Continenti alla deriva: quando la terra si mette a navigare

Scritto da:
Leonardo Debbia
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1 minuto

Secondo un ricercatore della NASA, lo strato di roccia parzialmente fusa, di spessore variabile da 22 a 75 miglia, sottostante la superficie terrestre, non può essere l’unico meccanismo che permette lo spostamento dei continenti nel corso di milioni di anni, come sostiene la teoria della “deriva dei continenti”.

Riproduzione di una sezione trasversale della Terra sotto l’oceano. Gli strati sono indicati sulla destra (astenosfera, litosfera). Le linee bianche mostrano il percorso delle onde sismiche dall’ipocentro di un terremoto alla posizione del sismometro. (Triangolino blu) A metà del loro viaggio, le onde vengono riflesse dalla superficie terrestre o da uno strato di roccia fusa. Nel percorso più lungo le onde, prima di essere riflesse, arrivano in superficie. Un percorso più breve è possibile se le onde vengono riflesse da uno strato fuso posto al limite litosfera-astenosfera (rappresentato dal giallo-arancio sotto il punto caldo (hot spot). Le onde che prendono questa strada più breve arrivano al sismometro alcune decine di secondi prima.

“Questa fusione sotto il fondale dell’Oceano Pacifico e in aree circostanti può essere messo in discussione, secondo quanto emerge dalle mie analisi dei dati sismometrici”, afferma il dottor Nicholas Schmerr, ricercatore della NASA presso lo Space Goddard Flight Center di Greenbelt, nel Maryland.

“Dal momento che la fusione si verifica solo in alcune zone e in altre manca, non può essere questa l’unica causa per cui le rigide placche continentali abbiano la possibilità di scorrere sulla roccia fluida sottostante”.
Il lento scorrimento dei continenti sulla superficie terrestre è infatti il modello su cui si basa la “tettonica a zolle” o “tettonica a placche”, elaborata da Alfred Wegener agli inizi del secolo scorso, riveduta e perfezionata più volte nel corso degli anni.Il nostro pianeta ha più di 4 miliardi di anni e, secondo il modello proposto da questa teoria, per tutto questo tempo le forze previste dalla tettonica a zolle hanno spostato i continenti per molte migliaia di miglia, originando catene montuose quando entravano in collisione e dando luogo a estesi avvallamenti, in cui penetravano e si espandevano gli oceani, quando si allontanavano.

Questo spostamento o deriva dei continenti, influenzando le correnti negli oceani e nell’atmosfera, data la frapposizione di ostacoli quali fosse o barriere montuose, potrebbe inoltre aver avuto effetti sul clima e sulle faune, inducendo cambiamenti anche significativi.

Libera schematizzazione in cinque fasi della frammentazione del continente unico (Pangea) e della deriva dei continenti durante gli ultimi 225 milioni di anni, dal Permiano: a), attraverso il Mesozoico: b), c), d), ad oggi e).

Lo strato più esterno della Terra, la litosfera, è suddiviso in numerose placche tettoniche e comprende la crosta e una porzione di mantello superiore, più freddo e rigido. Sotto gli oceani la litosfera è relativamente sottile (65 miglia), mentre sotto i continenti può raggiungere anche le 200 miglia di spessore. La litosfera si appoggia sulla astenosfera, uno strato di roccia plastica, che si deforma lentamente e gradualmente nel tempo e su cui scorrono le placche continentali.

Il motore principale del movimento delle placche potrebbe essere il calore proveniente dall’interno della Terra, quello che risulta essere prodotto dal decadimento radioattivo degli isotopi di elementi quali l’uranio, il torio e il potassio. Il calore, propagandosi alle rocce del mantello, ne diminuisce la viscosità, rendendole plastiche e causando al suo interno dei moti convettivi, con l’ascensione di correnti calde verso le zone esterne più fredde e la discesa di correnti a temperatura inferiore, analogamente a quello che accade in una pentola d’acqua che bolle. Queste correnti di turbolenza, giungendo negli strati più vicini alla superficie terrestre, sospingerebbero le placche continentali, facendole scorrere sul substrato fluido, come degli iceberg che galleggiano sull’oceano. Sebbene il processo di base che guida la tettonica a zolle sia compreso, molti dettagli restano ancora un mistero. “Qualcosa deve separare le placche crustali dalla astenosfera in modo che possano scorrere su di essa” – dice infatti Schmerr. “Numerose teorie sono state proposte e una di queste prevede che uno strato fluido funga da lubrificante fra la litosfera e l’astenosfera, consentendo alle placche della crosta di scorrere. Tuttavia, poichè sotto la placca del Pacifico questo strato è presente solo in certe zone, mentre in altre zone manca, questo non può essere il solo meccanismo che permette alla tettonica a placche di agire. Deve avvenire qualcos’altro, perché la placca possa scorrere in zone dove lo strato fuso non esiste”. Altri possibili meccanismi che potrebbero agire con più efficacia al confine tra la litosfera e l’astenosfera presuppongono l’aggiunta di materiale volatile alla roccia, come ad esempio l’acqua, insieme a differenze di composizione, temperatura e dimensioni della grana dei minerali. Tuttavia, i dati di cui disponiamo al momento non permettono di distinguere quale sia il fattore preponderante tra questi.

Schmerr ha espresso i suoi dubbi dopo aver analizzato i tempi di arrivo delle onde sismiche a vari sismometri sparsi su diverse aree della superficie terrestre. I terremoti generano, infatti, diversi tipi di onde. Uno di questi tipi è chiamato “shear-waves” o onde S, che viaggiano attraverso la Terra, rimbalzando per riflessione anche da zone interne e arrivando ai sismometri in tempi diversi, dipendenti dalle profondità di queste zone. Prendiamo un tipo di onda S che viene riflessa dalla superficie terrestre a metà strada fra un terremoto e un sismometro. La stessa onda S che incontra uno strato fuso più profondo, al confine litosfera-astenosfera, arriva al sismometro con un percorso più corto e alcune decine di secondi prima. Comparando i tempi di arrivo, le altezze e le forme delle onde arrivate per prime perché riflesse dalla superficie terrestre con le onde riflesse dagli strati fusi, Schmerr è in grado di stimare la profondità e le proprietà sismiche degli strati fusi sottostanti l’Oceano Pacifico. “La maggior parte degli strati fusi sono dove ci si aspetterebbe di trovarli, come in regioni vulcaniche quali le Hawaii e i vari vulcani sottomarini attivi o intorno a zone di subduzione, aree ai margini di una placca continentale, dove la placca oceanica sprofonda nell’interno” – ha detto Schmerr – “Tuttavia, questi strati non si trovano dappertutto, suggerendo qualcosa di diverso dal materiale fuso necessario per spiegare le proprietà dell’astenosfera”. Secondo Schmerr, capire come funziona la tettonica a zolle sulla Terra potrebbe aiutarci a capire come si è evoluta sugli altri pianeti rocciosi. Venere, ad esempio, non ha oceani e nessuna evidenza di tettonica a placche. Questo potrebbe supportare l’ipotesi che l’acqua sia un fattore essenziale per l’esistenza e la dinamica della tettonica a placche.
In assenza di acqua, l’astenosfera di Venere risulta di certo più rigida e incapace di sostenere le placche, suggerendo che il calore interno venga rilasciato in qualche altro modo, magari con eruzioni periodiche a livello globale.
Schmerr prevede di analizzare i dati di altre reti sismogafiche per verificare se lo stesso schema irregolare di strati di fusione esista sotto altri oceani e altri continenti.
La ricerca è sostenuta dalla NASA.

Leonardo Debbia