Dalla Morte alla Vita Eterna: tutorial per lavorare un cranio da usare come preparato zoologico

Scritto da:
Andrea Bonifazi
Durata:
1 minuto

“Nella Vita c’è la Morte, nella Morte c’è la Vita.”, diceva il filosofo francese Edouard Schuré.
Un concetto lapalissiano che tuttavia può essere tranquillamente ricondotto anche a un’affascinante branca delle Scienze Naturali: l’Anatomia. Non solo l’Anatomia che, un po’ freddamente, studiamo sui libri, ma soprattutto quella che viene studiata sul campo e può estrinsecarsi anche con la preparazione degli scheletri e con la Tassidermia. Si tratta di pratiche antiche che da sempre hanno affascinato l’uomo: dalle mummie egizie alle teste tsantas, arrivando alle “Macchine anatomiche” di Giuseppe Salerno fino ai lavori del contemporaneo Gunther Von Hagens. Religione, Anatomia, Zoologia, riti pagani… le motivazioni che hanno spinto l’essere umano a conservare i corpi degli animali, uomo compreso, sono molteplici ed eterogenei, in alcuni casi dettate da un’atavica voglia di Eternità e di preservazione della Vita oltre la Morte. A prescindere dalle finalità, queste pratiche, ormai portate avanti principalmente per studio o ricerca, sono in generale mal viste da chi non ha affinità con questi settori e magari reputa decisamente schifoso il raccogliere una carcassa… ma si sa, noi Naturalisti siamo lungimiranti e, in un corpo putrefatto e dall’odore nauseabondo, non vediamo solo la carne marcescente, ma idealizziamo il preparato zoologico che può esserne ricavato. Ribrezzo e possibile impopolarità che rischiamo di suscitare nei “normali” passano in secondo piano e sovente il risultato finale ripaga abbondantemente la stoica resistenza agli inevitabili conati.
E’ sottointeso che per ottenere un risultato soddisfacente sia necessaria la pratica, imparando anche dai propri errori… errori in cui io stesso mi sono imbattuto più volte, arrivando tuttavia a ottenere modesti risultati dopo diversi tentativi. Qualche consiglio potrebbe essere importante per chi si avventura per la prima volta nel candido e duro mondo della preparazione dei crani!

Il prima e il dopo la fase di preparazione di un cranio di Myocastor coypus (“Nutria”) (Ph. Andrea Bonifazi)

In questo articolo cercherò quindi di illustrare le metodiche che utilizzate per pulire il cranio di un giovane esemplare di Larus michahellis , il comune ed ormai ubiquitario “gabbiano reale zampegialle”, che venne trovato morto ed in avanzato stato di decomposizione in spiaggia ad Ostia (Roma), un veloce tutorial che, in pieno “stile Zangheri” che potrà tornare utile a chiunque desideri conservare gelosamente un tesoro che in molti considerano mera spazzatura. Il reperto in questione, sebbene parzialmente decomposto e in grado di emanare una puzza quasi indescrivibile, possedeva una bellezza pressoché immutata. Un “dono di Madre Natura” che in pochi avrebbero inizialmente apprezzato, ma che in tantissimi hanno potuto ammirare a lavoro ultimato. E’ doveroso specificare che l’iniziare da un cranio particolarmente delicato come quello di un Uccello è probabilmente una strategia vincente: riuscire a lavorare su qualcosa di più complesso spiana la strada per operazioni decisamente più agevoli, come la preparazione dei più grossi e robusti crani di animali come cinghiali o pecore.
Prima di iniziare, è doveroso ricordare che, come recita la Legge 11 febbraio 1992, n. 157, “La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunita’ nazionale ed internazionale“, quindi la detenzione di crani e trofei è disciplinata, per cui il loro rinvenimento deve essere denunciato alle autorità.

La prima fase è la più cruda e inquietante: a meno che non si voglia lavorare sull’intera carcassa, è necessario staccare la testa da un animale in avanzato stato di decomposizione, operazione decisamente complicata soprattutto se non si hanno a disposizione guanti o coltellini, materiale che sarebbe opportuno avere sé durante le nostre escursioni! Qui la soggettività prevale su qualsiasi consiglio: si può tirare vigorosamente la testa o torcerla ripetutamente o si può usare un lama rimediata da un bastone affilato o da un sasso appuntito; se il fine giustifica i mezzi, in poco tempo avremo tra le mani la nostra sudata “materia prima”.
Ottenuto il nostro tesoro, possiamo iniziare la prima fase di pulitura. Se si dispone di uno spazio verde, la carcassa può essere offerta in comodato d’uso gratuito a numerosi invertebrati saprofagi e decompositori: coleotteri dermestidi, formiche, isopodi, ditteri, sono tanti gli abili operai in grado di aiutarci a ripulire naturalmente le ossa che vogliamo preparare. Questa pratica, tuttavia, ha dei contro: oltre a dover sopportare i mefitici miasmi che inevitabilmente impregneranno il nostro giardino per numerosi giorni, bisogna stare attenti che animali di maggiori dimensioni non ci sottraggano il nostro bottino, così come bisogna fare attenzione alle ossa più piccole e fragili, non di rado “rosicchiate” da questi nostri voraci amici. Se non si vuole correre alcun pericolo, questa fase può essere superata grazie alla bollitura del cranio, processo che rende la carne molle e facilmente asportabile. Si tratta di un processo semplice, ma che necessita di più attenzione di quanto non si possa immaginare: è doveroso fare attenzione che l’acqua non evapori eccessivamente ed evitare che il cranio possa lesionarsi urtando ripetutamente contro il pentolone; per gli animali dotati di denti o di altre strutture ossee che possono staccarsi durante questa fase, si consiglia di inserire il cranio all’interno di una calza di nylon onde evitare di perdere fondamentali tasselli di questo nostro puzzle anatomico.

Il cranio del Gabbiano subito dopo la bollitura (Ph. Andrea Bonifazi)

Il processo di lavorazione immediatamente successivo necessita di un personalissimo spoiler per i deboli di stomaco: Dario Argento impallidirebbe durante questa lavorazione, quindi, se siete impressionabili, fatevi aiutare da qualcuno. La carne residua, infatti, deve essere ora rimossa meccanicamente, cercando di lasciare il cranio quanto più possibile privo di parti molli. Possiamo aiutarci con spilli, pinzette, uncini o altri strumenti che ci permettano di asportare anche le parti più piccole senza danneggiare le ossa. Avere nei paraggi una bacinella con dell’acqua è importante soprattutto per le fasi intermedie di lavaggio, potendo così staccare anche i brandelli di carne che si insinuano nelle cavità più difficilmente raggiungibili e nelle porzioni ossee più fragili (in tal senso, la rimozione del cervello è una delle fasi più lunghe e noiose).
Lo step seguente è il più delicato, sebbene fondamentale per poter eliminare i residui organici che non siamo riusciti a rimuovere meccanicamente: il bagno in candeggina. La criticità di questa fase risiede nella possibilità che le ossa e soprattutto i denti possano letteralmente dissolversi, processo decisamente velocizzato per le ossa più fragili e sottili come quelle di animali giovani o, appunto, degli Uccelli. Per ovviare a questo irrecuperabile inconveniente è opportuno monitorare l’intero processo, tirando fuori il cranio dall’ammollo ogni 4/5 minuti e controllandone le condizioni: se osserviamo porzioni eccessivamente assottigliate o precocemente danneggiate, è bene lavare subito ed accuratamente con acqua e far asciugare il tutto. Un ulteriore accorgimento è necessario proprio per gli Uccelli: quando possibile, la ranfoteca deve essere rimossa dal becco per evitare irreparabili danni; potrà essere posta nuovamente sul cranio in un secondo momento.

Lo stesso cranio dopo il lavaggio in candeggina (e con la ranfoteca erroneamente, ma solo temporaneamente, montata al contrario) (Ph. Andrea Bonifazi)

Sebbene il lavaggio in candeggina dovrebbe aver ripulito quasi interamente il nostro cranio, un ulteriore lavaggio, questa volta in acqua ossigenata, completa il 90% della preparazione. C’è chi si consiglia il perossido di Idrogeno a concentrazioni molto elevate, ma personalmente ritengo sia sufficiente l’acqua ossigenata che comunemente possiamo trovare al supermercato o in farmacia: è meno tossica, più facile da monitorare e meno aggressiva nei confronti delle ossa. Anche questa fase necessita, tuttavia, di attenzione, rimuovendo periodicamente il cranio dal recipiente in cui l’abbiamo immerso per controllarne lo stato di conservazione. Questo processo dovrebbe donare al preparato una deliziosa e candida colorazione degna di un preparato museale.
Asportati gli ultimi residui di carne, non resta altro da fare che far asciugare il nostro gioiellino, quindi apportare le ultime migliorie, come la smaltatura della ranfoteca per conferirle lucentezza e resistenza (un normalissimo smalto per unghie trasparente è più che sufficiente).

Il lavoro ultimato, dopo l’asciugatura del cranio e la smaltatura della ranfoteca (Ph. Andrea Bonifazi)

Il nostro candido cranio è terminato e il risultato finale ripaga decisamente la puzza iniziale, regalandoci un preparato zoologico di livello a costo zero, frutto di attenzione e passione. Chi era inizialmente reticente, non potrà far altro che chinare il capo dinnanzi una simile perfezione anatomica dall’immensa valenza didattica.

Andrea Bonifazi

Bibliografia

Zangheri P. (1981). Il naturalista esploratore, raccoglitore, preparatore, imbalsamatore. Hoepli Editore, pp. 508.