Inarrestabile fusione di ghiaccio in Antartide occidentale

Scritto da:
Leonardo Debbia
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1 minuto

Un nuovo studio condotto da ricercatori della NASA e della University of California, Irvine, ha scoperto che una sezione della calotta antartica occidentale è in rapido scioglimento; attualmente sembra essere in uno stato di perdita irreversibile e, al momento, pare non si possa fare niente per arrestare o rallentare la fusione del ghiaccio in mare.

Ghiacciaio Thwaites, Antartide occidentale (credit NASA)
Ghiacciaio Thwaites, Antartide occidentale
(credit NASA)

Lo studio si basa su molte prove, scaturite attraverso 40 anni di osservazione, che indicano che i ghiacciai nel settore del mare di Amundsen, nell’Antartide occidentale, “hanno superato il punto di non ritorno”, secondo il glaciologo Eric Rignot, che segue l’evoluzione del ghiaccio per conto della UC Irvine e del Jet Propulsion Laboratory della NASA di Pasadena.

I risultati dello studio relativo sono stati pubblicati sulla rivista Geophysical Research Letters.

Questi ghiacciai contribuiscono in misura significativa all’innalzamento di livello globale del mare, dato che ogni anno rilasciano nell’oceano una quantità di ghiaccio pari a quasi l’intera calotta della Groenlandia. Questa massa – è stato calcolato – potrebbe alzare il livello globale del mare di 1,2 metri e pare che si stia sciogliendo ad una velocità maggiore del previsto.

Rignot avverte che si dovrebbe valutare attentamente l’entità effettiva di questo innalzamento.

Stanno agendo, infatti, tre fattori concomitanti e determinanti: i cambiamenti nella velocità di deflusso del ghiaccio in mare, la quantità di ghiaccio che galleggia nell’oceano e la pendenza del substrato su cui i ghiacciai scorrono.

Il primo punto è stato esaminato lo scorso mese dal team di Rignot, prendendo a riferimento i dati degli ultimi 40 anni, come detto sopra. Gli altri due punti sono ora in esame e ne diamo di seguito una rapida scorsa.

I ghiacciai arrivano al mare mantenendo integro sia il fronte che i bordi d’attacco alla massa glaciale anche a galla su acque poco profonde, se il ghiaccio è leggero.

I ghiacciai antartici studiati da Rignot si sono però assottigliati talmente tanto che ora stanno galleggiando sull’acqua negli stessi luoghi dove fino a poco tempo prima toccavano il fondale e questo significa che le loro linee di terra si stanno ritirando verso l’interno del continente.

“La linea di terra è sotto centinaia di metri di ghiaccio ed è difficile per un osservatore di superficie che sta sopra la calotta, capire dove arriva la line di transizione”, afferma Rignot. “la giusta posizione può essere vista solo mediante osservazione satellitare”.

Il team ha utilizzato osservazioni radar effettuate tra il 1992 e il 2011 dall’European Earth Remote Sensing (ERS-1 e –2), satelliti in orbita per mappare il ritiro delle linee di terra, che utilizzano la tecnica dell’interferometria con il radar, che permette di misurare ogni spostamento del flusso di ghiaccio con estrema precisione, anche quelli inferiori ad un quarto di pollice.

Ora, i ghiacciai si muovono orizzontalmente mentre scorrono verso valle ma le loro porzioni galleggianti salgono e scendono verticalmente con le maree. Per individuare quindi le linee di terra, gli scienziati debbono tener conto anche della ripercussione di questi moti verticali sulla massa ghiacciata che rifluisce in mare.

Ovviamente, l’accelerazione della velocità di flusso e il ritiro delle linee di terra non solo vanno di pari passo ma si rafforzano a vicenda. Più i ghiaccia scorrono veloci, più si assottigliano e più si allontanano dal substrato roccioso; più la linea di terra arretra, meno resistenza trova il ghiaccio che avanza e più il suo flusso accelera.

La topografia del fondo su cui scorre il ghiacciaio è l’altro elemento chiave. L’inclinazione del fondo diventa sempre più forte man mano che il ghiacciaio si ritira e permette quindi all’acqua di mare, a temperatura più elevata, di venire a contatto con una maggiore quantità di ghiaccio, aumentandone la velocità di fusione.

“Questa fusione sembra inarrestabile”, afferma Rignot. “Il ritiro simultaneo in un settore così ampio suggerisce un innesco comune del fenomeno, come ad esempio un aumento di calore dell’oceano al di sotto delle sezioni galleggianti dei ghiacciai. A questo punto, non si vede come poter arrestare questo evento”.

Leonardo Debbia
13 maggio 2014