Regione del Sahara: tra vegetazione lussureggiante e arido deserto

Scritto da:
Leonardo Debbia
Durata:
1 minuto

Ogni 20mila anni, il deserto del Sahara passa da condizioni di rigogliosa vegetazione a periodi di secchezza climatica, in sincronia con l’attività dei monsoni sulla regione e con la variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre.

Questo è quanto affermato dai ricercatori dell’Istituto di Tecnologia del Massachussetts (MIT), che hanno analizzato le polveri depositate dai venti al largo delle coste africane occidentali negli ultimi 240mila anni, scoprendo che il Sahara e, più in generale, tutto il Nord Africa sono sottoposti all’oscillazione di questo ‘pendolo’ tra climi umidi e climi secchi ogni 20mila anni.

Oggi, il deserto del Sahara è uno dei luoghi più aspri e inospitali della Terra, con i suoi 3,6 milioni di miglia quadrate di rocce e dune battute dal vento, che si estendono su quasi tutto il Nord Africa.

Ma non è sempre stato così.

Pitture rupestri e fossili scavati nella regione suggeriscono che il Sahara sia stata un tempo un’area verdeggiante, dove prosperavano gli insediamenti umani e dove una grande varietà di animali si aggirava tra piante e corsi d’acqua.

Gli studiosi del MIT, analizzando le polveri depositate in un arco di tempo di 240mila anni, hanno scoperto che il clima della regione subìva questa oscillazione tra condizioni umide e condizioni secche ogni 20mila anni.

E’ stato osservato che questo ‘pendolo climatico’ dipendeva soprattutto dalla variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre durante la rivoluzione del nostro pianeta intorno al Sole: la luce solare, ogni 20mila anni, giunge sulla Terra in modo diverso, influenzando le stagioni.

Ma c’è di più; un fattore che finora era passato inosservato: la funzione dei monsoni sulla regione; i venti ‘stagionali’, tipici delle aree equatoriali e subequatoriali, che ogni sei mesi, in conseguenza al riscaldamento e al raffreddamento delle masse continentali, cambiano direzione.

E’ probabile che, quando la Terra ha una posizione più inclinata e riceve la massima luce solare estiva, l’aumento della radiazione solare sul Nord Africa intensifichi l’attività monsonica della regione che, a sua volta, rende il Sahara più umido e più ‘verde’.

Quando, al contrario, la radiazione solare giunge sulla Terra con un angolo più piccolo e la luce solare in arrivo è minore, l’attività dei monsoni si indebolisce, producendo un clima più secco, simile a quello attuale.

“La nostra ricerca suggerisce che la storia del clima africano è fatta di questi ritmi, che si alternano ogni 20mila anni, tra un Sahara verde e un Sahara secco”, afferma David McGee, professore del Dipartimento della Terra, dell’Atmosfera e delle Scienze planetarie del MIT.

Conoscere l’altalena di questi climi ci consente di ricostruire una storia diversa da quella che conosciamo circa la presenza di animali e di esseri umani in quella regione nel corso dei millenni.

Ogni anno, i venti provenienti dal Nord-est raccolgono centinaia di milioni di tonnellate di polvere del deserto, depositandola nell’Oceano Atlantico.

Strati su strati di questi sedimenti si accumulano così sul fondo oceanico, al largo delle coste africane, consentendo di ricostruire la storia geologica e climatica di quella parte di continente: a strati densi corrispondono periodi aridi, a strati sottili periodi umidi.

Alle sabbie si accompagnano sovente minuscole conchiglie di plancton, un’ulteriore fonte di informazioni sulla presenza di vita marina.

Tenendo conto soltanto dei fattori astronomici, fino ad oggi gli scienziati ritenevano che i periodi secchi e quelli umidi si alternassero ogni 100mila anni, in corrispondenza di periodi glaciali e interglaciali.

Secondo McGee, i periodi di alternanza secco-umido erano, in realtà, più brevi e più frequenti, in relazione all’attività dei monsoni sulla regione.

Per dimostrare la validità della sua ipotesi ha indagato più a fondo, verificando la quantità di un isotopo del torio nei sedimenti.

Il torio viene prodotto a velocità costante da piccolissime quantità di uranio radioattivo disciolto nell’acqua di mare e si attacca ai sedimenti che si depositano sul fondo.

Di conseguenza, gli scienziati potevano utilizzare la concentrazione di torio nei sedimenti per determinare la velocità di accumulo delle polveri nei tempi passati: più torio equivaleva ad un accumulo lento; meno torio ad un accumulo rapido.

Al termine delle analisi, che coprivano un arco temporale di 240mila anni, lo scenario cambiava notevolmente.

“Si è scoperto cha alcuni picchi di polvere erano dovuti ad un aumento della deposizione di polvere nell’oceano, ma altri picchi erano semplicemente dovuti alla dissoluzione del carbonato e al fatto che, durante le ere glaciali, in questa regione l’oceano era più corrosivo per la presenza del carbonato di calcio”, afferma McGee. “In altri termini, potrebbe sembrare che ci sia più polvere depositata, quando invece non c’è stata deposizione”.

Una volta apportata questa correzione, i ricercatori hanno dovuto riformulare i calcoli per giungere alla conclusione che l’oscillazione del Sahara tra climi umidi e aridi avveniva ogni 20mila anni, in sincronia con l’attività monsonica e l’inclinazione dell’asse terrestre.

Leonardo Debbia