Cambiamenti climatici: 10 specie da salvare

Scritto da:
Marco Gavioli
Durata:
1 minuto
Dermochelys coriacea

Potente e maestoso, l’orso polare (Ursus maritimus) è il dominatore incontrastato dei ghiacci dell’Artico. E’ su questa fredda piattaforma che si muove per cacciare, riposare, accoppiarsi e riprodursi; ed è proprio la perdita del pack a causa del riscaldamento globale che ne sta minacciando la sopravvivenza. Come purtroppo sappiamo l’orso polare non è l’unica specie che rischia di scomparire a causa dei cambiamenti climatici e questo lo evidenzia anche un recente rapporto della IUCN (International Union for Conservation of Nature) che indica come circa il 20-30 % delle specie animali e vegetali del pianeta siano a rischio di estinzione proprio per via del costante aumento medio delle temperature a livello globale.

In particolare tra queste specie gli esperti ne hanno individuate 10 che sembrano essere particolarmente vulnerabili: la volpe artica, il pesce pagliaccio, il koala, il pinguino imperatore, la tartaruga liuto, i coralli, la foca degli anelli, l’albero faretra, il salmone e la beluga.

La volpe artica (Alopex lagopus), è minacciata dalla costante sostituzione del suo habitat (la tundra) con la foresta boreale proveniente da sud. Inoltre gli inverni sempre più miti e brevi stanno determinando un calo numerico delle sue principali prede (lemmings e arvicole).

Sempre nella regione artica troviamo la foca dagli anelli (Pusa hispida), dove le temperature primaverili più alte generano una precoce rottura del ghiaccio che facilita la separazione delle madri dai piccoli, i quali diventano così maggiormente esposti alle intemperie e ai predatori. La foca degli anelli costituisce anche la principale preda dell’orso polare, di conseguenza una sua marcata diminuzione si ripercuote negativamente anche sulla dieta dell’orso stesso.

Nelle fredde acque artiche e sub-artiche vive invece la beluga (Delphinapterus leucas), un cetaceo minacciato dall’aumento della competizione per le risorse alimentari, determinato da acque che diventano via via più calde e che di conseguenza consentono l’arrivo di specie che prima non erano presenti (ad esempio foche e megattere).  Il riscaldamento genera inoltre dei cambiamenti nelle popolazioni delle loro prede, mentre la riduzione dei ghiacci può portare alla formazione di aree navigabili, prima inaccessibili all’uomo.

Un’altra specie sempre legata agli ambienti freddi, ma in questo caso della regione antartica, è il pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri) la cui esistenza è messa a rischio dalla riduzione della banchisa di ghiaccio marino del quale la specie è strettamente dipendente e dalla diminuzione della biomassa di Krill (fonte primaria di cibo per i pinguini), anch’essa correlata allo scioglimento dei ghiacci.

Anche la vita negli oceani viene alterata dai gas serra, in particolare l’aumento di CO2 in atmosfera contribuisce in modo determinante all’acidificazione degli oceani, in quanto l’anidride carbonica viene assorbita dall’acqua superficiale dei mari e reagendo con essa forma acido carbonico. Di questo fenomeno sembra risentirne particolarmente il pesce pagliaccio (Amphiprioninae), in quanto interferisce negativamente sulla sua capacità di rilevare i segnali chimici necessari per i suoi spostamenti e per localizzare la loro anemone-casa. In questo modo hanno un rischio più alto di predazione ed una minor probabilità di trovare un compagno per la riproduzione. L’acidificazione, unita all’aumento della temperatura degli oceani produce effetti devastanti anche sull’habitat del pesce pagliaccio: la barriera corallina.

Infatti l’acidificazione degli oceani causa l’indebolimento degli scheletri di corallo e determina tassi di crescita più lenti, mentre l’aumento di temperatura produce nei coralli staghorn (Acropora cervicornis) il distacco di alghe unicellulari (Zooxantelle) in grado di fissare la CO2 mediante fotosintesi e produrre molecole organiche indispensabili al corallo (va infatti ricordato che i coralli sono delle associazioni tra polipi e alghe simbionti).

Sempre negli oceani troviamo le tartarughe liuto (Dermochelys coriacea), che risentono dell’aumento della temperatura delle sabbie in cui depositano le uova. Dato che il sesso delle tartarughe è determinato dalla temperatura d’incubazione delle uova, ovvero temperature più alte producono femmine e quelle più basse maschi, tale riscaldamento porta ad un aumento del numero delle femmine rispetto ai maschi, minacciando così la stabilità delle popolazioni di tartaruga liuto in futuro. Le ripercussioni proseguono poi, da una parte, con l’innalzamento del mare che può ulteriormente erodere le spiagge dove le tartarughe depositano le uova, e dall’altra, per via dei cambiamenti  nelle correnti oceaniche che, a loro volta, possono alterare le modalità di alimentazione delle tartarughe nonché i loro percorsi migratori.

Un’altra specie che sembra essere fortemente a rischio a causa dell’aumento della temperatura delle acque è il salmone. Essa può infatti portare ad un aumento dello stress fisiologico ed una maggiore suscettibilità a malattie, oltre a generare importanti modificazioni del suo habitat. In particolare è stato osservato che zone di acqua dolce calda possono diventare delle vere e proprie barriere termiche durante la migrazione (dal mare verso i torrenti per la riproduzione) del salmone,  determinando così un ritardo o addirittura impedendo la deposizione delle uova.

Lasciando l’ambiente acquatico e spostandoci sulla terraferma troviamo il koala (Phascolarctos cinereus), un marsupiale tipico della regione australiana, la cui alimentazione è strettamente legata all’eucalipto. Un aumento dei livelli di CO2 provoca una più veloce crescita di queste piante riducendone però la qualità nutrizionale delle foglie, con inevitabili ripercussioni sui koala che potrebbero così andare incontro a malnutrizione e fame. Anche un aumento nella frequenza e nell’intensità dei periodi siccitosi può incidere negativamente, in quanto li costringe a scendere dagli alberi alla ricerca di acqua o di nuovi habitat, rendendoli particolarmente vulnerabili ai predatori e al traffico stradale.

La siccità ed il riscaldamento costituisce inoltre la principale minaccia per un’altra specie, in questo caso vegetale, che si trova in Africa, nella regione del Namib meridionale: l’albero faretra (Aloe dichotoma). Come conseguenza a questo cambiamento climatico la specie varia la sua distribuzione colonizzando aree poste a latitudini più alte (verso il polo Sud) e a altitudini più elevate (cime delle montagne), dove le condizioni ambientali sono in genere più fresche e umide. Il problema però sta nel rapido mutamento del clima che rende la colonizzazione di nuove aree idonee per l’albero faretra una vera e propria corsa contro il tempo.

Spesso quando parliamo di cambiamenti climatici pensiamo solo allo scioglimento dei ghiacci e a specie come l’orso polare; purtroppo gli esperti ci ricordano come in realtà i gas serra e il riscaldamento globale stiano minando la biodiversità in tutto il pianeta ed il messaggio lanciato, a questo punto, sembra essere chiaro, ovvero adoperarsi per fare tutto il possibile cercando di salvare le specie animali e vegetali più vulnerabili e sensibili.

Marco Gavioli
15 novembre 2012