Sandy & Co. Il clima sta cambiando? C’era da aspettarselo!

Scritto da:
Leonardo Debbia
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Già il 29 ottobre, attraverso le immagini impressionanti trasmesse dal satellite “Aqua” della NASA, era possibile osservare la massiccia circolazione dell’uragano “Sandy”su un’area di 1800 miglia quadrate, dal Medio Atlantico al Canada, mentre l’uragano si preparava a travolgere gli Stati dell’East Coast e la città di New York. La velocità dei venti era di 120 Km/h e lo spostamento verso Nord-Ovest di 30 km orari.

Due giorni dopo, la furia si è scaricata sul continente.

Ora assistiamo alle conseguenze. Devastanti. I primi bilanci parlano di circa un centinaio di morti e più di cinquanta miliardi di dollari di danni. La popolazione è stata colpita duramente, ma reagisce. Per gli americani è una nuova sfida, che viene affrontata con la consueta forza e la voglia di rimettersi in piedi.

Di fronte a questi eventi, è inevitabile però porsi la fatidica domanda. Perché accadono?

E’ da qualche tempo che gli Stati Uniti in particolare – e il resto del mondo, in generale – si trovano a fronteggiare catastrofi naturali di questo tipo.

”Sandy” in azione (dal satellite della NASA)

Uragani di questa intensità, alle latitudini dell’East Coast, oggi in ginocchio, sono un fatto inconsueto, una novità di questi ultimi anni. Purtroppo, stando ai modelli previsionali dei climatologi, questi luoghi saranno ancora costretti a fare i conti, in futuro, con eventi di questa portata, finora tipici dei climi tropicali.

Ma qual è la causa che innesca questi fenomeni e li rende tanto distruttivi? La risposta deve ricercarsi nei cambiamenti climatici e nell’eccessivo riscaldamento degli oceani.

E’ stato infatti sufficiente un mese di tempo e l’innalzamento di 1,3 °C di temperatura dell’Atlantico perché le masse d’aria, solitamente più leggere e meno umide, venissero alimentate sia in quantità che in qualità dai moti convettivi dell’atmosfera, divenuta estremamente instabile.

La temperatura elevata dell’oceano ha fatto sì che aumentasse l’evaporazione, rendendo quindi più intense anche le precipitazioni. Sandy ha scaricato su Haiti 250 mm di pioggia e ha riversato cascate d’acqua sugli Stati orientali.

Oltre alle vittime, i disastri di questo genere hanno anche dei costi enormi che vanno ad incidere pesantemente sull’economia dei Paesi coinvolti nella tragedia.

Negli Stati Uniti il bilancio dello scorso anno è stato di 27.000 morti e 380 miliardi di dollari.

Dal 1980 ad oggi, in tutto il mondo, questi eventi climatici estremi si sono triplicati e alla base ci sono i radicali cambiamenti climatici in atto.

Anche sulle sponde orientali dell’Atlantico, seppure con modalità più attenuate rispetto alle coste americane, non ci sottraiamo agli effetti del riscaldamento globale. E ovviamente, ne risentiamo anche nell’area del Mare Nostrum, la  regione Mediterranea.

E’appena cessata una brusca fase di passaggio da un clima caldo, inusuale per il nostro autunno, ad un clima tipicamente invernale, con freddo improvviso e intense precipitazioni. Le previsioni meteo non riescono quasi più a tenere il passo con questi rapidi passaggi delle perturbazioni.

Esaminiamo, ad esempio, un fattore classico dei nostri climi, l’anticiclone delle Azzorre, che da qualche tempo ha diradato la sua presenza sulle nostre regioni.

Sappiamo che un anticiclone è una zona di alta pressione atmosferica che preme sulla superficie terrestre. Di  forma tendenzialmente circolare, l’aria al suo interno si riscalda, diviene più secca e tende a salire verso gli strati più alti della troposfera. Un tipo di questi, gli anticicloni cosiddetti “dinamici”, stazionano per intere settimane nella zona dei tropici, dando luogo ad una zona “di blocco” dove le perturbazioni non riescono ad entrare.

L’anticiclone delle Azzorre ha caratterizzato il clima dell’intero bacino mediterraneo e dell’Europa centrale fino agli anni ’80. Durante la stagione estiva, verso la metà di giugno, si posizionava sull’Atlantico e la sua alta pressione faceva affluire aria calda sul Mediterraneo ed il resto dell’Europa centrale, con intervalli di fronti freschi di provenienza nord-atlantica che determinavano solo qualche temporale estivo. Le temperature si mantenevano sui 30°C sul Nord Italia e di pochi gradi in più sul Centro e Sud Italia.

Dagli anni ’80 l’anticiclone delle Azzorre non si è più mosso dall’Atlantico, lasciando spazio all’anticiclone nordafricano che, con le sue correnti molto calde, passando sul Mediterraneo si umidifica e, durante l’estate, arroventa sia la penisola italiana che il resto d’Europa. Le precipitazioni sono scarse, violente, episodiche, per lo scontro con le correnti fredde discendenti dal Nord.

In pratica oggi le masse d’aria si spostano non più lungo i paralleli ma lungo i meridiani.

L’anticiclone delle Azzorre non fa più da cuscinetto tra le masse d’aria fredde e umide settentrionali e le masse secche e calde d’origine africana: le prime vengono in contatto direttamente con le correnti tropicali, con il risultato di precipitazioni violente e clima fortemente perturbato.

Sono solo due scenari, quelli proposti. Scenari a noi più familiari, sia per l’attualità che per l’ubicazione. Ma ormai è tutta la Terra ad essere interessata da eventi climatici estremi.

Le cause sono molteplici, ma la principale è certamente l’effetto serra. Da tempo gli studiosi del clima invitano i vari Stati a contenere l’emissione di CO2 nell’atmosfera, emissione che sta alla base dell’effetto serra, ma gli appelli continuano a rimanere lettera morta. I bisogni energetici prevalgono e le scelte politiche ed economiche non tengono nella giusta considerazione i segnali che ci vengono posti e riproposti quotidianamente.

Ora, nell’interesse comune, sarebbe opportuno auspicare che dalle parole si passasse ai fatti.

Leonardo Debbia
3 novembre 2012