Allarme obesità: è il momento di agire

Contrariamente a quanto molti genitori pensano, combattere l’obesità non significa solo nascondere le merendine, il cibo spazzatura e non permettere al figlio di bere bibite gasate. Significa invece educare fin dai primissimi anni di età il bambino, quando egli stesso inizia a  maturare la capacità di regolare il metabolismo sia a breve sia a lungo termine, in modo da evitare che poi, in età più avanzata, possa soffrire di diversi disturbi tra cui il sovrappeso, il  diabete, l’ipertensione, le malattie cardioischemiche, le allergie e le osteoporosi.

In particolare, il fenomeno dell’obesità sta raggiungendo cifre allarmanti, tanto che, si potrebbe tranquillamente usare il termine “epidemia”: nel mondo, sono ben 43 milioni i bambini al di sotto dei 5 anni che sono in sovrappeso. In Europa 1 bambino su 5 è colpito e, secondo i dati raccolti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’obesità in Europa è responsabile del 2-8% dei costi sanitari e del 10-13% dei decessi. Nel nostro Paese i bambini colpiti sono oltre un milione, e 400mila sono considerati obesi.

É del tutto errato considerare come fattore negativo solo ed esclusivamente il cibo: la salute del bambino non è solo influenzata da componenti biologici, ma anche dall’ambiente in cui vive e dai genitori stessi. Sia la madre che il padre, infatti, sono due figure chiave per l’insegnamento non solo ad una sana alimentazione, ma anche ad un corretto regime di vita. Ciò significa dormire le ore sufficienti, che corrispondono a  14-16 ore  per il lattante; 12-14  da 1 a 3 anni; 11-12 nell’infanzia e 9-10 adolescenza e non trascorrere troppe ore davanti allo schermo della TV o del computer (si parla di massimo 2 ore al giorno, e lo strumento non deve essere in camera dei bambini).

Come scientificamente dimostrato da numerose ricerche, il tempo trascorso davanti alla televisione può poi provocare un eccessivo interesse verso la pubblicità dei fast food, come ad esempio McDonald’s e Burger King, e quelle delle merendine da consumare come snack pomeridiano.

Infine, la raccomandazione forse più scontata, riguarda lo sport: è importante che il bambino, una volta compiuti i 5 anni, svolga almeno un’ora al giorno di attività fisica, sia essa camminare, fare sport o nuotare.

Basili Davide
29 novembre 2012

SIP: tutti per uno, uno per tutti contro l’obesità infantile

Sabato 17 novembre 2012, in 12 città italiane, si è svolta la seconda edizione degli “Stati Generali della Pediatria”, promossa dalla Società Italiana di Pediatria (SIP).

Il tema, quest’anno, è stato “Nutrizione e salute dal bambino all’adulto”, ed è stato molto discusso dai vari organi che hanno partecipato all’iniziativa, tra cui “Slow Food”, con cui la SIP sembra aver instaurato una solida collaborazione.

Lo scopo dell’evento era quello di mettere in risalto l’importanza di riuscire ad adottare una corretta nutrizione ed uno stile di vita salutare fino dai primi anni di vita. Questo per prevenire gravi malattie nell’età adulta, che possono anche portare ad un vero e proprio stato di invalidità della persona in questione.

Per contrastare l’obesità la Società Italiana di Pediatria ha lanciato una Campagna di Educazione nazionale, “Mangiar bene conviene”, che è stata realizzata in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS). Questo ente  coinvolge pediatri, genitori e istituzioni scolastiche al fine di diffondere sia nelle famiglie, sia tra gli educatori delle scuole materne e primarie, i rischi che si corrono nel momento in cui si diventa schiavi del cibo e non si riesce più a farne a meno. L’importanza di un programma che illustri in modo approfondito ai  pediatri i rischi legati alle abitudini alimentari in età infantile, e ai genitori come intervenire in tempo, studiando una strategia per risolvere il problema, è fondamentale per contrastare questo fenomeno che, ogni anno, fa sempre più vittime.

Come sottolinea  Alberto G. Ugazio, Presidente della Società Italiana di Pediatria: “Solo con uno sforzo congiunto si può contrastare l’epidemia di obesità che sta interessando l’infanzia. L’obesità è diventata un problema di salute pubblica”.

Davide Basili
27 novembre 2012 

Vitamina C: in gravidanza protegge il bambino dai danni celebrali

Secondo uno studio effettuato presso l’Università di Copenaghen, assumere vitamina C durante la gravidanza serve a proteggere il bambino da eventuali disturbi celebrali. È quindi fondamentale mangiare, ad esempio, ribes, kiwi, arance, mandarini, peperoni, broccoli e cavoli, che diventano cibi indispensabili non solo per una dieta sana e variegata, ma anche per un sano sviluppo del feto.

Il test che è stato svolto su un gruppo di porcelline d’India incinte, il cui organismo, come quello umano, non è in grado di produrre vitamina C, ha dimostrato che, durante il periodo di gestazione, è fondamentale prestare attenzione al cibo che si assume. Come spiega  Jens Lykkesfeldt, che ha condotto lo studio: “Anche una marginale carenza di vitamina C nella madre può arrestare la crescita dell’ippocampo fetale, il centro della memoria, del 10-15%, impedendo al cervello uno sviluppo ottimale”. Dati, questi, da non sottovalutare, visto che i danni celebrali provocati dall’assenza della vitamina in questione sono riparabili solo dopo la nascita,  e i i rischi in cui ci si deve imbattere, a volte, non sono pochi.

La vitamina C, infatti, oltre ad essere un potente antiossidante, contribuisce attivamente alla sintesi dei tessuti, aumenta la resistenza alle infezioni e gioca un ruolo fondamentale nella crescita dei denti e delle ossa.

Un buon kiwi fresco al mattino, per iniziare la giornata, una macedonia che sazia o un’insalata di peperoni, inoltre, così come ogni cibo contenente la vitamina, possono ridurre il rischio di sviluppare infezioni del tratto urinario durante i 9 mesi.

Davide Basili
20 novembre 2012

Scoperte le “pinzette” per curare l’Alzheimer

Raffigurazione di neuroni in condizioni fisiologiche (a sinistra) ed affetti dal morbo di Alzheimer (destra).

Nuove scoperte legate alla cura dell’Alzheimer, e questa volta, c’è anche il contributo dell’Italia. I ricercatori dell’Università  Cattolica di Roma-Policlinico Gemelli e quelli dell’Università di Los Angeles (UCLA) hanno collaborato insieme ad uno studio sullo sviluppo di alcuni farmaci in grado di combattere la perdita della memoria in età senile.

L’Alzheimer, che oltre alla progressiva perdita della memoria porta anche ad un deterioramento delle capacità cognitive, colpisce oltre 36 milioni di persone, cifra che, secondo studi specifici, nel 2050 arriverà a superare i 115 milioni. Il fattore principale che porta a questa demenza è il peptide beta-amiloide, sostanza che ha come bersaglio le sinapsi, ovvero quei ponti di comunicazione che si creano tra i neuroni e che sono fondamentali per le funzioni di apprendimento e memoria.

La ricerca italo-americana, pubblicata sulla rivista scientifica on-line “Brain”, dimostra che il team condotto dal binomio Claudio Grassi, direttore dell’Istituto di Fisiologia umana della Cattolica, e Gal Bitan, della UCLA, ha individuato la  CLR01, ovvero una molecola a forma di pinza che sarebbe in grado di afferrare e neutralizzare gli aggregati di proteine tossiche che  si accumulano nel cervello dei pazienti, e che, avvelenando i neuroni, causano l’Alzheimer.

Questa “pinzetta”  è già stata sperimentata con ottimi risultati sui topi  geneticamente modificati con disturbi neurologici simili a quelli della malattia umana. È stato dimostrato che, la CLR01 attaccandosi alle proteine responsabili dell’Alzheimer, ne previene e ne contrasta gli effetti neurotossici. Gli animali non hanno presentato alcun segno di tossicità, quindi “questi studi aprono la strada a nuove prospettive terapeutiche per la malattia neurodegenerativa che rappresenta oggi la principale causa di demenza nell’uomo” spiega Grassi.

Davide Basili
16 novembre 2012

Epatite C: rischio di contrarla anche dall’estetista

Le donne amano la cura del proprio corpo, in particolare delle mani, e proprio per questo gli appuntamenti più richiesti dall’estetista sono quelli per la manicure. Come nel caso di piercing e tatuaggi, è fondamentale rivolgersi a dei veri esperti qualificati, perché l’abbellimento delle unghie, se condotto in modo errato e poco professionale, può esporre a epatite C. Il virus, infatti, potrebbe trasmettersi attraverso gli strumenti non sterilizzati che l’estetista poco seria usa con diverse clienti, invece di quelli monouso usa e getta, esattamente come può succedere per i tatuatori o per chi fa i piercing, passando l’epatite C da un soggetto ad un altro attraverso un semplice foro di siringa o ago.

Inoltre, altro fattore decisamente importante, è l’ambiente in cui è ospitata la struttura: se non igienicamente protetto o a norma, come sottolinea il presidente della Fondazione italiana ricerca in epatologia Antonio Gasbarrini: “La diffusione del virus C si argina fondamentalmente con il massimo rispetto delle norme igieniche”. E, parlando di prevenzione, spiega: “È fondamentale anche la diagnosi precoce e il trattamento con le terapie antivirali. La negativizzazione del virus è infatti la vera modalità per bloccare l’evoluzione della malattia ed evitarne la diffusione. Un test di laboratorio banale come le transaminasi può essere un’eccellente ed economica modalità per individuare soggetti con epatite, meritevoli di approfondimenti diagnostici”.

Sottovalutare certi aspetti in cui il contatto con un’altra persona è molto stretto, come può esserlo il fatto di condividere con il proprio compagno lo spazzolino per i denti o le spazzole da bagno, può essere pericoloso per la propria salute. Si consideri che, nel momento in cui vi è anche solo una minima lesione alle gengive, alle mucose o alla cute, questi strumenti usati in due si rivelano poi contaminati.

Davide Basili
12 novembre 2012

Sistema solare: datata la formazione di nuovi materiali

Alcuni dei pianeti presenti nel sistema solare

Più di 4500 miliardi anni fa, un disco espansivo composto da gas e polveri, orbitando attorno al sole, generò i pianeti del nostro Sistema Solare, le cui fasi di formazione sembravano aver impiegato il doppio del tempo rispetto agli altri Sistemi più recenti della Via Lattea.

Per anni, quindi, studiosi e scienziati pensavano che ci fosse un qualcosa di speciale riguardo al nostro Sistema, ma una nuova ricerca condotta in Danimarca sembra dimostrare che, in realtà, di speciale c’è ben poco. Secondo uno studio svoltosi presso il Centro per la formazione delle stelle e dei pianeti del Museo di Storia Naturale Danese, in collaborazione con l’Università di Copenhagen, pare che le meteoriti primitive siano composte da materiali molto più antichi di quelli del nostro Sistema Solare.

I ricercatori, il cui lavoro è appena stato pubblicato sulla rivista scientifica “Science”, hanno potuto osservare da vicino i primi tre milioni di anni dello sviluppo del Sistema ricorrendo all’uso di analisi degli isotopi dell’uranio e del piombo. Grazie anche ad un attuale studio su alcune meteoriti primitive, il team è riuscito a datare la formazione di due diversi materiali trovati all’interno dello stesso meteorite, ovvero le cosiddette inclusioni ricche di calcio e alluminio (CAI) e i condruli.

Per quanto riguarda le CAI, la ricerca ha confermato le analisi degli studi precedenti, ovvero che queste risultano essersi formate in un periodo molto breve. La novità che emerge, invece, riguarda i condruli, che sembrano essersi formati nel corso dei primi tre milioni di anni dello sviluppo del Sistema Solare. Una rivelazione importante, considerato che le ipotesi precedenti sostenevano che i condruli si fossero formati circa due milioni di anni dopo le CAI.

A tal proposito, James Connelly, del Centro per la formazione di stelle e pianeti, ha affermato: “Usando diversi processi di per datare la formazione di questi due tipi di sostanze, non abbiamo solo alterato la cronologia dello sviluppo del nostro Sistema Solare, ma abbiamo anche dipinto una nuova immagine relativa alla nascita del sistema stesso. Immagine che è molto simile a quella che è stata osservata in merito ad altri sistemi planetari”.

Molti astronomi, in passato, continuavano a chiedersi perchè i condruli si fossero formati dopo le CAI, e non sono mai riusciti a trovare risposte plausibili. Questa ricerca, finalmente, sembra offrire la risposta tanto attesa: si tratta di un dato falso, non è vero che si sono formati dopo.

Il professor Martin Bizzarro, direttore del Centro dove si sono svolte gli studi, ha commentato: “Abbiamo dimostrato di non essere poi così unici, come pensavamo un tempo. Il nostro Sistema Solare è molto simile ad altri sistemi che sono stati osservati all’interno della nostra Galassia. Per questo, i nostri risultati avvalorano quelli ottenuti da altre ricerche: nell’Universo, i pianeti simili alla Terra sono molto più diffusi di quanto si credesse”.

Davide Basili
5 novembre 2012