Sul sisma del 21 giugno in Lunigiana e Garfagnana

Scritto da:
Leonardo Debbia
Durata:
1 minuto

terremotoStavo accingendomi a mangiare, ieri, alle 12.30 o giù di lì, quando il tavolo ha tremato un poco, e la sedia con lui. Ho guardato la mia nipotina, seduta accanto a me, che non stà un momento ferma, convinto che fosse lei la causa del movimento. E’ stato qualche attimo e ho realizzato che era la stanza ad essere percossa da un brivido.

L’avevo avvertito tante altre volte, quando abitavo in Garfagnana, molti anni fa, negli Sessanta e negli anni Settanta.

Erano scosse più forti di quella di ieri, qualche volta le stoviglie cadevano dalle vetrinette e i fili con le lampadine appese, tesi da un lato all’altro della strada, vibravano su e giù per decine di minuti. Altre volte era un rombo come se un camion transitasse sotto le mie finestre.

Cosa è cambiato da allora? Cosa è stato fatto finora?

Dagli anni Ottanta, dopo l’istituzione della Protezione Civile e della Commissione Grandi Rischi, in Garfagnana sono state fatte un paio di cosiddette “esercitazioni”, simulazioni di evacuazioni in massa. Sono state allestite tendopoli, ammassate bare in legno, prevedendo stragi, sono state fatte dormire fuori casa centinaia di persone. Tutto con il solo risultato di spaventare gran parte della popolazione, talvolta inconsapevole. Niente altro.

Eppure, ricordo di aver sentito parlare in casa dei disastrosi effetti del terremoto degli anni ‘20, del paese di Villa Collemandina raso al suolo, delle vittime e delle macerie. Da allora i muri delle case in Garfagnana (e Lunigiana, suppongo) dovevano essere “legate” per Legge con delle barre in ferro, evidenziate da caratteristici enormi fermi, ben visibili sulle facciate. Niente di più.

Chi legge si chiederà perché scrivo tutto questo.

Scrivo, lasciando ad altri il compito di elencare i dati emessi dall’Osservatorio dell’INGV, perché – al di là dei dati scientifici, che vengono forniti “dopo” il sisma, delle tendopoli attrezzate, degli ospedali da campo, della presenza di troupes televisive e dei politici e amministratori di turno, mi chiedo e vi invito a chiedervi ancora: cosa è cambiato in questi anni?

Si fa un gran parlare di prevenzione. Purtroppo, i fatti non seguono mai le parole.

Lo scorso anno, su questa stessa rivista, parlai del terremoto in Emilia e della necessità di fare prevenzione, l’unica cosa da fare.

Il terremoto è un fenomeno fisico che al momento è incontrollabile, non prevedibile, che spaventa e ferisce intere popolazioni.

L’Italia, dal punto di vista tettonico, cioè dei movimenti cui è soggetta, sarà ancora colpita da terremoti, anche violenti, simili a quelli dell’Emilia, de L’Aquila o dell’Irpinia di qualche decennio fa. L’Italia è tutta zona sismica, mettiamocelo bene in testa.

In California e in Giappone i sismi come quello di ieri sono all’ordine del giorno. Ma la popolazione è costantemente e adeguatamente preparata. Non si aspetta il gran botto, il Big One con le mani in mano. Si fanno esercitazioni settimanali per evacuare con ordine scuole, ospedali, caserme, ovunque ci siano assembramenti umani.

Quanto tempo ci vorrà e quanti sismi dovremo ancora avvertire perché ci si decida a fare qualcosa di più che non allertare inutilmente la popolazione (come fu fatto lo scorso anno, proprio in Garfagnana, forse complice l’assurda sentenza dei giudici aquilani che “rasero al suolo” – per restare in tema – il professor Boschi e gli altri scienziati della Commissione, rei di non aver avvertito che un terremoto stava arrivando, quasi come se si trattasse delle previsioni del tempo?

Leonardo Debbia
22 giugno 2013