La saliva come nuovo marcatore per il tumore al pancreas

saliva come marcatore del tumore al pancreas
Mediante la saliva si può ottenere un marcatore per la diagnosi del tumore al pancreas.

Una ricerca condotta dall’Università della California e pubblicata su Gut, ha evidenziato come dalla flora batterica del cavo orale si potrebbe ottenere un nuovo marcatore per individuare il cancro al pancreas.

Nella saliva dei pazienti colpiti da tumore al pancreas si registra una riduzione di 31 specie batteriche tra cui Neissseria elongata e Streptococcus mitis, mentre al contraio altre 25 specie fanno registrare un aumento batterico rispetto ai valori normali. Ancora è da chiarire se il fenomeno rappresenta la causa o l’effetto dell’insorgere della neoplasia, la quale sembra svilupparsi molto lentamente all’interno dell’organismo, stando ad un’altra ricerca dell’Howard Hughes Medical Institute e della Johns Hopkins Univerisity.

Sembra che il tumore impieghi fino a 20 anni per manifestare i segni più evidenti e secondo i ricercatori, la scoperta, pubblicata su Nature, potrebbe presto trasformarsi in un vantaggio a livello di diagnosi precoce di questa forma di neoplasia, una delle più mortali che stima più del 95% dei decessi. E’stato preso in esame il corredo genetico dei tumori pancreatici primari e delle metastasi, analizzando una ad una tutte le mutazioni genetiche correlate allo sviluppo del cancro.

I tumori metastatici mostrano circa 61 mutazioni; nei due terzi dei casi, le  mutazioni stessi sono presenti anche ad uno studio precoce della malattia. Se consideriamo che ogni modificazione genetica impiega diversi anni per condurre al formarsi della neoplasia, i ricercatori hanno stabilito un orologio biologico secondo il quale la media per il passaggio dalla cellula corrotta al tumore è di 11,7 anni e dalla localizzazione del tumore nel pancreas ad altri organi ne passano in aggiunta altri 6,8. A queste cifre si devono aggiungere altri tre anni prima della morte del paziente. Questa scoperta, ad ogni modo, è un passo avanti, sapere che la maggior parte dei tumori al pancreas si sviluppa molto lentamente da una finestra temporale più ampia per la diagnosi precoce.

Puya raimondii

Puya raimondii bromeliacea
Puya raimondii.

Indicata come “vulnerabile” nella Lista Rossa del 1997, la Puya raimondii la più grande specie di bromeliacea conosciuta, vive sulle Ande: quando fiorisce la pianta raggiunge la straordinaria altezza di dieci, dodici metri, mentre la sua infiorescenza misura 2,4 metri di larghezza.  Queste piante spettacolari crescono bene in ambienti con pieno sole e in ambienti umidi, ad altitudini di quattromila metri e oltre.

È monocarpica, cioè fiorisce e fruttifica solo una volta nella sua vita e poi muore senza produrre germogli (si riproduce solo attraverso il seme). La Puya raimondii detiene il record della fioritura più tardiva: secondo la leggenda per fiorire la pianta impiegherebbe centocinquanta anni, ma alcune stime recenti hanno ridotto la sua età matura a ottanta-cento anni. Dall’agosto al novembre del 1986 presso l’orto botanico della University of California di Barkeley è fiorito un esemplare seminato solo ventotto anni prima, probabilmente grazie al clima più mite.

In Bolivia, dove la specie  vanta una distribuzione particolarmente vasta, è stato varato un piano di conservazione.

La Puya raimondii fu scoperta da Antonio Raimondi, uno scienziato e botanico che scrisse: “Il botanico che ha la fortuna di sorprendere queste insolite e straordinarie piante nel corso della loro fioritura non può far altro che fermarsi per qualche tempo e contemplarne estasiato la meravigliosa bellezza”. Erroneamente Raimondi, tenendo in considerazione lo sviluppo in altezza della pianta, suppose e dedusse che fosse una pianta appartenente alla specie Pourretia e così la battezzò Pourretia gigantea.

Il botanico Harms in seguito la riclassificò come una bromeliacea  ascrivibile al genere Puya e la denominò Puya raimondii Harms, in omaggio al naturalista italiano.

Scoperta solo nel XIX secolo, questa bromeliacea viene tuttavia considerata una delle specie più antiche del mondo ed è spesso definita “fossile vivente”.

Con la sua rosetta di foglie coriacee e cerose dagli apici spinosi, la Puya raimondii rappresenta uno spettacolo eccezionale anche quando non è in fiore. La rosetta spinosa, che cresce fino a tre metri di altezza, offre riparo a molte specie di uccelli, che nidificano tra le sue foglie. Queste piante fioriscono spesso in gruppo, decorando i versanti delle montagne con i loro straordinari steli appuntiti.

Questa bromeliacea produce la più grande infiorescenza conosciuta: con le spighe , ciascuna composta da oltre ottomila fiori, costituisce uno spettacolo esaltante e unico da osservare. La pianta ha una fioritura che dura in genere tre mesi, durante i quali viene impollinata da ben diciassette specie di colibrì.

Adele Guariglia

 

Il cervello continua la crescita superati i 20 anni.

Uno studio dell’Università di Aberta, in Canada, pubblicato sul Journal of Neuroscience, ha evidenziato come il cervello non smette di crescere anche dopo cervelloi 20 anni, le esperienze nuove e le acquisizioni di conoscenza comportano un aumento delle sinapsi neuronali.

I vari collegamenti tra una cellula ed un’altra sono capaci di trasferire informazioni in diverse aree dell’encefalo. Viene definita anche plasticità neuronale, cioè caratterizzata dai neuroni, grazie ai quali gli apprendimenti che giungono dall’esterno sono in grado di modificare la struttura del nostro cervello.

Il periodo in cui questo fenomeno è maggiormente rappresentato è quello dai 3 ai 4 anni, l’adolescenza ed ora anche dopo i vent’anni. I ricercatori hanno analizzato 221 scansioni cerebrali di risonanza magnetica di soggetti sani di età compresa tra i 5 ed i 32 anni rilevando che il SNC dei giovani adulti persiste nello sviluppare reti neurali, come le connessioni del lobo frontale e area cerebrale legata a funzioni superiori complesse.

Secondo gli studiosi questo fenomeno è da associare al nuovo bagaglio di esperienze al quali i giovani di età intorno ai 20 anni vanno incontro oggi, dovendo affrontare il mondo del lavoro o nuove modalità di studio, come quelle proposte dalle varie Università e relazioni sociali ed affettive nuove e sconosciute. Questo studio dà importanza alla prevenzione sul possibile uso o abuso di sostanze che possono creare dipendenza anche in età oltre l’adolescenza, visto che anche dopo i 20 anni c’è una crescita e un rimodellamento del cervello che verrebbe intaccato dall’assunzione di sostanze in abuso.

Le proteine accellerano il metabolismo

Per dare una mossa al metabolismo e farlo funzionare più velocemente sono più indicate le proteine piuttosto che gli zuccheri. E’ quanto si evince da una ricerca dell’Università di Cambridge che mette in discussione uno dei tanti principi delle diete ipocaloriche, infatti, molti nutrizionisti inseriscono gli alimenti dolci per stimolare il metabolismo a bruciare più calorie ma a quanto pare non è un metodo che funziona fino in fondo. La ricerca pubblicata su Neuron ha dimostrato l’effetto stimolante dell’orexina o ipocretina, la cui mancata o scarsa secrezione può portare anche alla narcolessia e determinare problemi di peso. I ricercatori, grazie ad alcune sperimentazioni, hanno scoperto che alcuni amminoacidi, in particolare quelli dell’albume d’uovo, riescono a stimolare i neuroni che lasciano orexina in quantità maggiore rispetto tanti altri cibi. Sembra che l’elemento chiave sia l’attività inibitrice del glucosio sulle cellule che scernono orexina.

“Quello che è interessante è che disponiamo di un modo per sintonizzare le cellule cerebrali su uno stato di maggiore o minore attività nel decidere che cosa mangiamo. Non tutte le cellule del cervello sono attivate in modo banale da tutti i nutrienti: la composizione della dieta è fondamentale. Per combattere l’obesità e l’insonnia nella società di oggi, abbiamo bisogno di maggiori informazioni sul modo in cui la dieta influisce sulle cellule che regolano il sonno e l’appetito. Per ora, la ricerca suggerisce che se possiamo scegliere tra la marmellata sul pane tostato e dell’albume sul pane tostato, meglio optare per quest’ultimo! Anche se entrambi contengono lo stesso numero di calorie, un po’ di proteine indurranno il corpo a bruciare più calorie di quelle consumate”,ha così spiegato Il dott. Denis Burdakov, coordinatore della ricerca.

L’aglio aiuta chi deve affrontare un intervento chirurgico

Una ricerca della Emory University School di Atlanta negli USA afferma che chi ha subito un infarto o sta per affrontare un intervento chirurgico potrebbe trovare benefici da un composto che è presente all’interno dell’aglio. Sembra che il trisolfuro di allile, un componente che si trova nel bulbo dell’aglio, induce la produzione di idrogeno solforato, gas che in concentrazioni limitate assicura la corretta irrorazione sanguina dei tessuti evitando la necrosi. Sperimentata su un modello murino, la sostanza si è rilevata in grado di contenere i danni dei tessuti di quasi il 70% in più rispetto al campione usato per il controllo ed inoltre, i ricercatori hanno dimostrato che l’idrogeno solforato si può assumere per via orale. Un’altra ricerca condotta da alcuni studiosi britannici ha invece indagato sui benefici indotti dall’aglio sulle articolazioni verificandone un effetto protettivo verso l’osteoartrosi all’anca. La suddetta ricerca è stata pubblicata sulla rivista BMC Musculoskeletal Disordes ed anche in questo caso il solfuro di allile ha determinato l’effetto benefico con una riduzione degli enzimi che aggrediscono la cartilagine. Grazie a queste scoperte, Frances Williams, uno degli autori della ricerca, ipotizza la possibilità di nuovi trattamenti per prevenire l’osteoartrosi all’anca; il solfuro di allile è la sostanza che da quel sapore specifico all’aglio ed è presente anche in altre piante della stessa famiglia come le cipolle, il porro, lo scalogno e l’erba cipollina.

I pendolari sono facili allo stress

Lo stress da pendolare esiste, toglie sonno e può fare ammalare, questo è quanto conferma uno studio che ha misuratopendolari secondi i parametri dell’oggettività scientifica quello che l’esperienza quotidiana insegna a tante persone.

Secondo un maxi-studio americano, realizzato dal team di Jonathan Patz, direttore del Global Health Institute dell’University of Wisconsin-Madison (Usa), basterebbe sostituire l’automobile con la bicicletta nei viaggi da casa in ufficio per avere degli importanti effetti benefici per la salute nonché un considerevole risparmio di mancate spese mediche.

Secondo le ricerche basta sostituire almeno metà dei brevi viaggi con spostamenti in bici nei sei mesi più caldi dell’anno per ridurre il sovrappeso e le cardiopatie. Dunque sembra che chi lamenta problemi di salute legati ai continui viaggi non è un malato immaginario, i disturbi più diffusi sono ansia, nervosismo ed insonnia. Uno studio svedese dell’Università di Lund su 21mila lavorati tra i 18 e i 65 ha evidenziato come chi si muove in auto, in treno o in autobus stia peggio di chi lavora quasi vicino casa da potersi permettere una passeggiata o la bicicletta per recarsi sul posto di lavoro.

Infatti, a tutti coloro che impiegano ore per andare a lavoro è consigliata l’auto e non l’autobus che risulta essere più stressante. “I pendolari che utilizzano l’auto per viaggi di 30-60 minuti soffrono più di quelli che passano al volante oltre un’ora per ogni singolo spostamento”. E’ quanto viene affermato da un ricercatore svedese, che sottolinea come i risultati non dimostrano che il pendolarismo di per sé provochi problemi di salute, ma che serviranno ulteriori ricerche per confermarlo. Sicuramente camminare a piedi o in bici è un toccasana per nostra salute.

La depressione può essere sintomo di un malfunzionamento tiroideo

Si calcola che sono ben 6 milioni le persone affette da patologie tiroidee e che la popolazione più colpita sia quella femminile. Molti trascurano i sintomi di una patologia legata al malfunzionamento della tiroide che spesso sfocia in altre problematiche che col passare del tempo creano delle situazioni dove è più complicato intervenire. La tiroide gioca il ruolo primario della gestione degli ormoni che a loro volta hanno un’altrettanto ruolo primario nel regolare le diverse funzionalità del nostro organismo. Non stupisce perciò che alla base di disfunzioni e malattie ben lontane dalla tiroide, possa esserci proprio un suo mal funzionamento. Per esempio è ormai certa la relazione tra depressione e tiroide, o più specificamente tra i sintomi depressivi di un certo tipo legati al cattivo funzionamento della tiroide. E’ questo uno dei primi e tanti segnali che la tiroide ci lancia per dirci che qualcosa non va. Molti dicono che è normale sentirsi depressi nella vita, possono esserci dei momenti “no”, ma la verità è che non bisogna mai trascurare questa patologia che va curata psicologicamente o psichiatricamente a seconda della gravità della situazione, fino anche a sostenere dei controlli sulla funzionalità della tiroide o le sue possibili malattie. I ricercatori hanno evidenziato che la depressione può dipendere da fattori chimici alterati nel cervello provocate da alterazioni ormonali,  da eventi della vita o dalla combinazione di entrambi i fattori.
Modificazioni dei livelli ormonali degli estrogeni e del progesterone, sembrano avere un importante effetto sulla condizione psicologica della persona.
Soprattutto nella donna la depressione è più frequente durante le fasi della vita visto che si verificano vari cambiamenti ormonali: pubertà, parto, meno pausa e ciclo mestruale.
Ma è vero anche il contrario, ovvero che stress emotivi e disturbi dell’umore possono provocare alterazioni ormonali nella donna. La cosa certa è che gli ormoni sono una delle cause principali della depressione, quindi è bene controllare spesso la funzionalità della tiroide per prevenire possibile patologie psicologiche nonché fisiche più gravi. Un check-up annuale è ben consigliato in questo caso.