30 %, dal 1990 ad oggi, del cosiddetto forzante radiante, l’effetto che impedisce la fuoriuscita delle emissioni riflesse di calore e causa un irradiamento forzato delle radiazioni e che è noto con il nome di effetto serra.

Fino ad oggi, a partire dal 1750, l’inizio dell’era industriale, sono stati emessi nell’atmosfera all’incirca 375 miliardi di tonnellate di Carbonio, principalmente sotto forma di CO2, molecola prodotta dalla combustione dei combustibili fossili. Circa la metà dell’anidride carbonica extra immessa nell’atmosfera a causa delle attività umane non viene non viene riassorbita e scomposta dagli oceani e dalla biosfera e resta quindi nell’aria generando ogni anno nuovi record che vengono rilevati dal WMO.

La situazione non potrà far altro che peggiorare: l’aumento di acidità delle acque oceaniche dovute all’assorbimento extra di anidride carbonica ha già ampliamente mostrato i suoi effetti sia sulla fauna e flora marine, con ovvie ripercussioni sull’intera catena alimentare, sia sulle barriere coralline che stanno via via degradando.

Nonostante questo, solo la metà delle emissioni extra viene assorbita, il resto rimane nell’aria, causando un progressivo riscaldamento del pianeta, con ovvi impatti su tutta la vita terrestre, e saranno necessari secoli per smaltirle. Come ha detto il segretario generale della WMO, Michel Jarraud, le ulteriori emissioni non potranno far altro che peggiorare la situazione già gravemente compromessa.

Sempre Jarraud, auspica un aumento delle capacità di monitoraggio e di comprensione degli effetti di questa iper produzione di gas, anche se è oramai evidente che il carbon sink è in grado di riassorbire solo la metà delle emissioni di Carbonio e a prezzo di gravi scompensi che si ripercuoteranno su tutta  la vita terrestre.

Giulia Orlando
27 novembre 2012 

Danni ormonali e rischio di degradazione cellulare nelle sostanze presenti nei capi di abbigliamento di 20 brand famosi

Attivisti Greenpeace davanti una sede della multinazionale Zara. Immergono tessuti normali all’interno di sostanze chimiche dannose per dimostrare ciò che si sta acquistando.

Lanciata da Pechino la denuncia di Greenpeace ai grandi marchi dell’abbigliamento. Secondo il rapporto della Associazione ambientalista i capi di abbigliamento che sono stati indossati contengono  nonilfenoli etossilati (NPE), sostanze che una volta rilasciate nell’ambiente, possono di nuovo  venire degradate in alchifenoli (AP), che sono tossici,, persistenti e bioaccumulabili per gli organismi acquatici.

I nonilfenoli etossilati vengono utilizzati nell’industria tessile, da qui la ricerca di Greenpeace che ha esaminato i capi di abbigliamento di 20 brand famosi.

Le analisi chimiche effettuate rilevano che tutti i brand presentano alcuni capi con presenza di NPE, i cui rischi sulla salute umana sono ancora in fase di studio ma, al momento, sufficientemente significativi da destare preoccupazione.

La valutazione dei rischi effettuata dalla Unione Europea  ha evidenziato pericoli significativi sia per il terreno, che per l’ambiente acquatico, che per gli organismi più complessi. Il pericolo evidenziato è quello di avvelenamento secondario, ovvero dovuto all’accumulo tramite la catena alimentare, mentre i rischi per l’uomo derivanti dalla esposizione diretta sono ancora in fase di studio alla commissione Ecotossicità ed Ambiente dell’UE, in quanto mancano ancora dati sufficienti per fare una valutazione certa.

Il rischio principale, si legge nel rapporto di Greenpeace, riguarda l’attività estrogenica, ovvero la capacità di imitare gli ormoni estrogeni naturali, cosa che potrebbe portare ad una alterazione dello sviluppo sessuale. Di tale alterazione, è noto un l’esempio di “femminizzazione” dei pesci rilevato dallo studio di Joblin et al. condotto nel 1995-96 e che nel 2002 hanno pubblicato ulteriori studi che collegano questo  anomalo sviluppo sessuale alla variazione significativa della fertilità dei pesci nei fiumi del Regno Unito

I pericoli più direttamente collegabili alla salute umana, vengono dallo studio di Chitra et al del 2002 che descrive effetti sulla funzione spermatica dei mammiferi, e dallo studio di Harreus et al. Del 2002, che descrive danni nel DNA dei linfociti umani.

Giulia Orlando
25 novembre 2012