Gli effetti dell’inquinamento acustico sui cefalopodi: minacce per gli abitanti del mare

Scritto da:
Paola Nucera
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1 minuto

L’inquinamento acustico negli oceani è considerato la causa dei cambiamenti fisici e comportamentali della vita marina ed è stato studiato principalmente per delfini e balene, che si relazionano con i suoni durante le attività diurne. Delfini e balene, tuttavia, non sembrano le sole specie minacciate dalle attività di estrazione del petrolio, in quanto i cefalopodi, tra i vertebrati sembrerebbero fortemente traumatizzati da questi eventi. Uno studio, i cui risultati sono stati pubblicati questo mese, dimostra che i suoni a bassa frequenza, come per esempio il rumore prodotto dalle attività di estrazione del petrolio, a largo delle coste, causa lesioni negli organi sensoriali di calamari, octopus e seppie. Nel 2001 e 2003, lungo le coste delle Asturie, nella Spagna settentrionale, sono stati ritrovati diversi calamari giganti, in seguito all’uso in mare aperto di fucili ad aria compressa da parte di alcune navi. Gli esami condotti sugli animali hanno portato ad escludere tutte le altre cause di lesioni in queste specie, suggerendo che le morti di calamaro potevano essere collegate ai suoni eccessivi a cui erano stati esposti.

Partendo da questo caso, gli scienziati hanno esaminato in laboratorio gli effetti dell’esposizione a basse frequenze in quattro specie di cefalopodi, riproducendo, così, condizioni simili a quelle dei calamari nelle Asturie. Tutti i calamari, gli octopus e le seppie in esame hanno mostrato un intenso trauma acustico che ha portato a gravi lesioni nelle loro strutture uditive.

In particolare, i ricercatori hanno esposto 87 individui cefalopodi per un periodo di tempo breve a onde di intensità relativamente bassa (suoni a bassa frequenza tra i 50 e i 400 Hertz) ed esaminato i loro statocisti. Gli statocisti sono strutture simili a piccole sfere piene di liquido che aiutano questi invertebrati a mantenere l’equilibrio e la posizione – simili al sistema vestibolare dei mammiferi.

I risultati degli scienziati hanno confermato che gli statocisti giocano effettivamente un ruolo importante nella percezione dei suoni a bassa frequenza nei cefalopodi. Successivamente all’esposizione ai suoni a bassa frequenza, i cefalopodi mostravano anche danni alle ciglia dell’epitelio sensoriale degli statocisti. Con il passare del tempo, le fibre nervose si gonfiavano e comparivano grandi fori; queste lesioni divenivano gradualmente più pronunciate negli individui che venivano esaminati diverse ore dopo l’esposizione. In altre parole, i danni al sistema uditivo dei cefalopodi emergevano immediatamente dopo l’esposizione a questo tipo di onde. Tutti gli individui esposti ai suoni, se paragonati con altri non sottoposti alle stesse condizioni e privi di tali danni, avevano subito un trauma acustico.

Il team leader dello studio Michel André, dell’Università Tecnica della Catalogna, a Barcellona, si chiede “Se un’intensità relativamente bassa e una breve esposizione durante il nostro studio può causare traumi così seri, allora l’impatto di continui e intensi rumori dell’inquinamento negli oceani potrebbe essere considerevole. Per esempio, possiamo prevedere che dal momento che gli statocisti sono responsabili dell’equilibrio e dell’orientamento, i danni indotti dai rumori a queste strutture potrebbero similmente influenzare l’abilità dei predatori di cacciare, evitare i predatori e anche riprodursi; in altre parole, questo non sarebbe compatibile con la vita”. La loro sopravvivenza, quindi, sarebbe compromessa.

L’effetto dell’inquinamento acustico sulla vita marina varia in base alla vicinanza dell’animale all’attività e all’intensità e alla frequenza del suono. Con l’aumento della trivellazione per l’estrazione del petrolio, il trasporto delle navi cargo, gli scavi e altre attività a grande scala, è sempre più probabile che queste attività si sovrappongano alle rotte migratorie e alle aree frequentate dalla vita marina.
Noi sappiamo che l’inquinamento acustico negli oceani ha un impatto significativo su delfini e balene poiché queste specie fanno un uso vitale delle informazioni acustiche” ha detto André, “ma questo è il primo studio che indica un serio impatto sugli invertebrati, ovvero un gruppo esteso di specie marine di cui non conosciamo la relazione con i suoni per vivere”.

La ricerca ha sollevato diversi dubbi ancora irrisolti: l’inquinamento acustico è capace di impattare l’intera rete della vita nell’oceano? Quali altri effetti ha il rumore sulla vita marina, oltre i danni al sistema di ricezione uditivo? E inoltre come è diffuso e quanto è invasivo l’inquinamento acustico nell’ambiente marino?”.

Certo è che l’impatto delle attività antropiche sull’ambiente e le sue conseguenze sulla vita sono ancora da scoprire e da quantificare.

Paola Nucera