Livello dei mari e cambiamenti climatici in relazione con cicli interni della Terra

Scritto da:
Leonardo Debbia
Durata:
1 minuto

Antichi aumenti dei livelli dei mari e riscaldamento globale sono in parte attribuibili all’attività ciclica che avviene al di sotto della crosta terrestre, più propriamente nel mantello. A questa conclusione sono giunti i ricercatori della New York University e della Ottawa Carleton University, dopo una attenta analisi di studi geologici.

Antichi aumenti di livello dei mari e riscaldamento globale sono in parte attribuibili all’attività ciclica sotto la superficie terrestre, pur se i cambiamenti attribuibili avvengono in cicli di 60-140 milioni di anni (fonte: EOS)
Antichi aumenti di livello dei mari e riscaldamento globale sono in parte attribuibili all’attività ciclica sotto la superficie terrestre, pur se i cambiamenti attribuibili avvengono in cicli di 60-140 milioni di anni (fonte: EOS)

Gli autori dell’articolo, Michel Rampino, della NYU e Andreas Prokoph, della Carleton University, affermano che i cambiamenti indotti dai movimenti interni della Terra sono graduali, con andamenti ciclici che vanno da 60 a 140 milioni di anni, e sono tuttavia molto più lenti di quelli prodotti dalle attività umane.

Il loro studio compare su Eos, un giornale pubblicato dalla American Geophysical Union.

  Le analisi di Rampino e Prokoph  prendono in considerazione le fluttuazioni del clima globale sul lungo termine, la diversità degli organismi marini e i cambiamenti di livello dei mari, al fine di identificare una causa comune e unica per tutti questi processi.

Mentre gran parte degli studi scientifici si sono concentrati sui fenomeni che accadono sulla superficie terrestre, minore attenzione è stata dedicata ai cambiamenti profondi all’interno del nostro pianeta.

Negli ultimi anni, tuttavia, i ricercatori hanno studiato meglio la risalita dei pennacchi del mantello, i movimenti convettivi ascendenti di magmi provenienti dal mantello terrestre più profondo – addirittura, si ipotizza, da zone a contatto con il nucleo – che giungono in vicinanza della superficie. Questi pennacchi hanno notevoli effetti geologici e sono posti in relazione alla formazione di grandi province ignee (in inglese, Large Igneous Provinces o LIP) che consistono in vaste espansioni di rocce, sia intrusive che effusive, derivate dal raffreddamento delle lave.

Nell’analizzare recenti scoperte scientifiche, Rampino e Prokoph hanno osservato che i pennacchi del mantello coincidono con cambiamenti ciclici di superficie, il che porta a ipotizzare che gli stessi pennacchi abbiano una natura ciclica. Ad esempio, in una ricerca precedente Prokoph ha rivelato che molti cambiamenti geologici si compiono in cicli di 60 e di 140 milioni di anni e ha quindi ritenuto che sia ciclica anche la risalita di questi pennacchi per originare la formazione di hotspot, punti, o meglio aree, della superficie terrestre dove l’attività vulcanica persiste da lungo tempo.

Nella letteratura geologica, spesso i termini “hotspot” e “pennacchi” sono stati usati come sinonimi. In realtà si tratta di fenomeni diversi. Il pennacchio è una caratteristica propria del mantello e può provocare un hotspot, che è invece una manifestazione vicina alla superficie terrestre, una regione o sacca di magma ritenuta “anomala”, sia per la posizione che per il volume.

Schematizzazione di un Hotspot o punto caldo, una piccola zona della superficie terrestre interessata da una anomala risalita del mantello, che presenta attività vulcanica da lungo tempo (es. Hawaii e Islanda)  E’ caratteristica la collocazione nel mezzo di una placca anziché ai bordi, come ci si aspetterebbe dalla tettonica a zolle. La causa probabile di formazione risiede nella convezione degli strati superiori del mantello, i cosiddetti “pennacchi”, del diametro di 100-250 Km, che risalirebbero dagli strati più profondi a contatto con il nucleo terrestre.
Schematizzazione di un Hotspot o punto caldo, una piccola zona della superficie terrestre interessata da una anomala risalita del mantello, che presenta attività vulcanica da lungo tempo (es. Hawaii e Islanda)
E’ caratteristica la collocazione nel mezzo di una placca anziché ai bordi, come ci si aspetterebbe dalla tettonica a zolle. La causa probabile di formazione risiede nella convezione degli strati superiori del mantello, i cosiddetti “pennacchi”, del diametro di 100-250 Km, che risalirebbero dagli strati più profondi a contatto con il nucleo terrestre.

Più in generale, dicono i ricercatori, i pennacchi del mantello, nella risalita, premono verso l’alto contro la crosta terrestre, spostando l’acqua degli oceani tra i continenti e producendo così cambiamenti di livello dei mari, causando attività vulcanica che porta a sua volta ad ulteriori emissioni di CO2 e di conseguenza ad un clima più caldo.

“I pennacchi del mantello sembrano mostrare cicli regolari”, afferma Rampino. “Allora, quello che appare significativo è che ci sia una notevole indicazione dell’esistenza di un collegamento tra i cambiamenti che avvengono sulla superficie terrestre – come l’attività vulcanica ed il livello dei mari – e ciò che accade in profondità all’interno della Terra. Questo fa pensare ad una connessione tra gli eventi geologici sotto la superficie terrestre e i cambiamenti del clima”.

A margine dell’ipotesi avanzata dagli studiosi d’oltre-Oceano, per quanto suggestiva essa sia e con tutto il rispetto verso il lavoro svolto, ci sembra opportuno, nel nostro piccolo, avanzare qualche riserva e porci anche qualche interrogativo.

E’ necessario ricordare, ad esempio, che la Terra non è un sistema “chiuso”, ma fa parte di un Universo i cui effetti sul nostro pianeta non sono trascurabili. Basti pensare ai parametri astronomici che vanno considerati sia per i fenomeni di lungo termine, come le glaciazioni, sia per quelli di breve termine, come le stagioni. Dallo spazio arriva poi una quantità di energia solare, di radiazioni, di raggi cosmici, di materia extraterrestre di cui non si può non tener conto nella dinamica del pianeta e degli effetti prodotti.

Ultima, anche se qui considerata di poca rilevanza, non va dimenticata l’attività antropica, che con la deforestazione, le immissioni di biossido di carbonio, di gas serra e quant’altro nell’atmosfera, non può non venir chiamata in corresponsabilità nell’andamento della fisica terrestre, particolarmente per quanto riguarda proprio la superficie.

Leonardo Debbia
1 aprile 2013