Cosa sta succedendo all’Italia sotto i nostri piedi?

Scritto da:
Leonardo Debbia
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1 minuto

“Un terremoto di magnitudo 2.3 è avvenuto alle ore 09.30 del 31 maggio 2012. Il terremoto è stato localizzato dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV nel distretto sismico della pianura padana-lombarda alla profondità di 13,1 Km.”
E’ l’ultimo, in ordine di tempo, delle centinaia di bollettini emessi dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia relativi alla situazione geo-dinamica che sta interessando l’Emilia e più in generale tutta l’Italia del Nord.

Tutto è cominciato il 20 maggio scorso, il giorno in cui la terra ha cominciato a tremare in Emilia, provocando gli eventi catastrofici che sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti attraverso i media. Naturalmente, le immagini più forti riguardano la devastazione degli edifici crollati, le case con le mura pericolanti, i magazzini sventrati, le auto accartocciate come giocatoli buttati via, le fessure nel terreno. Dai commenti accorati e dagli sguardi vuoti di chi ha perso il lavoro di una vita traspare tutto l’orrore per quanto sta accadendo, mettendo in luce un senso di impotenza drammatico che diventa panico nei momenti in cui le telecamere continuano a tremare per le nuove scosse.

“Ma quanto durerà ancora?” si chiedono tutti, disperati, guardandosi attorno alla ricerca di una risposta che, al momento, nessuno è ancora in grado di dare. Geologi, geofisici, ingegneri, cattedratici illustri o semplici addetti ai lavori vengono di continuo intervistati e ciascuno commenta a suo modo. Proviamo a farlo anche noi, astraendoci momentaneamente dalle singole tragedie, per descrivere il fenomeno in termini scientifici e offrire un contributo, sia pur piccolo, per una miglior comprensione dell’evento.

Cominciamo dicendo chiaramente che l’Italia, tutta l’Italia a eccezione della Sardegna, è a rischio sismico. La placca africana, premendo contro quella Europea, spinge tutto l’Appennino (e non solo dal 20 maggio) contro la pianura padana, comprimendola. Sotto queste pressioni enormi, la roccia viene frantumata in faglie che si intrecciano, si aggrovigliano, scorrono e si rompono in un sistema complesso che ricorda un domino. Qualcuno lo ha paragonato ad un “fronte di guerra”, ma qui siamo davanti a manifestazioni della natura di una potenza inimmaginabile.

Noi avvertiamo il frutto di questo scontro, le vibrazioni prodotte dalle rotture e dallo sbriciolamento degli strati interni, che si susseguono in un effetto domino, strato dopo strato, e dall’interno della Terra si propagano in superficie.
Era sbagliato ritenere che l’Emilia fosse esente da questi eventi solo perché gli ultimi terremoti si erano verificati 500 anni fa. Anche allora – per valide testimonianze storiche – le scosse durarono anni e provocarono crolli di edifici, distruzioni e vittime, coinvolgendo ben 11.000 persone e costringendo gli stessi Estensi alla fuga dai loro palazzi. Dobbiamo rassegnarci, allora e continuare ad avere paura?
La risposta è no, la rassegnazione deve essere una posizione consapevole del fatto che le previsioni di terremoti sono, al momento, impossibili – diffidiamo di tutti coloro che affermano teorie divinatorie o pseudo-scientifiche su questo argomento – e che l’unico modo di porci positivamente di fronte a questo problema è ricostruire secondo tecniche antisismiche che esistono in tutti i Paesi afflitti da queste problematiche. Gli Stati Uniti e il Giappone sono all’avanguardia, ma anche in Europa le soluzioni tecniche sono state adottate unicamente in quest’ottica.
Lo raccomandava già un architetto contemporaneo di Michelangelo, Pirro Logorio, che aveva convissuto con i terremoti nell’Emilia del periodo 1561-1574: “Case non più alte di due piani, ridistribuzione degli spazi, creazione agli angoli delle stanze di pilastri di rinforzo”. Oggi, dopo cinquecento anni, i modelli dell’ingegneria edile non sono certamente paragonabili con quelli rinascimentali, ma il principio della prevenzione è lo stesso che ispirò il Logorio e più che mai ne è auspicabile l’applicazione.

Leonardo Debbia