Frenato in Australia l’aumento globale di livello del mare

Scritto da:
Leonardo Debbia
Durata:
1 minuto

Una nuova ricerca condotta dal National Center for Atmospheric Research (NCAR) mostra che quando, nel corso degli anni 2010 e 2011, tre modelli di fenomeni atmosferici sono giunti a sovrapporsi contemporaneamente sugli oceani Indiano e Pacifico, hanno generato un così alto numero di precipitazioni sull’Australia che il livello globale degli oceani sulla Terra è sceso sensibilmente.

Con precipitazioni più intense – è lecito obiettare – il mare diminuisce di livello?

Questa apparente incongruenza si spiega con il fatto che, a differenza di altri continenti, i terreni e la topografia dell’Australia trattengono, in pratica, quasi per intero il volume d’acqua  precipitata, impedendone un normale deflusso verso il mare.

Veduta delle intense precipitazioni che trasformarono il paesaggio dell’Australia negli anni 2010-2011, come mostrano le due immagini satellitari della NASA, nelle pianure alluvionali del sud-ovest del Queensland. La prima immagine è del settembre 2009, la seconda del marzo 2011, dopo che le abbondanti piogge non erano riuscite a riversarsi nell’oceano, provocando di fatto un generale abbassamento di livello del mare, in controtendenza con l’innalzamento dovuto al riscaldamento globale. (fonte: satellite Aqua della NASA)
Veduta delle intense precipitazioni che trasformarono il paesaggio dell’Australia negli anni 2010-2011, come mostrano le due immagini satellitari della NASA, nelle pianure alluvionali del sud-ovest del Queensland. La prima immagine è del settembre 2009, la seconda del marzo 2011, dopo che le abbondanti piogge non erano riuscite a riversarsi nell’oceano, provocando di fatto un generale abbassamento di livello del mare, in controtendenza con l’innalzamento dovuto al riscaldamento globale. (fonte: satellite Aqua della NASA)

Quanto accaduto negli anni 2010 e 2011 ha bloccato, sia pure temporaneamente, la tendenza all’aumento di livello del mare causato dal riscaldamento globale e dalla fusione delle calotte polari.

Quando le condizioni atmosferiche hanno riportato il clima secco sui continenti e una maggior quantità di pioggia si è rovesciata sugli oceani tropicali, i mari hanno ripreso ad aumentare di livello.

Con la grande siccità che ha colpito l’Australia, il livello marino ora è tornato a crescere più veloce di prima.

“E’ una bella dimostrazione di quanto sia complicato il nostro sistema climatico” afferma John Fasullo, scienziato dell’NCAR, autore principale dello studio. “L’Australia, il più piccolo continente del mondo, può influenzare il livello dei mari in tutto il mondo. La sua influenza è così forte che può superare temporaneamente la tendenza di fondo dell’aumento del livello dei mari cui stiamo assistendo a causa dei cambiamenti climatici in atto”.

Lo studio relativo, cui hanno contribuito scienziati del Jet Propulsion Laboratory della NASA e altri dell’Università del Colorado, Boulder, sarà pubblicato il prossimo mese su Geophysical Research Letters.

In seguito al riscaldamento del clima, negli ultimi decenni gli oceani del mondo sono aumentati di livello di poco più di 3 millimetri all’anno. Questo avviene perché, da un lato il calore fa sì che l’acqua, scaldandosi, aumenti di volume e, d’altro canto, perché il deflusso delle acque di scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari va a riversarsi negli oceani.

Ma dal 2010, per un periodo di 18 mesi, il livello degli oceani è misteriosamente sceso di circa 7 millimetri, più che compensando l’aumento annuo di 3 millimetri.

Fasullo e i suoi co-autori, in una ricerca pubblicata lo scorso anno, avevano dimostrato che la causa di questo fenomeno andava ricercata nell’aumento delle precipitazioni sui continenti tropicali.

Il team di studiosi aveva anche dimostrato che il calo marino era coinciso con l’oscillazione atmosferica conosciuta come “La Nina”, che raffredda le acque superficiali tropicali nel Pacifico orientale, riducendo di fatto le precipitazioni in quell’area, mentre le intensifica sul Pacifico tropicale, l’Africa, il Sud America e l’Australia.

Ma l’analisi della documentazione storica ha mostrato anche che, nelle sue ultime manifestazioni, La Nina è stata solo raramente accompagnata da un calo così pronunciato del livello del mare.

Andavano quindi ricercati anche altri fattori.

Usando una combinazione di strumenti satellitari con altre apparecchiature, il nuovo studio rileva ora che il quadro climatico del 2010 e del 2011 era stato, per la verità, alquanto complesso, quasi unico. Si era verificata una rara combinazione di due modelli climatici (detti anche semi-ciclici) che, insieme, avevano prodotto un volume di precipitazioni così estese sull’intera Australia che caddero quasi 300 mm di pioggia in più della media.

Gli effetti iniziali della Nina consistevano, sostanzialmente, nel raffreddamento delle acque superficiali nel Pacifico orientale e nello spingere le precipitazioni verso Ovest.

Ma era accaduto qualcos’altro.

Il fenomeno climatico, noto come “Modalità anulare meridionale o Oscillazione Antartica”, consiste di una cintura di venti che da Ovest circonda l’Antartide e rappresenta un fattore di variabilità per le precipitazioni nel sud dell’Australia.

Quando questi venti soffiano verso l’Equatore, portano ad un aumento notevole di precipitazioni sul continente australiano.

E fu quello che accadde allora: questo fenomeno fece aumentare l’umidità all’interno del continente australiano, causando precipitazioni e inondazioni.

Come non bastasse, il cosiddetto “Dipolo dell’Oceano Indiano”, le fluttuazioni periodiche di temperatura, dovute all’alternanza di masse d’aria calda e aria fredda sull’Oceano a nord dell’Australia, generarono alti livelli di umidità che entrarono in collisione con il carico di umidità de La Nina proveniente dal Pacifico, spingendo altre masse d’aria umida all’interno del continente australiano.

Dall’insieme di questi tre fattori scaturì uno dei periodi più piovosi documentati nella storia dell’Australia.

L’estesa parte interna dell’Australia chiamata Outback è circondata da montagne costiere ed è caratterizzata da clima tendenzialmente asciutto, se non proprio arido. A causa dell’andamento pianeggiante della parte orientale del continente e dato lo scarso deflusso da parte dei pochi fiumi nell’ambiente arido occidentale, la maggior parte delle estese precipitazioni degli anni 2010 e 2011 rimasero confinate nell’interno del continente anzichè riversarsi nell’oceano.

Mentre una parte dell’acqua evaporò al sole del deserto, la maggior parte fu assorbita dall’arido terreno granulare del Plateau occidentale o riempì il bacino del lago Eyre, ad Est.

“Nessun altro continente registra questa combinazione di atmosfera e topografia”, dice Fasullo. “Solo in Australia l’atmosfera può distribuire piogge tropicali così intense su un’area tanto vasta.

E questo avviene solo perchè l’acqua caduta non riesce a defluire nell’oceano”.

Per condurre la ricerca, gli scienziati si sono avvalsi dell’uso di tre sistemi di strumentazione:

– i satelliti GRACE della NASA, per la misurazione del campo gravitazionale terrestre;

– il programma “Argo”, per la misura della temperatura e della salinità delle acque in profondità superiori ai 6000 piedi negli oceani terrestri;

– altimetri satellitari che vengono continuamente calibrati su una rete di misuratori di marea.

Utilizzando queste strumentazioni, i ricercatori hanno scoperto che dal 2010 in Australia e, in misura minore, in Sud America, la massa continentale è aumentata quando i continenti hanno subìto precipitazioni intense e consistenti.

Al tempo stesso, le misure del livello marino mostravano un abbassamento della massa d’acqua.

Dal 2011 in poi, dopo che i modelli atmosferici avevano abbandonato la loro insolita combinazione, il livello dei mari ha ripreso ad aumentare ad un ritmo più veloce di circa 10 mm all’anno.

Gli scienziati non sanno con certezza quanto spesso i tre eventi atmosferici rinnovino quella infausta combinazione che ha causato il volume inconsueto di piovosità sull’Australia.

Fasullo dice che un evento del genere è già successo nel 1973-1974, un altro periodo di inondazioni record in quel continente. Ma allora non si disponeva degli strumenti di osservazione attuali, ed è quindi praticamente impossibile ricostruire quello che è successo nell’atmosfera e se sia stato realmente influenzato il livello dei mari dell’epoca.

“Per fortuna ora abbiamo buone osservazioni”, dice Fasullo. “E abbiamo bisogno di mantenerle efficienti, per capire veramente cos’è un sistema di clima complesso e poterlo così affrontare con dovute cautele e contromisure”.

Leonardo Debbia
27 agosto 2013