Rosa e celeste: una suddivisione di genere

Scritto da:
Luna Herrera
Durata:
1 minuto
Celeste/Rosa

Il grande magazzino di Hamleys, in Gran Bretagna, ha messo la parola fine allo “apartheid” eliminando i reparti bamnina/bambino che erano contrassegnati dal colore rosa per le femmine e celeste per i maschi.

Facciamo un passo a ritroso, la differenza di genere affonda le sue radici verso la fine del XVII secolo e si è affermata verso la fine del XVIII, quando si doveva sbaragliare il vecchio concetto ellenico sul quale si basava la società, dove esisteva un unico sesso che si realizzava in due forme, in forza del maggiore o minore “calore” dell’individuo, cio`significava che l’uomo e donna avevano gli stessi genitali ma che in quest’ultima,  siccome non aveva abbastanza “riscadamento”, venivano trattenuti all’interno.

L’ appartenenza ad uno o all’altro sesso era quindi stabilita dalla morfologia del medesimo, il quale e`un marchio di “status”, una classificazione del sistema sociale che ha imposto, visto che agli inizi del settecento il concetto non era ancora chiaro, che esistesse una rigida suddivisione sociale dettata dal sesso anatomico, il marcatore di genere.

Tutta la discussione girava attorno al corpo della donna poichè era importante definire la sua  “natura” e non il suo sesso, far notare la fragilità, l’indolenza, la passività, mentre al contrario, l’uomo era più energico, impaziente, appassionato.

Quindi il ruolo delle donne nelle varie culture non è deciso da ciò che esse fanno, ma come la loro attività significa ed entra a far parte nella concreta interazione sociale, e ciò che viene determinata dal sesso non è la natura a determinarlo, ma è la società.

Con la differenza di genere cerchiamo di creare quella identità che appartiene sia al mondo maschile sia a quello femminile creando un confine intellettuale ben chiaro e definito.

Partendo dalla base che ogni individuo ha una sua identità e che le personalità sono multilple e insite in ogni essere umano, è l’uomo stesso a doverle classificare e dividere in modo da creare un’ identita` di gruppo ben divise le une dalle altre. Ecco quindi, l’appartenenza di colore rosa per le femminucce e azzuro per i maschietti, per stabilire a livello sociale un gruppo di appartenenza creando a sua volta la percezione visiva e il richiamo mentale quando vediamo giocattoli rosa o celesti.

Garantendo allo stesso modo un mondo attorno ad essi che non si limita solo ai giocattoli ma si estende a macchia d’olio, alla scelta del colore della camera, dei vestiti per i neonati, dei confetti nel momento del battesimo come rito di passaggio, per poi prolungarsi nel tempo con la scelta nel periodo scolastco di zaini e astucci fino ad arrivare a loro volta nell’imporre tali colori ai loro figli; rimanendo scandalizzati e rimproverando il bambino o bambina che per istinto e per percezione voglia prendere un oggetto che appartiene all’altro sesso semplicemente perché gli aggrada il colore.

Quello che impone la società rimane il capostipite che, in un certo senso mette il giogo a quelli che sono gli istinti naturali degli esseri umani, creando un conflitto che spesso porta all’esclusione dal gruppo di apparteneza.

Sia il colore rosa che quello azzurro, utilizzando un termine antropologico, determinano una “acculturazione “, che pone delle etichette che non nascono “spontaneamente” ma che vengono imposte, creando quello che viene chiamato “l’uniformità”, una forza attorno ad essa, difficile, ma non impossibile, da sbaragliare.

Luna Herrera