Che maltempo…questo tempo!

Scritto da:
Leonardo Debbia
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1 minuto
Rielaborazione dei dati forniti da Eumetsat sulla situazione climatica interessante il bacino del Mediterraneo in data 13 novembre 2012, i cui effetti sono tuttora in atto (tratta da Meteogiornale)

Dopo la “tempesta di Halloween” e la “tempesta di S.Martino”, come sono state chiamate in senso molto riduttivo dai “media”, le precipitazioni che nella prima metà di novembre hanno imperversato così disastrosamente sulla fascia occidentale della Penisola Italiana ora si accaniscono sullo Ionio e sulle Isole. Sulle zone alluvionate, da qualche giorno il cielo è tornato sereno, restituendo uno scenario quasi irreale, nella sua drammaticità. Auto trascinate da strade trasformate in fiumi, uomini e donne impegnati a spalar via dalle case il fango, voragini, crolli di ponti, gente disperata e, purtroppo, anche gli eventi luttuosi.

Particolarmente in Liguria e nel Sud della Toscana si contano i danni e le vittime, ma tutte le regioni centro-occidentali del Paese sono state investite da una gran massa d’acqua piovana, sconvolte dalle frane, messe a soqquadro dalle esondazioni dei corsi d’acqua.

L’ondata di maltempo è stata generata dalla spinta dell’area di bassa pressione nord-atlantica sul vasto areale nordafricano-Mediterraneo e, non trovando sbocco verso Est per la presenza dell’anticiclone dei Balcani, è rimasta bloccata sul Mediterraneo, dove ha scaricato tutta la sua energia.

Purtroppo, l’Italia non è nuova al succedersi di eventi di questo genere. Il bilancio delle vittime per le catastrofi idrogeologiche accadute è drammatico e in continuo aumento nel tempo: dal 1960 le vittime di alluvioni e frane sono state oltre 4000, senza contare che le inondazioni hanno provocato inoltre, da sole, anche 200mila sfollati e 45mila senzatetto: un bilancio da bollettino di guerra.

Fiumi e torrenti si gonfiano ed esondano sotto le piogge violente che si rovesciano su un territorio disastrato, quasi ovunque al limite delle possibilità di smaltimento delle acque.

Le quantità di pioggia che si abbattono in tempi alquanto brevi, le cosiddette “bombe d’acqua”, sembrano poi essere in costante aumento.

Le domande che ci poniamo sono tante. Cerchiamo di rispondere solo alle due più immediate. Perché l’intensità delle piogge si è così progressivamente acuita in questi ultimi anni da scatenare, ad esempio, queste frequenti “bombe d’acqua”, un fenomeno affatto nuovo? E perché non si riesce a far sì che le precipitazioni non si trasformino quasi sempre in alluvioni catastrofiche?

In realtà, il fenomeno delle “bombe d’acqua” è ben conosciuto dagli esperti del clima, che lo ritengono prevedibile e i cui effetti dirompenti sono imputabili quasi esclusivamente alla conformazione del territorio su cui avvengono.

Lo descrive, in un’intervista, il tenente colonnello dell’Aeronautica Militare Guido Guidi.

“Le cosiddette “bombe d’acqua” – dice il meteorologo – “indicano un fenomeno in cui si verifica un rovescio di ingenti quantitativi d’acqua in un tempo relativamente breve. E’ improvviso, certo. Ma lo è per l’osservatore che subisce il fenomeno. Si tratta di eventi prevedibili, che seguono le dinamiche dell’andamento del tempo in modo tutt’altro che casuale”.

E’ vero, comunque, che la loro struttura è particolare.

“Si tratta della formazione di più cellule temporalesche tecnicamente organizzate”, continua Guidi. “Di norma, infatti, il temporale è singolo e riguarda una determinata area. In questi casi ci sono invece condizioni atmosferiche per cui la fase di innesco persiste nel tempo, anche dopo la formazione del fenomeno. Questo fa sì che di seguito al primo temporale se ne formino altri e ovviamente se la caratteristica di un singolo temporale è quella di far cadere molta pioggia in poco tempo, quella di un insieme è di farne cadere molta di più per molto più tempo”.

Ma perché è l’area mediterranea ad esserne la più colpita?

“Le correnti, in Italia, nel 90% dei casi – risponde Guidi – arrivano dall’Atlantico, perché l’aria generalmente, circola da Ovest verso Est”.

La presenza della catena alpina, disposta nel senso della latitudine, e degli Appennini, disposti longitudinalmente, ostacolano il normale flusso d’aria, bloccandola sulla zona mediterranea e costringendola a disperdere l’energia in questa zona di blocco. Questo processo di chiusura, nella fase appena trascorsa, ha avuto poi un ulteriore alleato, l’anticiclone che insisteva sulla regione balcanica che faceva da muro verso Est. 

La causa poi, per cui le precipitazioni si traducono quasi sempre in alluvioni, con gli effetti sconvolgenti che sono sotto gli occhi di tutti, è certamente connessa all’impressionante quantità d’acqua caduta, in relazione al cambiamento del clima. Ma il motivo principe, il vero punto focale di questa calamità, che potrebbe essere quanto meno ridimensionata, è costituito dalle caratteristiche del territorio dissestato, dalla continua deforestazione, dalla scarsa opera di prevenzione che viene fatta, dall’assenza o carenza di manutenzione delle vie naturali e artificiali attraverso cui le acque potrebbero defluire, dalla generale incuria cui vengono abbandonati i corsi d’acqua.

Purtroppo –  viene ribadito da tante fonti – si è andata sviluppando finora una cementificazione talvolta selvaggia in zone precarie e potenzialmente pericolose, ponendo scarsa attenzione alle caratteristiche idrogeologiche del territorio.

In termini di protezione, anche in aree già colpite, sia in Liguria che in Toscana, i torrenti e i fiumi sono stati abbandonati a se stessi, senza che le amministrazioni, ai vari livelli, siano intervenute adeguatamente con procedimenti di pulizia programmata per il mantenimento normale del deflusso delle acque.

Possibile – ci si chiede – che continuino a ripetersi le scene cui stiamo assistendo in questo momento?

Leonardo Debbia
16 novembre 2012