I canti delle balene, una guida migratoria

Nella stagione degli amori, le megattere emettono canti che sono, per gli individui di sesso maschile in competizione fra di loro, il modo per attrarre le femmine.

La scoperta invece è stata che non cantano solo nella stagione degli amori ma anche quando viaggiano in cerca di cibo nel periodo che precede la migrazione.

Un nuovo studio, frutto di una ricerca i cui risultati sono stati pubblicati su PLoS ONE, effettuato dai ricercatori della US Naval Postgraduate School, della University of California-Santa Barbara e della Duke University tramite l’ utilizzo di multisensori che vengono applicati alle balene tramite sensori ha permesso di seguirne i movimenti subacquei in cerca di cibo e hanno permesso di registrare i canti che, in alcuni esemplari, erano in realtà molto simili ai canti che vengono registrati durante il periodo degli accoppiamenti.

Il canto non è solo finalizzato alla conquista della femmina, quindi, ma fa parte di un sistema di comunicazione assai più complesso: è infatti noto che, proprio tramite il canto, gli adulti usano scortare i piccoli lungo le grandi rotte migratorie.

La struttura dei canti emessi durante il periodo della riproduzione è molto diversa, e questo porta i ricercatori a pensare che questo sistema di comunicazione, ancor non ben compreso, possa essere in realtà molto più complesso di quanto fino ad oggi si era pensato.

Il fatto però che porta a riflettere è la somiglianza di alcuni dei canti registrati, in una zona dove il cibo è abbondante, con i canti della stagione degli accoppiamenti.

Questo potrebbe suggerire che, con l’acqua che non si ghiaccia per periodi più lunghi a causa del riscaldamento ambientale, le megattere potrebbero accoppiarsi anche fuori dai loro, caldi, tradizionali luoghi di accoppiamento, ovvero in una zona in cui, seppur senza migrare, verso la fine della stagione il cibo è ancora abbastanza abbondante e la temperatura dell’acqua non spinge alla migrazione.

Giulia Orlando
7 gennaio 2013

A “soli” 12 anni luce, pianeta abitabile attorno a Tau Ceti

Tau-CetiTau Ceti è una stella assai vicina e molto simile al nostro Sole, attorno alla quale ruotano 5 pianeti di cui uno si trova in una orbita paragonabile a quella terrestre. Sul pianeta è presente anche acqua allo stato liquido le condizioni astronomiche lo pongono, di fatto, fra i cosiddetti pianeti abitabili.

La scoperta è stata fatta dal team internazionale di astronomi presso la Università di Hertfordshire. Gli astronomi del team, provenienti da Australia, Cile, Regno Unito e Stati Uniti, hanno stimato la massa dei 5 pianeti che orbitano attorno a Tau Ceti come da due a cinque volte la massa del nostro pianeta. Tau Ceti è, al momento, il sistema planetario con massa planetaria più bassa fra quelli che sono stati rilevati.

Il pianeta che presenta acqua allo stato liquido in superficie, ha una massa superiore a quella terrestre di 5 volte ed è il pianeta più piccolo che si trova ad orbitare nella zona abitabile di una stella simile al sole.

Non è solo la scoperta del pianeta abitabile il frutto del lavoro degli scienziati del team.

Il gruppo di astronomi, infatti, ha messo a punto un nuovo sistema di rilevazione che permette di tracciare anche dati che prima non erano registrabili, mettendo a punto, di fatto, un nuovo e più sensibile sistema di ricerca e di esplorazione che permette di rilevare anche masse planetarie molto più piccole orbitanti attorno alle stelle.

Questo sistema rende possibile l’indagine e la scoperta di altri pianeti abitabili, non solo orbitanti in una zona adeguata attorno ad una stella simile al nostro Sole, ma anche comparabili come massa planetaria al nostro pianeta rendendo così possibile la scoperta di pianeti compatibili anche con le forme di vita superiori.

Giulia Orlando
3 gennaio 2013

Biodiversità in Italia: meno 176 specie

biodiversitàProsegue anche in Italia il declino della biodiversità: 176 specie scomparse, come rileva un rapporto del WWF che ha monitorato la biodiversità nella Rete Natura 2000.

La Rete Natura 2000 è la rete, creata dalla Unione Europea, di siti di interesse comunitario, i cosiddetti SIC, per preservare le specie animali e vegetali e preservarne, di concerto, anche i diversi habitat.

Da uno studio condotto su 77 siti di importanza comunitaria, che sono altrettante Oasi WWF, emerge che moltissimi habitat sono andati in realtà perduti: degli 84 habitat presenti in precedenza ne sono andati perduti ben 10, mentre delle 1107 specie censite in precedenza, di ben 176 non c’è più traccia.

Gli habitat che versano in condizioni peggiori di quanto rilevato in precedenza sono 75, mentre ben 791 sono gli habitat che dimostrano una situazione peggiore rispetto allo studio svolto in precedenza.

E’ indispensabile, dice il responsabile delle Reti ed Oasi WWF Andrea Agapito Ludovici, che l’elenco delle specie e la nomenclatura, tenuti presso il Ministero dell’ Ambiente, vengano aggiornati sia coni nuovi dati, sia con le nuove scoperte scientifiche.

Questi elenchi, non sempre in linea con le nuove scoperte, sono di fatto fondamentali per operare al meglio all’ interno della direttiva europea che impone di tutelare la biodiversità e gli ecosistemi locali.

Oltre all’aggiornamento degli elenchi da parte del Ministero dell’ Ambiente, è anche importante, sottolinea Andrea Agapito Ludovici, investire nella ricerca, puntando ad avere una conoscenza sempre più approfondita dei diversi habitat che ne permetterebbe una maggior tutela.

Solo utilizzando i dati aggiornati si può essere infatti in grado di valutare correttamente sia gli habitat che l’intera rete Natura 2000 e quindi di deliberare per tutelare al meglio la biodiversità nel nostro paese.

Giulia Orlando
30 dicembre 2012

Stati Uniti occidentali: la situazione idrica sempre più critica

acqua-campiPer il 2040 l’allarme per la crisi idrica che nella zona nord occidentale degli Stati Uniti si sta facendo sempre più grave rischia di arrivare ad un quadro decisamente scuro, con siccità talmente severe da richiedere necessariamente tagli nell’utilizzo dell’acqua.

La California, il Nevada ed il Texas sono gli stati più colpiti dalla riduzione della portata d’acqua dei fiumi che, entro il 2040, arriverà ad un meno 10%.

Il fiume Colorado, da cui dipendono circa 40 milioni di persone, con un tale diminuito afflusso metterebbe in gravissima crisi non solo l’agricoltura, già duramente provata dalle diffuse siccità, ma anche le città e si potrebbero rendere necessarie politiche di ottimizzazione dell’uso delle risorse idriche.

Non è uno dei soliti allarmi: lo studio, basato su un lavoro del 2007, conferma  non solo l’aumento delle temperature, ma verifica che la portata di acqua dei fiumi sta effettivamente calando in linea con gli andamenti previsti dallo studio del 2007.

Non solo il surriscaldamento globale, ma anche i cambiamenti climatici favoriscono questi stati estremi, alterando il ciclo naturale dell’acqua e causando gravissimi cali dei livelli di piovosità media.

E’ un campo in realtà ancora del tutto da esplorare, sebbene i modelli matematici sviluppati per stime e previsioni abbiano già abbondantemente dimostrato la loro validità e che, nelle stime, eccedono semmai per difetto. Secondo lo studio pubblicato nel 2007, il calo del livello delle acque si sarebbe assestato attorno al 9%, mentre il nuovo modello, che comprende gli ulteriori nuovi dati raccolti in questi ultimi anni, non solo porta la stima ad un -10%, ma anticipa tale calo di ben 20 anni, a dimostrazione che la tendenza rimane invariata, mentre la velocità di variazione della situazione climatica è in continua accelerazione e, tutt’ora, è ancora sottostimata.

Giulia Orlando 
28 dicembre 2012

Siccità in USA: emergenza allevamenti

siccitàLa grave siccità che ha colpito la parte nord occidentale degli USA e che ancora non accenna a rientrare, non solo ha scatenato una impennata di prezzi di alcune derrate alimentari sul mercato mondiale, ma continua a farsi sentire ed a pesare proprio sulle tasche degli agricoltori.

I riflessi sui mercati esterni sono diluiti e possono essere accorpati anche ad altri fattori, mentre il mercato interno USA risente violentemente proprio di questa impennata.

La siccità ha portato ad un calo della produzione agricola, con conseguente impennata, anche sul mercato interno, dei prezzi  dei cereali e, in particolare, di mais e fieno, impennata che sta mettendo in crisi il comparto dell’allevamento, in particolare quello ovino.

La siccità ha devastato le coltivazioni rese a pascolo e ucciso giovani agnelli, mentre contestualmente aumentavano in modo drastico sia il prezzo del mais che il prezzo della benzina.

La situazione metereologica, che rimane tuttora grave, è potenzialmente nefasta per tutte le aziende agricole, non solo quelle delle zone colpite da siccità.

La spirale non si ferma ai soli Stati Uniti, perché i riflessi sul costo di mais e grano sul mercato internazionale sono stati immediati e, al momento, non accennano a recedere.

Non in grado di mantenere le greggi, molti allevatori hanno diminuito il numero dei capi vendendo sotto costo, in una ulteriore spirale discendente a cui, in aggiunta,  ha contribuito anche l’aumento della importazione di carne dalla Nuova Zelanda.

Ma l’allarme diventa  globale se si pensa che, a livello mondiale, solo 4 grandi società controllano circa il 65% del mercato degli agnelli e l’85% del mercato delle vacche, cosa che rende possibile per poche, grandi multinazionali, un controllo completo del prezzo di mercato con ovvi risvolti anche a livello mondiale.

Giulia Orlando
27 dicembre 2012

Biocarburanti: l’UE prende atto delle contraddizioni

biocarburantiI biocarburanti nono sono poi così sostenibili: ne prende atto la Unione Europea che potrebbe modificare le direttive che ne prevedono l’incentivazione.

Nati come soluzione proposta per ridurre l’inquinamento e le emissioni che sono la causa dell’effetto serra, erano state approvate direttive per incentivare il loro utilizzo che sembra saranno riviste.

Per coltivare biocarburanti, infatti, in molte zone si stanno utilizzando aree che erano precedentemente aree con boschi o praterie.

Gli incentivi offerti dalla Unione Europea avevano aumentato l’utilizzo di biocarburanti portandone la domanda al 3% e quindi in linea con le aspettative della direttiva UE.

Ma l’aumento della domanda di biocarburanti porte ad un disboscamento ed ad un cambio di destinazione di diverse tipologie di suolo, cambio di destinazione che, in special modo per le aree boschive eliminate per fare posto a vaste aree dedicate alla coltivazione intensiva, causano con la loro perdita una riduzione proprio della capacità di assorbimento della anidride carbonica il cui eccesso è proprio la causa che provoca l’effetto serra contro cui i biocarburanti dovrebbero essere utilizzati.

Non solo aree boschive, ma anche grandi zone di prateria che, dedicate alle coltivazioni intensive, non solo perdono la biodiversità ma provocano un impoverimento progressivo del suolo.

Le coltivazioni su larga scala in generale sono comunque completamente in antitesi proprio con la sostenibilità, sia per la necessità di incanalare grandi quantità di acqua per irrigare, sia per l’eliminazione, de facto, degli habitat locali, prima vegetali e di conseguenza anche animali.

Lo sviluppo sostenibile insomma, è un concetto complesso che non sempre è facile declinare. Molte anzi sono le contraddizioni che piano piano stanno venendo alla luce e che, sempre più spesso, portano molte grandi menti sia in ambito scientifico che in ambito politico a dubitare che sviluppo e sostenibilità possano davvero essere coniugati in una unica frase.

Giulia Orlando
24 dicembre 2012

Pasta asciutta a rischio?

granoI cambiamenti climatici che, in molte aree, sono causa diretta di gravi danni alla agricoltura, stanno mettendo a rischio le coltivazioni di grano.

Ne parla il giornalista Mark Hertsgaard dalle colonne del Newsweek: l’allarme siccità coinvolge l’intero pianeta e senza drastici provvedimenti contro il riscaldamento globale, anche la pasta è a rischio.

Non solo la pasta ovviamente: ad essere a rischio sono infatti le coltivazioni di grano, sempre più colpite dall’aumento delle temperature, dalle tempeste e dalla siccità che, secondo i più recenti studi, sono fenomeni che si prospettano essere in continuo aumento.

Il giornalista ha ricordato anche gli effetti degli uragani Sandy e Katrina, a dimostrazione del fatto che le condizioni climatiche estreme provocate dal surriscaldamento possono diventare gravissime e pericolose.

Il cuore dell’ articolo di Hertsgaard è il collegamento fra i cambiamenti climatici indotti dall’uomo e la capacità stessa dell’uomo di sopravvivere e di alimentarsi.

Grano, riso, mais: tutti sono soggetti agli effetti dei cambiamenti climatici, ma a soffrirne di più è il grano, minacciato in quanto fortemente sensibile all’aumento delle temperature.

Il professor David Lobell, professore per la sicurezza alimentare e l’ambiente alla Stanford University, ha pubblicato uno studio secondo cui l’aumento della temperatura globale, negli ultimi 50 anni, di circa un grado, ha causato un calo del 5,5 % nella produzione di grano.

Gli studi compiuti dall’IFPRI, l’ International Food Policy Research Institute, hanno portato alla previsione di una diminuzione della produzione fra il 23 % ed il 27 % entro il 2050, se non verranno adottate misure atte a limitare l’aumento delle temperature.

La siccità che ha colpito gli Stati Uniti, dovuta al caldo record del 21012, continua ad interessare il 60 % degli USA ed il drastico calo di resa di mais e soia ha provocato un brusco aumento dei prezzi degli alimenti in tutto il mondo.

Il problema quindi, non è così remoto come potrebbe sembrare.

Giulia Orlando
22 dicembre 2012